Masse per la massa. Il commento di Regione Lombardia

Testi di Gianluca Liva
Il nostro reportage Masse per la massa, pubblicato a settembre, riportava i risultati di un'indagine di Greenpeace sull'inquinamento da azoto negli allevamenti lombardi. La Regione Lombardia contesta il metodo usato da Greenpeace.

11 minuti | 21 Ottobre 2020

Il 9 giugno 2020 Greenpeace ha pubblicato un’indagine intitolata “Fondi pubblici in pasto ai maiali”. L’inchiesta, a cura dell’Unità Investigativa dell’organizzazione ambientalista, rende noto il fatto che la Regione Lombardia avrebbe destinato una parte consistente di denaro pubblico – parte dei finanziamenti europei per la Politica Agricola Comune (PAC) – a realtà agricole situate in comuni dove erano già stati superati i limiti di azoto.

Il lavoro di Greenpeace ha avuto risalto sui media italiani e ha contribuito a catturare l’interesse del pubblico su un argomento complesso. Nell’inchiesta si afferma che «la stessa Regione [Lombardia n.d.a.], alla fine dello scorso anno, ha diffuso una relazione tecnica con una mappa puntellata di rosso: ben evidenziati i 168 comuni dove nel 2018 si è superato il limite legale annuo di azoto per ettaro. La nostra Unità Investigativa ha confrontato questa relazione tecnica con il database dei finanziamenti europei per l’agricoltura (PAC). Dal confronto è emerso che nei comuni lombardi “fuorilegge” arriva quasi la metà dei soldi pubblici europei destinati alla regione per la zootecnia, ossia ben 120 milioni di euro».

L’indagine è stata contestata dal personale di ARPA Lombardia. Radar ha contattato gli uffici competenti della Regione Lombardia affinché fornissero un chiarimento ulteriore. Pubblichiamo questa intervista come approfondimento, con un esplicito invito alla discussione.

Lo scopo è quello di sviluppare un dibattito sano, fondato, rispettoso delle diverse sensibilità che si confrontano su un tema così delicato.

A rispondere alle nostre domande è Luca Zucchelli, dirigente della Struttura: Sviluppo Agroalimentare, Integrazione di Filiera e Compatibilità Ambientale, parte della Direzione Generale Agricoltura, Alimentazione, Sistemi Verdi della Regione Lombardia, con i colleghi Andrea Azzoni, dirigente Unità Organizzativa Sviluppo di Industrie e Filiere Agroalimentari, Agevolazioni Fiscali, Zootecnica e Politiche Ittiche, e Gianpaolo Bertoncini, responsabile della Posizione Organizzativa “Applicazione della direttiva nitrati”.

LEGGI ANCHE: Masse per la massa. Allevamenti, sistema intensivo e insostenibilità.
Come commentate i risultati proposti dall’indagine pubblicata da Greenpeace?

«La conclusione a cui è giunta Greenpeace parte da premesse errate. Il decreto regionale dal quale prende le mosse è un atto dovuto in attuazione di una deliberazione regionale finalizzata alla regolamentazione della gestione dei fanghi di depurazione. Nella deliberazione si dichiara espressamente che “l’impiego per uso agronomico dei fanghi è autorizzato: sui terreni coltivati purché gli stessi non siano già oggetto di utilizzazione agronomica di effluenti di allevamento; sui terreni che non siano territorialmente localizzati in comuni in cui la produzione di effluenti di allevamento dovuta al carico zootecnico insistente sugli stessi, correlato alle coltivazioni presenti sul territorio comunale, supera il limite fissato dalla Direttiva nitrati e dalla norma regionale di settore (170 kgN/ha/anno per le zone vulnerabili; 340 kgN/ha/anno per le zone non vulnerabili)” e che “L’individuazione dei comuni che superano i limiti di cui sopra verrà effettuata dalla Regione Lombardia con apposito provvedimento annuale della Direzione Generale Agricoltura emanato entro il mese di novembre di ogni anno, redatto sulla base dei dati di consistenza del bestiame allevato e delle coltivazioni praticate”.

L’evidente obiettivo di tale disposizione è pertanto quella di non caricare di ulteriori quantitativi di azoto (da fanghi di depurazione) le superfici agricole dei comuni ove il quantitativo di effluenti di allevamento – ovvero i liquami e letami prodotti dagli animali allevati in aziende ubicate sul territorio comunale – già supera i fabbisogni di azoto delle coltivazioni attuate sulla superficie agricola comunale.

Per spiegare meglio questo criterio e chiarire il perché il lavoro di Greenpeace parte da premesse errate, è bene portare un esempio. Se volessimo calcolare la densità di autovetture in circolazione sul territorio di Torino, sarebbe un madornale errore di base prendere in considerazione le automobili prodotte nello stabilimento Mirafiori che stazionano nei piazzali in attesa della distribuzione ai concessionari.

Tutti gli allevamenti zootecnici hanno un riferimento anagrafico collegato al comune che è sede dell’azienda agricola, ma i reflui (liquami e letami) prodotti in quel centro aziendale non vengono utilizzati agronomicamente solo sul suolo agricolo di quel comune ma sono distribuiti prevalentemente e tipicamente nella campagna limitrofa.

I reflui zootecnici – a differenza delle auto utilizzate nell’esempio – non possono fare molta strada una volta usciti dall’azienda che li ha prodotti, per via degli alti costi di trasporto. I reflui zootecnici vengono impiegati soprattutto sui terreni nelle vicinanze dell’azienda, i quali hanno bisogno di fertilizzante per garantire la produzione di foraggio destinato agli animali dell’allevamento. È, così, evidente la circolarità dell’economia agricola basata sull’utilizzo dei reflui per le loro caratteristiche fertilizzanti. Fare i conti sulla quantità di animali allevati in un territorio e quindi sulla quantità di azoto escreto è piuttosto semplice, così come il confronto di questi dati con la disponibilità di superficie agricola di quel comune. È invece assai più complicato sommare tutti i piani colturali delle aziende che operano sul suolo agricolo di un particolare comune; soprattutto è assai complesso controllare la concorrenza di altre forme di concimazione, che basandosi su rifiuti/fanghi sono in grado di produrre all’agricoltore un vantaggio economico diretto che il refluo zootecnico non ha.

[I fanghi sono, secondo la definizione inclusa nel Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, i fanghi residui derivanti dai processi di depurazione delle acque reflue. Questi sono generalmente suddivise in acque reflue domestiche (provenienti da insediamenti umani e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e dalle attività domestiche), acque reflue industriali (provenienti da installazioni di tipo produttivo e commerciale), e acque reflue urbane (acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato). N.d.A.]

Ciò che la pubblicazione di Greenpeace ha ignorato […], è l’esistenza in Lombardia, come in tutta Italia e in tutta Europa, di norme che impongono alle aziende agricole e zootecniche regole precise per la gestione degli effluenti di allevamento.

L’azienda agricola che utilizza agronomicamente i fanghi di depurazione ha un vantaggio in termini di minor lavoro eseguito per le operazioni di fertilizzazione e preparazione del letto di semina che sono a carico del fanghista. Si tratta di operazioni che sono considerate nella tariffa di depurazione delle acque che l’utente/cittadino paga al depuratore che deve disfarsi dei fanghi. Al contrario, l’allevatore che vuole garantire l’utilizzo agronomico dei propri reflui zootecnici paga un diritto di liquamazione su terreni non in conduzione. È evidente la sproporzione “commerciale” delle due proposte. Da questa semplice osservazione nasce l’esigenza di garantire a un territorio in cui vi è una abbondanza di liquami zootecnici il loro utilizzo agronomico senza che ci sia una concorrenza eccessiva da parte dei fanghi di depurazione. Il decreto n. 18334 del 2019 risponde a questa esigenza e non c’è alcuna conflittualità con la Direttiva Nitrati.

Ciò che la pubblicazione di Greenpeace ha ignorato, cadendo pertanto in un grossolano equivoco e diffondendo di fatto una falsa informazione, è l’esistenza in Lombardia, come in tutta Italia e in tutta Europa, di norme che impongono alle aziende agricole e zootecniche regole precise per la gestione degli effluenti di allevamento. Queste regole, in particolare, vietano la distribuzione sui terreni agricoli di quantitativi di azoto eccedenti i limiti imposti dalla “Direttiva nitrati” e diversificati per zona di rischio potenziale (170 kg/ha per le Zone vulnerabili e 340 kg/ha per le Zone non vulnerabili da nitrati provenienti da fonti agricole).

Tali disposizioni impongono, alle aziende che producono effluenti di allevamento in quantità tale da superare, sui terreni in uso (proprietà o affitto) i limiti di azoto sopra richiamati, di cedere le eccedenze di effluenti di allevamento ad altre aziende che necessitano di azoto per fertilizzare le coltivazioni programmate (garantendo a loro volta di non superare i limiti di cui sopra). Tali cessioni (e acquisizioni conseguenti) devono essere effettuate sulla base di contratti, sottoscritti tra cedente e acquirente, che devono obbligatoriamente essere registrati nel sistema informatico regionale di acquisizione delle Comunicazioni nitrati. Tali comunicazioni (obbligatorie per tutte le aziende che producono o acquisiscono o utilizzano effluenti di allevamento in quantità superiore a 1.000 kg) in Lombardia sono presentate da circa 12.000 aziende.»

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Come vengono assegnate le risorse comunitarie alle aziende zootecniche lombarde?

«Per rispondere compiutamente bisognerebbe prendere a riferimento uno dei tanti bandi PSR attraverso cui Regione Lombardia – al pari delle altre Regioni Italiane – mette a disposizione delle aziende agricole i fondi comunitari del 2° pilastro della Politica Agricola Comune (PAC) per svilupparne la competitività e la sostenibilità ambientale. Consideriamo, per esempio, l’operazione PSR codificata 4.1.01 “Incentivi per Investimenti per la Redditività, competitività e Sostenibilità delle Aziende Agricole”.

Si tratta dell’ultimo bando che ha visto la presentazione di quasi 800 domande di aiuto finanziario. Questo bando è regolato da un corposo pacchetto di disposizioni attuative con tutte le condizioni di accesso per poter presentare la domanda, nonché i criteri di ammissibilità e selezione della fase istruttoria delle domande. Il comparto zootecnico rappresenta un punto di forza caratteristico e significativo dell’agricoltura lombarda; quindi non c’è da stupirsi che tale comparto sia presente in modo significativo nelle domande di aiuto. Se fossimo in Toscana probabilmente il comparto più presente sarebbe rappresentato dalle aziende cerealicole mentre in Lombardia la zootecnica da latte e/o da carne rappresenta quasi un terzo del totale delle aziende agricole.

Sono soltanto i progetti più virtuosi dal punto di vista ambientale che riescono ad acquisire il punteggio di merito che li fa avanzare in graduatoria e ne consente il finanziamento.

I criteri di ammissibilità sono stringenti fin dal principio. Le domande possono essere presentate solo da aziende conformi nell’applicazione della “Direttiva nitrati” e solo queste aziende possono essere ammesse all’istruttoria tecnico amministrativa. In altre parole, la perfetta coerenza con i requisiti e le previsioni della Direttiva Nitrati è una conditio sine qua non anche solo per iniziare a parlare di finanziamento. Poi si aggiungono i punteggi di merito per le componenti progettuali che hanno l’obiettivo di migliorare la gestione (ambientale) dei reflui zootecnici. È il caso dei progetti di copertura delle vasche di liquami, dei sistemi di interramento rapido dei reflui durante le operazioni di concimazione del suolo, dei sistemi di trattamento dei reflui per rendere più economica e sostenibile la loro gestione in azienda. In sintesi, nessuna azienda zootecnica non conforme ai dettami della “Direttiva nitrati” può essere finanziata. A ciò aggiungiamo che – dato l’alto numero di domande e l’insufficienza di risorse per sostenere tutti i progetti ammissibili – sono soltanto i progetti più virtuosi dal punto di vista ambientale che riescono ad acquisire il punteggio di merito che li fa avanzare in graduatoria e ne consente il finanziamento. I medesimi criteri e concetti valgono anche per l’accesso da parte delle aziende zootecniche ai finanziamenti regionali e nazionali specificatamente pensati per sostenere il miglioramento nella gestione dei liquami e dei letami.»

L’inquinamento da nitrati prodotti dal settore zootecnico in Lombardia desta preoccupazione?

«L’inquinamento da nitrati in Lombardia è sotto controllo. Dai dati di monitoraggio effettuati sulle acque (superficiali e profonde) da ARPA e sui suoli da ERSAF, mostra un sostanziale e generalizzato quadro “stazionario”. Annualmente Regione Lombardia effettua tra i 500 e i 600 controlli in loco (presso le aziende) definiti sulla base di un’analisi condotta per individuare le aziende più a rischio: per dimensioni produttive, per capacità di stoccaggio, per quantità di effluenti gestita in rapporto alle superfici disponibili allo spandimento e la capacità di assorbimento delle colture praticate, per distanza delle cessioni di effluenti effettuate verso altre aziende, nonché per l’ubicazione delle aziende in aree più vulnerabili o risultate vulnerate rispetto ai dati di monitoraggio, o in aree sottoposte a maggiore tutela, come per esempio le aree parte della Rete Natura 2000.

Il bilancio dell’azoto per l’intera Lombardia vede l’effluente di allevamento utilizzato in agricoltura coprire il 38% circa del fabbisogno delle colture, contro il 60% dei fertilizzanti chimici e il 2% dei fanghi di depurazione. Obiettivo di Regione Lombardia, ma anche degli allevatori più attenti, è di aumentare l’efficienza fertilizzante degli effluenti di allevamento per ridurre significativamente l’utilizzo dei fertilizzanti chimici. Tale incremento di efficienza, spinto anche dalle disposizioni regionali sopra richiamate, contribuirà a ridurre il rischio di perdere nelle acque (superficiali e profonde) azoto non intercettato dalle colture e a contenere il rilascio di azoto in atmosfera dalle stalle o dai contenitori di stoccaggio o durante le operazioni di distribuzione in campo degli effluenti di allevamento.»

Quali politiche ha attuato, attua o attuerà la Regione Lombardia per ridurre la produzione di potenziali inquinanti prodotti dal settore zootecnico?

«Più che ridurre la produzione di azoto da parte del settore zootecnico, l’obiettivo delle politiche regionali di settore è gestire l’azoto zootecnico in maniera più efficiente per ridurre l’impatto ambientale. Le politiche regionali per la protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti dal sistema agricolo meritano di essere ricordate. Regione Lombardia, di fatto, iniziò ad applicare la “Direttiva nitrati” (emanata nel 1991), prima del recepimento nazionale, attraverso la Legge Regionale 15 dicembre 1993, n.37 “Norme per il trattamento, la maturazione e l’utilizzo dei reflui zootecnici”. Il recepimento nazionale della direttiva avvenne con il Decreto Legislativo 11 maggio 1999, n. 152, preceduto dalla approvazione, con DM 19 aprile 1999, del Codice di buona pratica agricola, adempimento previsto dalla “Direttiva nitrati”.

Più che ridurre la produzione di azoto da parte del settore zootecnico, l’obiettivo delle politiche regionali di settore è gestire l’azoto zootecnico in maniera più efficiente per ridurre l’impatto ambientale.

Successivamente, con il Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152 “Norme in materia ambientale” viene completato l’assetto normativo di riferimento per l’applicazione della “Direttiva nitrati” che consente l’approvazione del Decreto ministeriale 7 aprile 2006 “Criteri e norme tecniche generali per la disciplina regionale dell’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento…”, aggiornato dieci anni dopo con il DM 25 febbraio 2016 “Criteri e norme tecniche generali per la disciplina regionale dell’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento e delle acque reflue, nonché per la produzione e l’utilizzazione agronomica del digestato”.

Regione Lombardia, dopo l’abrogazione della Legge Regionale 37/1993, coerentemente con l’evolversi della disciplina nazionale, a partire dall’anno 2008 ha avviato, con cadenza quadriennale, la definizione dei Programmi d’azione regionali per la protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole nelle zone vulnerabili ai sensi della direttiva nitrati 91/676/CEE: 2008-2011, 2012-2015, 2016-2019 e da ultimo 2020-2023. Tali Programmi rinnovano ogni quattro anni le “regole del gioco” per garantire una gestione degli effluenti di allevamento e di tutte le altre fonti di azoto utilizzate in agricoltura, in maniera sostenibile per l’ambiente e contemporaneamente coerenti con l’evolversi delle conoscenze scientifiche, delle tecnologie disponibili, delle opportunità di sostegno finanziario alle aziende e degli esiti del monitoraggio ambientale».

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