Ingabbiare l’energia

Testi di Alberto Sogni
Illustrazioni di Daniela Germani
Stoccare l'energia in eccesso prodotta dalle rinnovabili sotto forma di gas. Si chiama power-to-gas ed è una delle possibili soluzioni alla difficile sfida della transizione verso una rete più sostenibile.

8 minuti | 22 Ottobre 2020

L’Europa ha l’ambizioso obiettivo di diventare il primo continente con un’economia ad impatto zero sul clima entro il 2050. Ciò significa ridurre drasticamente le emissioni in atmosfera di gas ad effetto serra, il principale dei quali è l’anidride carbonica. Lo scorso 17 settembre la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha rinnovato questo impegno, stabilendo l’obiettivo intermedio di riduzione del 55% delle emissioni di gas serra entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e dichiarando che ogni strumento nel potere della Commissione Europea verrà impiegato per mantenere la promessa della climate neutrality dell’Europa al 2050.

Nella visione della Commissione Europea, per ottenere questo risultato, sono stati individuati sette elementi strategici principali: efficienza energetica; energie rinnovabili ed elettrificazione degli usi finali; mobilità pulita, sicura e connessa; industria competitiva ed economia circolare; reti intelligenti e interconnesse; bioeconomia e pozzi naturali di assorbimento del carbonio; cattura, sequestro e utilizzo della CO2.

Le fonti rinnovabili come eolico e solare dipendono dalle condizioni meteorologiche. Ciò ne determina il carattere intermittente o, per meglio dire, le rende fonti non programmabili.

In relazione alle energie rinnovabili, è necessario considerare che in prevalenza queste fonti dipendono dalle condizioni meteorologiche; si pensi, ad esempio al fotovoltaico e all’eolico. Ciò ne determina il carattere intermittente o, per meglio dire, le rende fonti non programmabili. Questo significa che in un sistema elettrico fortemente basato sulle rinnovabili si registrano forti fluttuazioni dell’energia immessa nella rete, sia nel corso della giornata sia durante le diverse stagioni dell’anno. I picchi di produzione molto spesso non sono allineati con le esigenze energetiche delle utenze e può capitare che ci sia la disponibilità di immettere in rete considerevoli quantità di energia elettrica in momenti in cui c’è una scarsa domanda o, viceversa, che si abbia una produzione energetica insufficiente (da rinnovabili) a soddisfare il fabbisogno quando la richiesta è maggiore. Si deduce, quindi, che la transizione verso un modello energetico a forte dipendenza dalle rinnovabili implichi l’esigenza di ricorrere a tecnologie di stoccaggio energetico, sia per ottimizzare l’utilizzo delle fonti rinnovabili stesse sia per mantenere l’equilibrio e la stabilità della rete elettrica.
Per stoccare l’energia, cioè per conservarla, disallineando nel tempo il momento in cui l’energia è disponibile da quello in cui viene utilizzata, esistono diversi sistemi, che si differenziano in prima istanza per la forma nella quale l’energia viene immagazzinata.

È possibile accumulare energia meccanica, ad esempio, pompando acqua in un bacino ad altezza più elevata oppure utilizzando grandi masse rotanti o, ancora, aria compressa in grandi serbatoi. L’energia termica può essere immagazzinata riscaldando serbatoi di fluido. L’energia chimica è conservata da molecole di gas o di liquidi che la possano restituire attraverso la combustione (ad esempio idrogeno o metano) o altri percorsi di conversione. L’energia elettrica può essere stoccata per via elettrochimica, utilizzando le varie tipologie di batterie, con alcune delle quali tutti abbiamo familiarità oppure con tecnologie elettromagnetiche.

Ogni sistema di accumulo dell’energia si colloca in un intervallo tipico di alcuni parametri tecnici che lo caratterizzano, i più importanti dei quali sono la capacità di accumulo (quanti kWh posso accumulare?) e il tempo di risposta (in quanto tempo l’energia accumulata viene resa disponibile?). Importanti sono, ovviamente, anche i costi specifici, l’efficienza complessiva, la durata della vita utile, la densità di energia (che volume occupa un sistema per accumulare 1 kWh di energia?) ed altro.

Esiste un processo che permette di accumulare l’energia elettrica sotto forma di energia chimica: si tratta del power-to-gas.

Considerando l’esigenza di stoccare elevate quantità di energia elettrica prodotta dalle rinnovabili per far fronte a grandi picchi di potenza e di doverlo fare su scale temporali lunghe, anche stagionali, esiste una soluzione che permette di accumulare l’energia elettrica sotto forma di energia chimica: si tratta del power-to-gas. La spiegazione del nome è semplice: si parte dall’energia elettrica disponibile (power-) e la si trasforma in energia chimica contenuta nelle molecole di un gas (-gas) prodotto proprio impiegando questa energia (power-to-gas).

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Come si realizza praticamente un sistema power-to-gas?

La strada maestra prevede che l’energia elettrica da rinnovabili sia impiegata per alimentare un elettrolizzatore, cioè un componente che realizzi l’elettrolisi dell’acqua, scomponendola in ossigeno e idrogeno grazie all’energia elettrica . L’idrogeno così prodotto rappresenta il gas che permette lo stoccaggio energetico sotto forma di energia chimica. Infatti, l’idrogeno potrà di nuovo essere convertito in altre forme di energia attraverso dispositivi di combustione (conversione in energia meccanica e/o calore) o celle a combustibile (conversione diretta di nuovo in energia elettrica). L’idrogeno può essere usato tale e quale come combustibile, oppure può essere iniettato nella rete del gas naturale e miscelato con esso in piccole percentuali. Esiste, inoltre, un’altra possibilità, che comporta un ulteriore passaggio all’interno del sistema power-to-gas: si tratta della metanazione, cioè dell’impiego dell’idrogeno per produrre metano sintetico. Anche il metano di sintesi, naturalmente, rappresenta una tipologia di accumulo dell’energia sotto forma di energia chimica. Per produrre metano dall’idrogeno occorre combinarlo con l’anidride carbonica secondo una reazione di metanazione.

Questa reazione, che produce anche acqua oltre al metano, è nota come reazione di Sabatier e avviene in presenza di catalizzatori e in condizioni di elevate pressioni (6-30 bar) e temperature (300-550 °C). Esiste anche la via della metanazione biologica, che consiste nell’utilizzo di microrganismi metanigeni che, a basse temperature (15-98 °C) e pressioni (1-10 bar), convertono idrogeno e anidride carbonica in metano e acqua. Per completare il quadro, va aggiunto che una quarta possibilità per l’idrogeno è quella di essere convertito in combustibile liquido, sempre in combinazione con la CO2, dando vita ai cosiddetti e-fuels (combustibili di sintesi prodotti da energia elettrica rinnovabile) secondo un percorso definibile come power-to-liquid.

Il vantaggio primario del power-to-gas è la possibilità di accumulare energia elettrica rinnovabile in modo stabile, in quantità elevate e per lunghi periodi. Inoltre, nel caso di iniezione di idrogeno nella rete del gas (fino a qualche punto percentuale) o di conversione dell’idrogeno in metano, è possibile sfruttare infrastrutture esistenti: si pensi alla diffusione e alla capillarità della rete del gas nazionale ed europea, e tecnologie di conversione convenzionali (caldaie, turbine e motori a gas, ecc.).

Le reti energetiche sono tanto più flessibili quanto più intelligenti, interconnesse e capaci di intervenire l’una in soccorso dell’altra.

In una visione di insieme del sistema energetico del nostro futuro, la grande presenza delle rinnovabili e, in parallelo, l’aleatorietà delle stesse fonti rinnovabili, resa più acuta dai cambiamenti climatici e dall’intensificazione di eventi meteorologici estremi, fa della flessibilità delle reti energetiche una parola chiave. Le reti energetiche sono tanto più flessibili quanto più intelligenti, interconnesse e capaci di intervenire l’una in soccorso dell’altra. Questo è il caso del power-to-gas, che rappresenta un ponte fra la rete elettrica e la rete del gas, secondo un concetto definito anche sector coupling.

Non solo, il power-to-gas (e il power-to-liquid) creano un legame anche fra la rete elettrica e la rete della mobilità sostenibile, ad esempio con veicoli alimentati a metano o a idrogeno, contribuendo alla decarbonizzazione di settori diversi da quello strettamente elettrico. Per contro, considerando che ogni conversione energetica è caratterizzata da un rendimento, va tenuto presente che ogni passaggio della catena di conversione comporta una perdita di energia. Pertanto, allo stato attuale, rispetto all’input di energia elettrica rinnovabile da accumulare, è ragionevole ipotizzare di poterne recuperare al termine dell’intero ciclo power-to-gas circa il 25-30%.

Le sfide da cogliere […] sono l’incremento dell’efficienza dei sistemi di conversione e la riduzione dei costi.

Inoltre, pur trattandosi di principi fisici noti da molto tempo (ad esempio, l’elettrolisi dell’acqua si conosce dal 1800, la reazione di metanazione di Sabatier dai primi del 1900), non tutte le tecnologie descritte sopra hanno la maturità commerciale e quindi i costi sono ancora molto elevati. La IEA (International Energy Agency) stima, entro il 2030, un costo di produzione dell’idrogeno con elettrolizzatori alimentati da rinnovabili di 2-4 USD/kgH2, mentre per produrlo da gas naturale (processo industriale già consolidato ad oggi) il valore è 1,5-3 USD/kgH2. Le sfide da cogliere, quindi, al di là della valenza strategica dell’aumento della flessibilità del sistema energetico in generale, sono l’incremento dell’efficienza dei sistemi di conversione e la riduzione dei costi.

La sperimentazione di soluzioni power-to-gas sul campo ha preso l’avvio, in parallelo con i primi sviluppi delle energie rinnovabili, tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta. Un recente lavoro, focalizzandosi su impianti con elettrolisi e/o metanazione, ha censito 153 impianti diffusi in 22 paesi nel mondo, comprendendo quelli realizzati a partire dal 1993, quelli in fase di realizzazione e quelli pianificati fino al 2050. La taglia media risulta piuttosto ridotta, pur essendo in crescita nel corso degli anni, con una potenza elettrica media attuale di circa 400 kW, a dimostrazione del fatto che si tratti in prevalenza di progetti pilota. Rispetto alla distribuzione geografica, l’Europa centrale la fa da padrona, con predominanza di Germania, Olanda e Danimarca. La Germania ha la maggior potenza installata complessiva (40 MW) ed ha pianificato, così come la Francia e i paesi nordici, installazioni di taglia crescente nel medio-lungo termine per centinaia di MW complessivi.

L’Italia ha incluso il power-to-gas fra le proprie strategie di decarbonizzazione nel Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima al 2030. Esistono in Italia alcuni impianti costruiti tra gli anni Novanta e Duemila; c’è anche un esempio significativo e più recente di un impianto pilota, localizzato in Puglia e costruito nell’ambito di un grande progetto europeo, che realizza la reazione di metanazione utilizzando CO2 catturata dall’aria ambiente.

Articolo prodotto grazie al supporto di Ecomondo

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  • Alberto Sogni

    Alberto Sogni è ingegnere, membro del Consiglio Direttivo del Clust-ER Greentech della regione Emilia-Romagna, dove rappresenta il Laboratorio LEAP, di cui è stato direttore per oltre sei anni.
    Greentech ha costituito un tavolo di lavoro sul power-to-gas, con l’obiettivo di favorire lo sviluppo sul territorio dell’Emilia-Romagna di progetti pilota in questo ambito. In relazione a questi temi il Clust-ER Greentech organizza in occasione di KeyEnergy/Ecomondo 2020 il convegno “Energy Storage per le reti elettriche: sviluppo e prospettive in uno scenario a forte decarbonizzazione”.

  • Daniela Germani

    Daniela Germani è geologa specializzata in paleontologia e illustratrice appassionata di tematiche naturalistiche e ambientali.
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