Come va gestita la fauna problematica in Italia?

Fotografie di Fabio Ghisu
Popolazioni in crescita, incontri sempre più frequenti e la tragica uccisione di un runner in Trentino aggredito da un orso hanno alimentato molte discussioni sulla gestione faunistica nel Belpaese. L’opinione di Luigi Boitani sulla conservazione di orsi e lupi sul suolo italiano.

6 minuti | 1 Luglio 2023

Luigi Boitani, ordinario di Zoologia all’Università la Sapienza di Roma e Presidente della Large Carnivore Initiative for Europe, è uno dei massimi esperti a livello italiano e internazionale nella gestione del lupo. Lo abbiamo contattato per avere le sue impressioni sull’attuale gestione della cosiddetta “fauna problematica” sul territorio italiano, in particolare orsi e lupi.

A causa dei più recenti eventi, si è tornato a parlare molto del progetto Life Ursus, con cui sono stati reintrodotti in Trentino una decina di esemplari di orso, ormai più di vent’anni fa. In generale, secondo lei è stato un progetto di successo o è mancato qualcosa?

«No, è un progetto di grande successo, dato che è nato per riportare l’orso in Trentino e gli orsi in Trentino ora ci sono. Ha funzionato molto bene. Poi ovviamente dei problemi di gestione sono intervenuti strada facendo, ma questo è un altro discorso. Nel complesso direi che è un progetto che ha avuto successo».

Il grande pubblico, e soprattutto il pubblico trentino, ha almeno in parte ha cambiato questa visione nei rapporti con l’orso? Forse è mancato qualcosa a livello di comunicazione da parte delle istituzioni?

«Sicuramente sì a livello di comunicazione, visto che sulla sua posizione il pubblico trentino è stato interrogato prima di fare il progetto Life Ursus e il rapporto è ancora sul sito della Provincia. Si può scaricarlo anche adesso. Fu fatto dalla Doxa con un’indagine e il 70% della gente in Trentino era molto favorevole all’introduzione dell’orso. Quindi il progetto fu fatto col pieno supporto della popolazione. Poi chiaramente le cose strada facendo sono cambiate, sono avvenuti alcuni incontri, la gente ha scoperto che l’orso ha anche una bocca, dei denti e quattro zampe e quindi l’opinione è cambiata. Adesso forse sono di più i pareri negativi ma non è detto: non è stata fatta un’inchiesta davvero approfondita che campioni per bene tutto lo stato dell’opinione pubblica trentina».

Per quanto riguarda il PACOBACE, il regolamento di base con cui si gestiscono questi animali, secondo lei ci sarebbe qualcosa da cambiare oppure di per sé va bene così com’è?

«Va largamente bene ma andrebbe applicato fino in fondo, cosa che non si sta facendo per vari motivi, a cominciare per esempio dalla rimozione degli animali problematici. Nel PACOBACE era scritto che andavano rimossi punto e basta. Adesso, invece, con gli input un po’ strampalati degli animalisti e del Tar che intervengono un pochino a sproposito, il PACOBACE ha delle difficoltà a essere applicato. Qualche cambiamento andrebbe però fatto sicuramente, qualche aggiustamento per gestire soprattutto la fase del successo, non più la fase dell’inizio del progetto». 

Diffusione e corridoi faunistici

Sempre riguardo agli orsi, il Life Ursus è un progetto di successo ma per ora riguarda solo il Trentino. L’idea sarebbe un giorno di vederli su tutto l’arco alpino?

«Bisognerebbe sentire tutte le altre amministrazioni adiacenti: Brescia, l’Alto Adige, la Svizzera, l’Austria, il Veneto e così via. Insomma, tutti quelli che stanno intorno al Trentino e che non sono stati interpellati fino adesso».

Dei corridoi faunistici potrebbero servire a far distribuire questa popolazione di orsi?

«Questa storia dei corridoi faunistici non si sa da dove sia nata. Non si sa chi è che l’ha tirata fuori ma è ovviamente qualcuno che non sa che cos’è la biologia dell’orso e continua a dire queste cose senza senso. Gli animali non corrono lungo i corridoi. Questa è una cosa che sta nella mente di qualche umano malato oppure disinformato. Specialmente i grandi carnivori, il lupo e l’orso, non conoscono corridoi, vanno dappertutto. Basta vedere gli orsi del Trentino: sono arrivati in Austria, in Svizzera, il famoso M49 ha attraversato quattro volte l’Adige, l’autostrada, la ferrovia e così via. Non esiste migliore dimostrazione di come questi animali non abbiano bisogno di corridoi».

Però è una voce che gira tanto.

«Tantissimo, tantissimo. Ma è una sciocchezza totale».

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La convivenza con la fauna problematica

Visto che lei è uno dei più grandi esperti di lupi, le chiedo se su questi animali c’è qualche elemento, a livello di gestione, che andrebbe cambiato in Italia. Perché adesso i numeri stanno crescendo tanto.

«Sì certo, andrebbe fatto un piano per la gestione. Un piano di gestione del lupo è stato proposto dal 2015, fatto anche dal Ministero. Ma non è riuscito a essere discusso e approvato da tutte le regioni, è ancora sospeso. È chiaro che una specie come il lupo avrebbe bisogno di un piano di gestione fatto bene. Era fatto, ma non si riesce ad approvare perché richiede l’unanimità, e l’unanimità significa che siano d’accordo anche la Sicilia e la Sardegna che il lupo non ce l’hanno». 

In altre nazioni, in altri paesi si convive da tanto tempo con animali problematici. C’è qualche esempio virtuoso, o qualche esempio che invece non andrebbe proprio seguito?

«Di virtuoso in altri paesi c’è che lo Stato si prende carico di fare una gestione nazionale. La Francia, per esempio, al di là delle scelte che fa, di abbattere dei lupi o quello che sia, comunque ha un piano d’azione nazionale, ha un gruppo nazionale sul lupo che si riunisce a Parigi e tutta la gestione del lupo si conforma a queste scelte centralizzate. Parlo della Francia ma va bene anche parlare della Germania che è un paese federale e, anche se la gestione è a livello dei Länder, esiste però anche un Ministero centrale che li coordina. Se andiamo a cercare una mappa su dove sono i lupi e quanti sono, troviamo per la Germania le informazioni più aggiornate disponibili pubblicamente. E così via. Ci sono molti esempi virtuosi di azioni per la gestione del lupo in giro per l’Europa».

La gestione del rischio

Lei cita molto spesso le istituzioni, perché, giustamente, è loro la responsabilità della gestione della fauna. Ma fino a che misura la responsabilità dei rapporti con la fauna problematica è a carico esclusivamente delle istituzioni e quando passa anche ai cittadini, all’impegno civico del singolo cittadino?

«Il rapporto quotidiano è ovviamente in mano al cittadino però l’istituzione deve dare delle regole, deve dare delle linee guida, deve dare anche dei supporti economici, cosa che fanno in Italia molte amministrazioni regionali. Forniscono anche dei supporti economici per chi si vuole dotare di sistemi di prevenzione, per esempio, del danno da parte del lupo ma anche dell’orso, e così via. Solo che tutto questo è fatto in maniera veramente scoordinata, sconclusionata, campata per aria e molto episodica, purtroppo».

Il rischio zero con l’orso ma in generale con la fauna problematica non c’è?

«No il rischio zero non c’è per niente. Non c’è mai in realtà, neanche quando attraversiamo la strada».

Ma secondo lei è socialmente accettabile, quando si ha a che fare con questo tipo di fauna, dire al pubblico “guardate che il rischio zero non esiste”?

«È ovvio, è inevitabile. Due milioni di persone vanno a fare i turisti al parco d’Abruzzo ogni anno. Due milioni, mica due. E due milioni vanno in un posto dove ci sono più lupi che in qualsiasi altro posto dell’Appennino, più orsi che qualsiasi altro posto dell’Appennino. E gli si dice: sei in un parco nazionale, non sei a Villa Borghese, quindi prendi le tue precauzioni. E non è successo mai nulla.

Però è una bella sfida per il futuro e un bel esempio questo dell’orso, in territori dove c’è un’amministrazione che è capace, efficiente tecnicamente e politicamente. È un po’, diciamo così, abbandonata a delle esternazioni spesso surreali, ed è un peccato perché le capacità e i mezzi tecnici, economici, finanziari, culturali ci sarebbero tutti».

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