L’antico legame tra uomo e cane

Dal primo lupo confidente ai cani delle famiglie ucraine in fuga, cosa è cambiato? Una ricostruzione del rapporto tra uomo e cane, dalla preistoria a oggi.

6 minuti | 21 Aprile 2022

Marzo 2022, Ucraina. Un uomo porta in spalla un pastore tedesco. Percorrerà così 17 chilometri, la distanza che lo separa dal confine polacco. Non ha altra scelta: il conflitto con la Russia ha appena cancellato la sua casa, le sue certezze. Uno zaino come unico bagaglio e il suo anziano cane, irrinunciabile compagno. Il soggetto di una delle tantissime immagini diffuse sui social network è un’istantanea del legame tra uomo e cane. Un legame antico che si sta ancora evolvendo, il nostro canale più prossimo con l’animalità.

Il cane, protettore della casa

«Le immagini che abbiamo visto ci dicono che, in particolar modo nel mondo occidentale, il rapporto con il cane è diventato un rapporto di integrazione, è un membro della famiglia a tutti gli effetti. E quindi, in quanto tale, è evidente che lo porti dietro esattamente come ti porti dietro un figlio, un compagno, un amico. È un rapporto per cui il cane non è una cosa, non è un oggetto che si può abbandonare», spiega Roberto Marchesini, filosofo, etologo e zooantropologo. «Proprio perché famiglia, portare con sé un cane significa anche portare qualcosa della propria dimensione familiare. In quel momento l’animale rappresenta le radici della persona, un pezzo di casa. Gli animali sono diventati un po’ quello che i Romani chiamavano Lari e Penati».

L’uomo che tiene sulle spalle il vecchio pastore tedesco ricorda molto Enea che porta in salvo il padre Anchise, in fuga da Troia in fiamme. Enea è l’eroe della pietas, della devozione verso la famiglia. «L’immagine è proprio quella che ci descrive Virgilio, è il portarsi dietro le divinità protettrici della dimensione domestica, della casa. Non scappi dal tuo mondo, te lo porti dietro, come un albero con la sua zolla».

Dal cane compagno di caccia al pet

I ritrovamenti archeologici fanno risalire la presenza di cani moderni (Canis lupus familiaris) a più di 30.000 anni fa. La datazione deriva dall’analisi dei reperti disseppelliti nella grotta di Goyet, in Belgio, e nella grotta di Razboinichya, in Siberia. A partire dal primo lupo confidente che, probabilmente, si era avvicinato a qualche accampamento umano in cerca di avanzi, è nato un sodalizio millenario. Ancora prima della rivoluzione neolitica, la grande mobilità dei cani, la loro capacità di coordinamento e cooperazione sociale, la loro possanza, avevano potenziato le nostre possibilità di caccia. Sono stati i primi animali – e per migliaia di anni gli unici – che abbiamo addomesticato. 

«Il nostro rapporto con gli animali si è evoluto come si sono evolute le società. L’esempio del cane è paradigmatico. Nel mondo del Paleolitico è l’ausiliario della caccia, della difesa di comunità di cacciatori-raccoglitori nomadi. In seguito, dopo la rivoluzione neolitica, c’è la prima specializzazione degli archetipi di razza per tante tipologie di lavoro, quali la conduzione e protezione del gregge o la guerra. Dal cane tuttofare del Paleolitico, ci ritroviamo con una diversificazione dei compiti, proprio come succede all’uomo del Neolitico, per cui inizieranno a esistere diverse occupazioni».

Nelle società post-neolitiche gli animali assumeranno un ruolo centrale, la cultura rurale impregnerà la classicità, il Medioevo, sino ad arrivare all’Età moderna. Poi i grandi cambiamenti del Novecento, «quando inizia il tramonto della cultura rurale e c’è l’avvento della globalizzazione. La cultura urbana cambia profondamente il nostro rapporto con gli animali. Nel mondo rurale era molto più forte, i bambini crescevano fin da piccoli vivendo il rapporto con gli animali e si dedicava molto tempo al loro accudimento. La cultura urbana, invece, tende ad antropomorfizzare gli animali, quindi a creare un rapporto molto più stretto, ma non sempre più autentico, rispettoso delle caratteristiche».

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Una relazione autentica

Spesso chi cerca la compagnia di cani e di altri animali evita l’incontro e l’accettazione dell’animalità stessa. Ad esempio lo vediamo nei cuccioli tenuti perennemente in braccio o, addirittura, nei carrozzini, trattati come figli umani e non come compagni di un’altra specie.

Siamo cresciuti insieme, noi e i cani. Con loro dovremmo costruire relazioni: «In una relazione», sottolinea Marchesini, «io considero l’altro un soggetto e non un oggetto. C’è relazione se io considero l’altro per le sue caratteristiche di diversità e non una proiezione. I grandi nemici della relazione, della sua autenticità, sono da una parte la tendenza a strumentalizzare o a reificare l’animale, dall’altra ad averne una visione proiettiva e quindi ad antropomorfizzarlo. Se davvero la relazione c’è, io riconosco che un cane è un soggetto diverso da me, accetto da una parte la sua soggettività, dall’altro la sua diversità. Questo è il principio dell’alterità».

Animalità e alterità

Un’alterità arricchente, ibridativa, che ci smuove dalla nostra autoreferenzialità di esseri umani, da quella centralità in cui l’Uomo si è assiso nell’intera storia del pensiero occidentale. Un cambio di punto di vista che dovrebbe far parte di un nuovo modo di approcciarci al nostro Pianeta. 

Ci sono due correnti filosofiche che quasi incarnano le due strade che potremmo intraprendere: l’iperumanismo, che incentiva l’antropocentrismo e fa dell’uomo l’unica entità degna d’attenzione, padrone di tutte le risorse presenti sulla Terra. Un pensiero che è già stato il fulcro delle culture occidentali, ma che dall’umanismo si ramifica e si potenzia grazie allo sviluppo tecnologico. E poi c’è il postumanismo in cui l’essere umano, fulcro e misura del mondo occidentale, viene decostruito per abbracciare la pluralità dell’esperienza umana e animale, contaminandosi con l’alterità.

«Il postumanismo prende in considerazione il fatto che saremo costretti ad affrontare una transizione che non sarà solo energetica, sarà proprio una transizione di paradigma culturale. Dovremo rivedere la matrice stessa delle nostre derivate culturali, dovremo cambiare per affrontare le sfide che ci attendono. La grande incognita del futuro è un’incognita ecologica», conclude Marchesini. «Non riguarda quelli che sono i nostri sogni, i nostri progetti, i nostri desideri, ma il fatto che il Pianeta ci sta portando il conto: dopo aver mangiato e banchettato, pensando che in fondo non ci fosse limite al nostro pranzo luculliano, adesso si sta avvicinando il cameriere con il conto e dobbiamo saldarlo».

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  • Alessia Colaianni

    Alessia Colaianni è dottoressa di ricerca in Geomorfologia e Dinamica ambientale, giornalista e divulgatrice scientifica. Racconta storie di animali – umani e non umani – e dell’ambiente in cui vivono.

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