L’orologio da cento secoli

Testi di Paolo Gangemi
Illustrazioni di Eliana Odelli
Un gigantesco orologio fatto per durare 10.000 anni, che risuonerà con composizioni di Brian Eno, ci vuole far riflettere sul mondo che lasceremo alle prossime generazioni.

7 minuti | 19 Maggio 2023

Se c’è una parola che più di ogni altra caratterizza il nostro tempo è accelerazione. Viviamo nell’epoca dei tempi brevi, sempre più brevi. Le innovazioni tecnologiche diventano obsolete entro pochi anni, i mercati compiono giravolte inaspettate nel giro di qualche settimana. E la politica? Il vecchio effetto Nimby (“Not in my backyard”: non nel mio cortile di casa) sta cedendo il passo all’effetto Nimto (“Not in my term of office”: non durante il mio mandato): quando un politico deve prendere una decisione che rischia di essere impopolare, spesso tende a rimandarla a un futuro nel quale non sarà più un problema suo.

Eppure le nostre azioni di oggi avranno conseguenze di lunghissimo termine: è il caso naturalmente delle misure da prendere per mitigare i cambiamenti climatici, ma anche per esempio della gestione delle scorie nucleari che resteranno radioattive per decine di migliaia di anni. I tempi umani, sempre più brevi, sono entrati in conflitto con i lunghi tempi della natura.

Come possiamo liberarci dalla nostra visione angusta e allargare lo sguardo, proiettandoci sul lungo periodo? Quello che servirebbe è una prospettiva di ampio respiro, dall’esterno: come le prime foto della Terra dallo spazio, negli anni Sessanta, hanno avuto un forte impatto per farci percepire quanto il nostro mondo sia piccolo, delicato e appartenente a tutti, ora il problema è fare la stessa cosa con la durata temporale al posto dell’estensione spaziale.

 

La fondazione Long Now

Un manipolo di visionari si è posto la missione di estendere la nostra ottica oltre i tempi brevi a cui siamo abituati, radunati nella Fondazione “Long Now”. L’organizzazione è nata a San Francisco nel 1996 per iniziativa di un gruppetto di persone a dir poco eterogeneo: fra le altre, il presidente di Amazon Jeff Bezos (che ha investito oltre 40 milioni di dollari nella fondazione), lo scrittore Stewart Brand (che riveste il ruolo di presidente), l’informatico Daniel Hillis (principale ideologo del progetto) e il musicista di avanguardia Brian Eno (che ha ideato il nome). 

Se con il termine “now” (adesso) ci si riferisce spesso a un arco temporale di 3 giorni (ieri, oggi, domani), e con “nowadays” (al giorno d’oggi) a un periodo di 30 anni (il decennio scorso, quello attuale e il prossimo), il termine “long now” (il lungo adesso) estende il concetto di “adesso” a una durata di 20.000 anni: i primi 10.000 sono quelli passati dalla nascita dell’agricoltura – e quindi della storia, e secondo molti anche dell’antropocene – a oggi; gli altri sono i prossimi 10.000, un orizzonte sufficientemente vasto per darci una prospettiva più ampia nell’osservare quello che succede adesso. Per questo gli anni vengono contati con cinque cifre (quindi la data di nascita della Fondazione è 01996 e noi siamo oggi nell’anno 02023), e il logo della Fondazione è il simbolo : 10.000 in numeri romani.

 

Essere buoni antenati

«So di essere parte di una storia iniziata molto prima di quanto io possa ricordare e che continuerà molto più a lungo di quanto chiunque potrà ricordarsi di me», è il motto di Hillis, che così spiega il suo punto di vista: «Pianto le mie ghiande sapendo che non vivrò abbastanza da raccogliere i frutti della quercia». La domanda che si fanno alla Fondazione, e che dovrebbe risuonarci nelle orecchie ogni giorno, è: «Possiamo dire di essere buoni antenati per i nostri discendenti?».

La Fondazione ha promosso iniziative serie (fra cui una moderna “Stele di Rosetta” per conservare e trasmettere ai posteri la memoria di oltre 1500 lingue) e altre decisamente più futili, come Long Bets, sito di scommesse a lunghissimo termine (anche se non è chiaro chi pagherà – e a chi – le eventuali vincite fra molti secoli).

 

Un orologio per il futuro remoto

Il progetto di gran lunga più ambizioso, che è l’icona della Fondazione e ambisce al ruolo di corrispettivo temporale della foto della Terra vista dallo spazio, è un gigantesco orologio che batterà il tempo ancora fra 10.000 anni: l’orologio decamillenario, «un simbolo duraturo dei nostri legami con il futuro remoto».

Costruire l’orologio, ancora nelle evocative parole di Hillis, significa «elevare un monumento che sia allo stesso tempo una celebrazione e uno stimolo alla capacità umana di sganciarsi dall’ottica a breve termine dei cicli economici e pensare invece al futuro sul lunghissimo periodo, al mondo che lasceremo alle nuove generazioni».

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Un modellino dell’orologio è in mostra al Science Museum di Londra e altri due sono in funzione nella sede della Fondazione a San Francisco. Il congegno a grandezza naturale, che sarà alto 150 metri, è in costruzione nel deserto del Texas, in un enorme vano ricavato all’interno di una montagna; non c’è una data prevista per il suo completamento – del resto, l’idea del progetto è proprio quella di non guardare ai tempi brevi.

Come un orologio tradizionale, sarà azionato da un pendolo; la differenza – a parte le grandi dimensioni – starà appunto nei tempi lunghi: il rintocco scoccherà una volta all’anno, la lancetta si muoverà ogni 100 anni e il cucù sbucherà fuori ogni mille anni. Per diecimila anni.

 

Un marchingegno autonomo

Il problema principale, in un’impresa del genere, è assicurarsi che il dispositivo resti davvero in funzione per cento secoli. Non sapendo come sarà organizzata l’umanità futura, i promotori della Fondazione hanno messo in conto che l’intero marchingegno dovrà essere autonomo da ogni intervento umano. Perciò, oltre ad aver individuato una località caratterizzata da condizioni geologiche e climatiche estremamente stabili, hanno deciso di usare i materiali più resistenti. L’orologio sarà in gran parte in acciaio inossidabile, il pendolo in una lega di titanio e le parti mobili in una speciale ceramica ingegnerizzata estremamente duratura, con una durezza paragonabile a quella del diamante e con caratteristiche tali da eliminare la necessità di una lubrificazione periodica. Infine, un contenitore di quarzo proteggerà gli ingranaggi dalla polvere, dagli insetti e dagli altri agenti esterni. 

Stesso discorso per l’alimentazione del gigantesco dispositivo, che dovrà essere in grado di funzionare da solo per dieci millenni. Non esistendo ovviamente batterie con una durata neanche lontanamente sufficiente, l’energia necessaria sarà fornita da un generatore: posto all’esterno della montagna, produrrà elettricità sfruttando la differenza di temperatura fra il giorno e la notte, grazie al fenomeno fisico conosciuto come effetto Seebeck (in cui la produzione di elettricità dipende solo dalla temperatura e non dalla luce, e quindi è assicurata anche in caso di nuvole o pioggia).

 

Tre milioni di melodie

L’orologio decamillenario sarà anche un’attrazione turistica, e anzi già da adesso si possono prenotare le visite. Anche a questo proposito, coerentemente con la filosofia della Fondazione, il “tempio dei tempi lunghi” non risponderà alle esigenze dei turisti mordi e fuggi, ma anzi richiederà una certa pazienza a chi vorrà ammirarlo: solo per raggiungere l’ingresso del sito sarà necessaria una discreta scarpinata di varie ore, e per osservare tutti gli ingranaggi bisognerà inerpicarsi per una scala a chiocciola scavata nella roccia intorno all’orologio (portando con sé anche una lampada, dato che l’enorme vano sarà perennemente immerso nella penombra).

Chi sarà disposto a sobbarcarsi questa fatica sarà ripagato da un’esperienza unica. Per prima cosa potrà azionare manualmente un dispositivo per visualizzare effettivamente l’ora esatta su un quadrante: in teoria il requisito minimo per un orologio, ma non in questo caso, dal momento che l’alimentazione energetica autonoma servirà a tenere il conto del tempo ma non a rappresentarlo.

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Soprattutto, il visitatore potrà mettere in funzione un altro meccanismo: un complesso di dieci grandi campane programmate per suonare più di tre milioni e mezzo di melodie, ogni volta diverse. Le musiche infatti sono state composte da Brian Eno con l’aiuto del computer in modo che possano suonare, una al giorno, senza mai ripetersi nell’arco dei 10.000 anni: una versione sofisticata delle “musiche per dadi” con cui si divertivano alcuni compositori del Settecento (fra cui forse anche Mozart). Ogni visitatore, quindi, ascolterà una melodia diversa da quella di tutti gli altri arrivati prima o dopo di lui: un’esperienza unica nel vero senso della parola.

In più c’è una sorpresa in questo mastodontico uovo di Pasqua. A volte, in caso di temperature esterne particolarmente alte di giorno e basse di notte, e quindi di un surplus di rifornimento energetico, la musica potrà partire da sé anche in assenza di interventi umani. Così, anche se a causa di qualche guerra o catastrofe naturale l’umanità dovesse estinguersi prima, l’orologio decamillenario sarà il suo solo prodotto che – fra una miriade di ruderi immobili e silenziosi sparsi per il mondo – continuerà a scandire il tempo con un lento movimento e a suonare melodie che nessuno ascolterà mai.

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