La controversa tutela delle specie in zoo e acquari

La conservazione di specie in pericolo all’interno di parchi faunistici e acquari solleva dubbi sul benessere degli animali. Le norme e gli standard etici a cui sono sottoposti i centri (in gran parte, su base volontaria)

5 minuti | 9 Aprile 2021

Le specie oggi si stanno estinguendo ad un ritmo migliaia di volte maggiore rispetto agli ultimi 10 milioni di anni e noi ne siamo responsabili. La perdita di biodiversità è uno dei tasselli di un sistema molto complesso, che comprende non solo problemi legati strettamente alle singole specie, ma anche fattori economici e sociali, come la perdita di servizi ecosistemici fondamentali per le società umane.

Le tecniche al momento usate per la conservazione delle specie sono molte, ma possono essere raggruppate in due grandi categorie. Una è la conservazione ex situ, che consiste nel conservare parte della diversità delle specie al di fuori del loro ambiente naturale, ad esempio in parchi faunistici, acquari, orti botanici o banche del germoplasma, luoghi dove vengono conservati i semi, quindi il materiale genetico di specie vegetali. La seconda è la conservazione in situ, ovvero azioni di conservazione svolte nello stesso ambiente naturale.

Mentre la conservazione in situ trova un ampio consenso da parte di pubblico e mondo scientifico, quella ex situ è controversa, specialmente se realizzata all’interno di parchi faunistici e acquari. I motivi di questi dubbi sono legati a temi etici e al benessere animale.

La detenzione di animali all’interno dei centri di conservazione ex situ permette di studiare gli individui e di mantenere una parte della diversità di quella specie al sicuro dalle minacce che incontrerebbe in natura, rendendola disponibile per eventuali reintroduzioni.

Conservazione in cattività

L’allevamento inteso come misura di conservazione, e il conseguente scambio di individui tra diversi centri è strettamente regolamentato e riguarda le specie classificate a rischio di estinzione presenti nella lista rossa stilata dall’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN). Gli animali inseriti in questo circuito portano con sé una serie di informazioni medico-veterinarie e un pedigree che attesta la loro provenienza e la loro genealogia. In Italia esistono alcuni esempi di centri che si occupano di progetti di conservazione, come il Parco Natura Viva di Pastrengo, in provincia di Verona.

«Parte dei ricavi viene trasferito per l’attività di conservazione nei luoghi d’origine delle specie» spiega Cesare Avesani Zaborra, direttore del parco. «Uno dei nostri progetti ad esempio è portato avanti insieme al MUSE di Trento ed ha come obiettivo il coinvolgimento della comunità locale nel censimento e nella conservazione del leopardo delle nevi. Questo animale viene spesso cacciato dagli allevatori di capre cashmere, che per il leopardo sono prede più facili rispetto ad altre. L’obiettivo è lo sviluppo di un commercio di cashmere più sostenibile, che passa attraverso la protezione del leopardo delle nevi».

Un altro esempio è quello della reintroduzione del bisonte europeo attraverso il progetto LIFE Re-bison, iniziato nel 2014 con 17 individui provenienti dalla cattività e reintrodotti nei Carpazi Meridionali e proseguito con l’introduzione di altri individui, alcuni dei quali provenienti dal Parco Natura Viva. Oggi la specie è in aumento, contando più di 2500 individui sparsi in varie popolazioni.

conservazione

Leopardo delle nevi presso il Parco Natura Viva (VR). Italia, 27 gennaio 2021.
Foto di Elisabetta Zavoli.

I sistemi di controllo

Pur avendo un ruolo importante nella conservazione, la detenzione delle specie rimane comunque un tema delicato dal punto di vista etico. Riguardo a questo argomento esistono diversi sistemi di controllo. In Europa il riferimento è la direttiva 1999/22/CE che fornisce indicazioni di buone pratiche e standard minimi a cui i centri di conservazione ex situ devono attenersi.

A livello mondiale, la World Association of Zoos and Aquaria (WAZA) raggruppa parchi faunistici e acquari imponendo rigidi standard etici, di benessere e sicurezza degli animali, sulla conservazione e sulla ricerca. La WASA si declina a livello continentale in EAZA (European Association of Zoos and Aquaria) e nazionale in UIZA (Unione Italiana Zoo e Acquari). L’iscrizione a queste associazioni è volontaria e comporta una serie di ispezioni iniziali e di controlli per mantenere lo status.

«Per fare un esempio» spiega Avesani Zaborra «nel 1990 ho richiesto una coppia di individui di panda rosso poiché la popolazione nel circuito internazionale era in declino. Dopo la richiesta ho dovuto fornire una serie di informazioni e di protocolli che una volta esaminati mi hanno fatto entrare in una lista di attesa. La coppia è arrivata nel marzo del ‘93 e, nel giugno dello stesso anno, è avvenuta la prima nascita. È stata davvero una grande soddisfazione.»

I parchi faunistici iscritti ai circuiti WAZA si pongono su un livello diverso rispetto alle cosiddette animal farms, centri che offrono la possibilità di vivere esperienze come le passeggiate coi leoni, la possibilità di coccolare i cuccioli, o ancora, quella di cavalcare gli elefanti.

Più in generale, sebbene negli ultimi trent’anni le condizioni medie degli animali in cattività siano sicuramente migliorate, in alcuni casi non sono considerate ancora sufficienti. A questo proposito, negli anni passati l’associazione Born Free Foundation ha prodotto diversi rapporti di denuncia sul fatto che gli stati membri dell’Unione Europea non impegnino abbastanza risorse nel controllo dei parchi zoologici e degli acquari, i quali non applicherebbero in toto la direttiva 1999/22/CE.

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