Creazioni (non) infettive

Testi di Erica Villa
Intervista ad Anna Dumitriu, l’artista che grazie alle sue collaborazioni con il mondo della microbiologia è diventata una pioniera della bioarte.

13 minuti | 7 Luglio 2023

Anna Dumitriu è un punto di riferimento mondiale per la bioarte. Ha all’attivo oltre 130 mostre, di cui un quarto personali, in gallerie e musei (anche scientifici) prestigiosi, e ha collaborato, come artista in residenza e come borsista di ricerca, con i maggiori centri di ricerca in microbiologia britannici. La sua ricerca nel mondo dell’arte e scienza è iniziata nel periodo in cui Internet è diventato uno strumento utile e veloce per imparare cose nuove, alla fine degli anni Novanta. 

«Ho potuto iniziare a esplorare i meandri più nascosti dei miei interessi e scoprire mondi davvero inaspettati». Quando scopre che i batteri Escherichia coli sono parte integrante del nostro corpo e non sono solo microbi maligni che prendiamo in seguito ad avvelenamento da cibo, l’entusiasmo la porta ad avviare una collaborazione con uno dei più importanti microbiologi dell’Inghilterra sud-orientale, il professor John Paul. Dumitriu comincia a esplorare la flora normale – i microrganismi che vivono sul o dentro il nostro corpo – a casa sua, primo passo verso la creazione dell’opera Normal Flora.

Anna Dumitriu in laboratorio. Foto di Anna Dumitriu.

Comprendere il microbioma

L’artista ha così iniziato a confrontarsi con scienziati che stavano esplorando la genomica delle malattie infettive. «Quando il progetto è iniziato», racconta, «quest’area di studio microbiologico non era ancora considerata di interesse commerciale o medico, e se ne sapeva poco. Il progetto ha evidenziato come la nostra comprensione scientifica del mondo sia limitata dall’economia e come questa, di conseguenza, tracci i limiti della nostra comprensione». 

È stato grazie all’avvento delle tecnologie genomiche, la capacità di sequenziare l’intero genoma dei batteri, che abbiamo potuto comprendere quello che oggi chiamiamo microbioma umano, l’ecosistema di tutti i batteri che vivono in noi, su di noi e intorno a noi. Il progetto Normal Flora rappresentava l’interconnessione tra varie forme di vita con un esame approfondito dell’ambiente e della vita microbica, attraverso la creazione di una serie di opere d’arte, performance partecipative e workshop in laboratori di ricerca e nelle scuole.

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Un centro per sperimentare

Nel 2004, Anna Dumitriu fonda l’Institute of Unnecessary Research (IUR). In parte collettivo artistico, in parte think tank, l’IUR è un centro globale per ricercatori e artisti sperimentali. Per l’IUR, l’arte intreccia reti di idee, trasgredendo i confini del mondo accademico tradizionale e mettendo in discussione i metodi di produzione della conoscenza nel XXI secolo. «Gli artisti sono innovatori e il nostro ruolo è quello di coinvolgere e, se necessario, criticare le tecnologie emergenti e gli sviluppi scientifici. Le nostre opere d’arte, le conferenze e le altre attività sono concepite per essere accessibili a un pubblico con background diversi, in modo coinvolgente e stimolante». 

Che si lavori in ambito di biologia sintetica robotica, intelligenza artificiale, coltura dei tessuti, neuroscienze, o realtà virtuale, la filosofia e l’etica sono sempre al centro del lavoro dello IUR, che analizza la strumentalizzazione della scienza a fini commerciali e politici. Per Anna Dumitriu, mettere gli scienziati in una categoria e gli artisti in un’altra è una falsa dicotomia. Lavorare in modo transdisciplinare non è solo importante ma necessario affinché i metodi e i soggetti possano confondersi. Ed è altrettanto importante per gli scienziati impegnarsi e sperimentare metodologie artistiche, così come per gli artisti esibirsi e intervenire nella scienza. «Avere artisti in laboratorio permette agli scienziati di riflettere sul loro lavoro da una prospettiva culturale e sociale, un’opportunità importante e unica», spiega l’artista.

bacterial baptism

Bacterial Baptism, 2022. Foto di Anna Dumitriu.

Anna Dumitriu porta la critica sociale nella scienza

Per Anna Dumitriu, la competenza più importante di cui un artista ha bisogno per lavorare a fianco degli scienziati in un laboratorio è la capacità di fare domande, ma soprattutto di continuare a farle finché non è tutto chiaro. Ama lavorare in laboratorio e intraprendere gli stessi esperimenti che eseguono i ricercatori, imparando a lavorare con gli stessi strumenti. In questo modo è possibile commentare e intervenire molto più profondamente nel processo scientifico e portare nel lavoro creatività, critica e riflessione etica e sociale. Dumitriu vuole comprendere le basi storiche di una ricerca scientifica fin dall’inizio, e le implicazioni future del lavoro. «Spesso mi accorgo che molto di ciò di cui parliamo oggi è molto simile a ciò di cui parlavano i nostri antenati, siano essi alchimisti o le cosiddette streghe». 

Una delle sue collaborazioni attuali, ma di lunga data, è quella con la dottoressa Jane Freeman, che si occupa del microbioma umano. Hanno intrapreso insieme molti progetti sui batteri intestinali e persino sui trapianti di feci umane. Un lavoro recente, intitolato Bacterial Baptism, ha esplorato il modo in cui si sviluppa il microbioma dei neonati, con particolare attenzione al batterio Clostridioides difficile. «Abbiamo lavorato insieme per tutta la durata della pandemia e ci siamo incontrate ogni due settimane online, finché non mi è stato permesso di tornare in laboratorio dopo la pandemia. Il mio modo di lavorare è sempre quello di inserirmi all’interno della ricerca e lasciare che le idee emergano dal metodo scientifico, attraverso il lavoro pratico e la discussione con gli scienziati».

Malattia e pregiudizio

Anna Dumitriu entra nei laboratori, fa ricerca e a volte si porta a casa dei campioni. Questa procedura non è però applicabile sempre nello stesso modo. «Ovunque ci si trovi nel mondo ci sono sempre differenze culturali, prospettive diverse su arte, scienza, filosofia, storia ed etica» racconta. «Negli Stati Uniti la modificazione genetica e la biologia sintetica sono molto più comuni. Nell’Unione Europea è molto difficile portare fuori dal laboratorio le colture modificate geneticamente». 

Per quanto riguarda le malattie infettive, sebbene la salute sia un problema globale, esistono enormi disuguaglianze nell’assistenza sanitaria in tutto il mondo. «Quando ho mostrato la mia serie di opere Romantic Disease a Tashkent in Uzbekistan, in occasione della conferenza di Medici Senza Frontiere sulla tubercolosi nell’Europa orientale e nell’Asia centrale, ho ricevuto una reazione molto diversa rispetto a quando l’ho mostrata nel Regno Unito». La Dumitriu racconta come ci sia un enorme stigma e ancora un alto tasso di diffusione della tubercolosi in molti dei Paesi che costituivano l’ex Unione Sovietica. In Russia, ad esempio, il carico di tubercolosi è ancora molto elevato e l’accesso all’assistenza sanitaria e ai farmaci è scarso per molte persone. La situazione non può che essere esacerbata dall’attuale guerra. «Si tratta di vittime invisibili del conflitto, che non ne fanno parte, ed è molto triste». 

Nel Regno Unito, invece (ma anche da noi) si pensa che la tubercolosi sia una malattia del passato, mentre a causa della tubercolosi muoiono ogni anno due milioni di persone. Il Regno Unito è stato molto innovativo nell’applicazione di tecnologie genomiche all’avanguardia per curare questa malattia. «Ho lavorato a lungo con i collaboratori del progetto di modernizzazione della microbiologia medica e del progetto CRyPTIC dell’Università di Oxford per creare la serie di opere Romantic Disease e un’opera digitale interattiva basata sui dati chiamata Susceptible».

Susceptible Anna Dumitriu

L’installazione di Susceptible. Foto di Anna Dumitriu e Alex May.

Una stanza tutta per sé, durante la pandemia

Durante le prime fasi della pandemia da COVID-19, l’artista ha creato un’opera intitolata Shielding (schermatura). Shielding ha esplorato l’impatto della quarantena sulle donne che subiscono abusi domestici e il significato paradossale della casa come rifugio. I notiziari di tutto il mondo hanno evidenziato l’aumento significativo delle violenze domestiche in quel periodo, in cui l’accesso al sostegno per le vittime di abusi è stato molto più difficile a causa delle misure di controllo delle infezioni. 

L’opera si ispira al saggio femminista di Virginia Woolf Una stanza tutta per sé (pubblicato nel 1929), in cui si afferma che le donne hanno bisogno di un proprio spazio sicuro per prosperare ed essere creative. Questa nozione di “spazio sicuro” si contrappone all’immagine cruda del reparto ospedaliero temporaneo costruito in fretta e furia, che è diventato un’immagine familiare nelle notizie del 2020. «Chi è stata rinchiusa con un partner violento non ha avuto uno spazio sicuro in cui fuggire». Le restrizioni alla circolazione, volte a fermare la diffusione del COVID-19, hanno reso la violenza nelle case più frequente, più grave e più pericolosa. Per le persone a rischio di abuso domestico la casa non è stato un luogo di sicurezza e cura: le linee di assistenza telefonica a livello globale hanno visto un aumento delle chiamate di oltre un terzo.

Shielding è stato impregnato con il vero RNA del SARS-CoV-2 a partire da un costrutto plasmidico. Si tratta di un reagente sicuro e non infettivo. L’RNA del SARS-CoV-2 è stato fornito dai ricercatori Ines Moura e Jane Freeman dell’Università di Leeds, che stanno lavorando allo sviluppo e all’uso di un saggio RT-PCR per la rilevazione del SARS-CoV-2 nelle feci.

Shielding Anna Dumitriu

Shielding, 2020. Foto di Anna Dumitriu.

Nuove tecnologie

«Lavoro costantemente con le nuove tecnologie, esplorando come funzionano e cosa fanno e cercando di imparare a usarle. Provare a realizzare materialmente qualcosa è il modo più semplice per imparare cosa è possibile fare». Di recente l’artista ha lavorato molto con le tecniche di biologia sintetica. Secondo il CRISPR Journal, è stata la prima artista a realizzare un’opera d’arte utilizzando CRISPR/Cas9, la potente tecnica di modificazione genetica ideata nel 2012 da Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna. 

Ad Anna Dumitriu piace anche lavorare con le tecnologie dei sensori, la robotica e i biomateriali. «Ho lavorato per molti anni con la realtà virtuale e aumentata per creare installazioni immersive come Sequence VR, che porta lo spettatore all’interno dell’intera sequenza genomica del batterio Staphylococcus aureus. Mi piace questo modo di lavorare, ma penso che dobbiamo essere consapevoli che le grandi aziende cercano di influenzare il nostro uso di queste tecnologie per fini commerciali».

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Ha lavorato con le tecnologie blockchain e NFT, come modo per registrare il suo processo artistico e tutti i dati di conservazione delle opere d’arte fisiche. La serie Unruly Objects contiene un’etichetta RFID che punta a un file contenente tutti i dati dell’opera d’arte. L’idea è di usare la tecnologia blockchain per garantire la provenienza di questi dati di conservazione e memorizzare i dati futuri quando i restauratori si occuperanno dell’opera. «Sono decisamente incuriosita da questa tecnologia, ma ho alcune domande su come vengono utilizzati gli NFT dal punto di vista economico e su alcuni tipi di opere d’arte che vengono condivise grazie ad essi. Preferisco ancora l’idea di avere un oggetto fisico che si possa sperimentare di persona».

Unruly objects Anna Dumitriu

Unruly objects. Foto di Anna Dumitriu.

Immaginare la vita

Ora Dimitriu sta collaborando con il progetto europeo CAPABLE, insieme al collega Alex May, per sviluppare un’opera d’arte chiamata Physic AI Garden, che ha la forma di uno splendido e dinamico giardino digitale, dove piante e funghi virtuali crescono e interagiscono tra loro e con il pubblico. Le piante rappresentano diversi farmaci; il giardino cresce in base a quali farmaci funzionano bene insieme e quali invece causano effetti collaterali. Il pubblico può “piantare” dei semi (tramite un iPad o un’interfaccia scultorea), che rappresentano diversi trattamenti farmaceutici all’interno dell’ecosistema, e vederli fiorire o appassire a seconda delle interazioni.

Dalla collaborazione con Alex May è nata anche ArchaeaBot, un’installazione robotica subacquea che esplora cosa potrebbe significare “vita” in un futuro post cambiamento climatico. L’opera si basa su nuove ricerche sugli archaea, un gruppo di microrganismi unicellulari ritenuti la più antica forma di vita sulla terra adattata alla vita in condizioni estreme. Combinando queste conoscenze con le più recenti innovazioni nell’intelligenza artificiale e nell’apprendimento automatico, gli artisti hanno cercato di creare la specie “definitiva”, adatta a resistere alla fine del mondo.

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  • Erica Villa

    Erica Villa ha una laurea in biologia e un master in comunicazione della scienza. Cura e studia le connessioni e le collaborazioni tra ricercatori e artisti in progetti europei, residenze e mostre.

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