Perché la mattanza di cetacei delle Fær Øer è più sostenibile della pesca commerciale

Testi di Sara Moraca
Nonostante l’impatto emotivo che genera all’estero, i dati sulla storica Grind mostrano che rientra nei parametri della pesca sostenibile. Secondo i faroesi, è una tradizione incompresa e un’alternativa ai modelli occidentali di consumo.

6 minuti | 15 Ottobre 2021

«Alcuni pascoli sono verdi e si perdono a vista d’occhio tra le montagne, altri sono blu e proprio grazie a quelli noi otteniamo il nostro cibo». Sono queste le parole con cui Høgni Mohr, scrittore faroese, inizia a parlare della Grind, la tradizione locale con cui gli abitanti delle isole Fær Øer uccidono mediamente tra i 600 e gli 800 cetacei l’anno, e a cui egli prende parte.

Normalmente, la maggior parte dei cetacei uccisi sono globicefali, ma l’evento di quest’anno è stata diverso: sono stati infatti sacrificati circa 1500 esemplari di lagenorinco acuto (Lagenorhynchus acutus). Un evento simile non accadeva dal 1940, anno in cui ne erano stati sacrificati circa 1200. «Secondo i registri storici della Grind, l’uccisione del lagenorinco acuto rappresenta solo il 6% totale dei casi», spiega Russell Fielding, Assistant Professor in geografia presso la Coastal Carolina University, che da circa 15 anni effettua studi su questa tradizione faroese, sia da un punto di vista sociologico che scientifico.

Una caccia senza precedenti

I registri storici riguardanti la Grind risalgono al 1700. Esistono anche dati più antichi, ma alcune lacune nella serie storica non permettono un’analisi esaustiva. «Alcuni esperti credono che la Grind esista da quando sull’arcipelago sono nati i primi insediamenti, ovvero circa mille anni fa», continua Fielding. 

La caccia di quest’anno è stata eccezionale e imprevista, anche secondo quanto confermato in un’intervista con la BBC da Olavur Sjurdarberg, capo dell’associazione faroese per la caccia ai cetacei. Sjurdarberg ha chiarito che molte persone sono rimaste scosse per il numero di animali uccisi durante la caccia di quest’anno e che l’evento non dovrà ripetersi.

«Quando gli animali sono stati spinti verso l’insenatura, non avevamo idea che fossero così tanti. Era qualcosa che non potevamo prevedere», spiega Martin Á Fløghamri, ingegnere faroese che prende parte alla Grind. La caccia è in effetti qualcosa di non programmato, che può avvenire in ogni momento tra giugno e settembre, quando un faroese avvista un gruppo di cetacei nei pressi di una delle 26 spiagge destinate alla caccia. Ma quello di quest’anno è stato un evento senza precedenti, tanto che un sondaggio condotto dalla tv pubblica Kringvarp Foroya ha rivelato che, mentre il 50% delle persone è contraria alla caccia dei delfini, l’80% è a favore di quella delle balene. 

Associazioni ambientaliste, tra cui Sea Shepherd, si schierano ogni anno contro la mattanza, definendola una caccia barbarica, chiarendo che essa sarebbe totalmente illegale se attuata all’interno dell’Unione europea. Sebbene la Danimarca eserciti una sorta di protettorato sull’arcipelago, le Fær Øer hanno un proprio Parlamento, una bandiera e battono moneta. «Riesco a capire perché molte persone non concordano con la Grind, per molti aspetti è senz’altro [un evento] controverso», aggiunge Fielding. 

Sulle Isole Fær Øer la carne e il grasso dei globicefali fanno parte da secoli della dieta tradizionale. Tórshavn, Isole Fær Øer, 23 luglio 2010. Foto di Kasper Solberg.

I dati sulla mattanza delle Fær Øer

La Grind può essere effettuata solo da persone che hanno effettuato un corso propedeutico, che comprende le tecniche per portare gli animali verso riva e quelle di uccisione. «Negli ultimi 15 anni, abbiamo fatto innumerevoli sforzi per rendere la Grind sempre più umana, ovvero nel garantire agli animali un livello di sofferenza quasi nullo. Questo anche grazie a un coltello particolare, la cui lama riesce a tagliare di netto il midollo spinale, garantendo così una morte veloce e indolore», riprende Fløghamri. Una caratteristica confermata anche da alcuni documenti Ascobans, un accordo internazionale firmato nel 1991 per regolamentare la caccia ai piccoli cetacei: i moderni strumenti utilizzati per la Grind garantiscono la morte dell’animale in 1-2 secondi. 

La caccia di quest’anno non ha però sposato del tutto questi principi. «Le armi più moderne, ovvero quelle che garantiscono una morte rapida all’animale, sono state progettate e realizzate per lo più per i globicefali [o balene pilota, ndr], che sono gli animali più cacciati. Per i delfini sono state probabilmente utilizzate armi antiche, quindi meno efficaci nel garantire una morte rapida, perché questi animali sono solo di rado oggetto della Grind», commenta Fielding. 

Il numero di globicefali uccisi ogni anno nelle Fær Øer è mediamente di 840  —  da quando sono iniziate registrazioni dettagliate più di 300 anni fa. Eppure, gli studi sull’abbondanza delle popolazioni di questa specie suggeriscono che la Grind possa essere considerata pesca sostenibile. In uno studio che risale al 1989, la popolazione atlantica nordorientale di globicefali è stata stimata in oltre 750.000 individui. Sebbene la stima sia ormai datata, una valutazione più recente della caccia ai globicefali ha rilevato che, affinché la Grind possa essere considerata sostenibile, è necessaria una popolazione di 50-80.000 globicefali nelle acque delle Fær Øer. La stima attuale è di oltre 100.000. A meno che non si tratti di una sovrastima significativa, la caccia ai globicefali quindi può essere considerata sostenibile, con circa lo 0,1% di individui uccisi ogni anno. Lo studio più recente, che esamina i dati tra il 1987 e il 2015, indica che la popolazione di balene pilota nell’Atlantico nordorientale è stata relativamente stabile durante questo periodo, senza aumenti né diminuzioni significative.

Tradizioni e rischi

«La Grind è innanzitutto una fonte di cibo. Il nostro popolo ha una duplice anima: anche se non siamo un paese in via di sviluppo, siamo attaccati alle nostre tradizioni. Questo è qualcosa che generalmente manca nei paesi più ricchi», sottolinea Mohr. L’importanza della caccia come fonte di cibo è stata confermata anche dagli studi qualitativi di Fielding, che ha intervistato numerosi abitanti dell’arcipelago rispetto a cosa significasse per loro la Grind.

«Come popolo, preferiamo ricavare il nostro cibo direttamente dall’oceano, invece che acquistarlo al supermercato. Importiamo la maggior parte degli alimenti, perché qui verdura e frutta non sono abbondanti, ma riteniamo sia più sano consumare carne di animali che hanno vissuto liberi in mare piuttosto che in allevamenti poco sostenibili», racconta Fløghamri. Sono molti i titoli dei giornali che gridano all’orrore nel vedere le foto della Grind, durante la quale il sangue dei cetacei colora l’intera baia. «Ma che differenza c’è coi macelli che si trovano in qualsiasi altro paese? Quelli sono nascosti agli occhi delle persone, noi uccidiamo animali che hanno avuto una vita libera e sana fino a quel momento», continua Fløghamri.

È ormai noto che la carne dei cetacei contiene tossine come i policlorobifenili e alti livelli di mercurio. Questo metallo può causare intossicazioni anche acute, come la malattia di Minamata, i cui sintomi includono atassia, parestesie alle mani e ai piedi, debolezza dei muscoli, problemi al campo visivo e all’udito. Secondo quanto chiarito in un’intervista di DW da Pal Weihe, primario presso il Dipartimento di Medicina del lavoro e Sanità pubblica nel Sistema ospedaliero faroese, i medici sconsiglierebbero il consumo di carne di balena, perché essa può contribuire allo sviluppo di aterosclerosi, ipertensione e Parkinson. «Gli abitanti delle Fær Øer sono consci dei rischi che corrono consumando la carne di balena, infatti non si mangia su base quotidiana e, in genere, non viene data ai bambini e alle donne incinte», spiega Fielding. Questo viene confermato anche da Fløghamri, che aggiunge: «la consumiamo una o due volte al mese, in occasioni speciali o durante le feste».

Abituati alla risonanza che ogni Grind produce a livello internazionale, i faroesi non riescono a capacitarsi del fatto che venga definita una barbarie. «Qualcuno potrebbe dire che abbiamo un differente senso della moralità. Da scrittore, ritengo che i media internazionali cavalchino titoli a effetto e immagini forti senza cercare di cogliere l’essenza di quello che viviamo», dice Mohr.

A volte, spiega Fielding, sarebbe interessante mettersi in ascolto e cercare di comprendere, al di là della legittimità che ogni diversa opinione porta con sé, il senso profondo che la Grind ha per questo popolo. «Non ho mai visto gioire nessuno per queste uccisioni, o almeno non è il tipo di sentimento che probabilmente i lettori internazionali immaginano quando leggono di questo rito definito crudele. Le persone che la compiono hanno molto rispetto per questo atto, che è puramente comunitario e non commerciale», spiega il ricercatore.

Come reagirebbe la popolazione se questa caccia venisse vietata? «Sono e sarò a favore della Grind finché verrà considerata sostenibile per la conservazione delle popolazioni di cetacei. E so che molti faroesi la pensano come me, proprio per quel rispetto e quella connessione con la natura che sentiamo di avere come popolo», conclude Fløghamri.

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  • Sara Moraca

    Sara Moraca è una giornalista scientifica. Collabora con testate nazionali e internazionali scrivendo di cambiamento climatico, biodiversità, giustizia climatica. Svolge inoltre ricerca sul tema della comunicazione del cambiamento climatico.

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