L’arte di addomesticare le piante

Testi di Anna Spinelli
La collaborazione tra un biologo e uno storico dell’arte ha dato vita a un viaggio alla scoperta dell’evoluzione della frutta e verdura che mangiamo, a partire da dipinti e affreschi.

15 minuti | 13 Gennaio 2023

Capita a volte di sentire i propri nonni lamentarsi che, quando erano bambini, la frutta era più buona e che ora non c’è più la verdura di un tempo. Gli ortaggi sono tutti troppo grandi o troppo piccoli, non hanno più lo stesso sapore e a volte nemmeno lo stesso colore e forma. Probabilmente da piccoli anche loro avranno sentito affermazioni simili dai propri nonni, contribuendo a tramandare la retorica del «si stava meglio prima». Tuttavia, l’affermazione che frutta e verdura non sono come un tempo ha un fondo di verità: tutto attorno a noi cambia e si evolve, anche gli ortaggi. Nei secoli,  l’essere umano ha avuto una forte influenza sull’evoluzione di frutta e verdura, operando una selezione artificiale e consapevole, chiamata domesticazione.

A partire da quando gli esseri umani abbandonarono la vita nomade per stabilirsi in un luogo, praticando l’agricoltura stanziale, sono state molte le specie di piante addomesticate. Spesso lo scopo era assicurarsi una fonte stabile e abbondante di cibo. A volte, però, le piante erano selezionate per altri motivi come, per esempio, ricavare materie prime come cotone ed erbe medicinali, oppure per ragioni estetiche, come nel caso delle piante ornamentali. La domesticazione è quindi iniziata ben prima che scoprissimo le leggi della genetica e i meccanismi alla base dell’evoluzione, o che imparassimo a creare organismi geneticamente modificati in laboratorio. In passato si doveva però aspettare che nascesse casualmente un individuo con una determinata caratteristica, per poi selezionare la prole che l’avrebbe ereditata. Tutto ciò richiedeva molto tempo, motivo per cui ci sono voluti secoli per accumulare le mutazioni che distinguono oggi le specie domestiche da quelle selvatiche.

 

ArtGenetics, il progetto che unisce biologia e arte

Per ricostruire la storia delle piante domestiche, alcuni scienziati studiano la domesticazione utilizzando un approccio interdisciplinare tra biologia e arte in cui l’analisi dell’evoluzione vegetale parte dall’osservazione dei dipinti di varie epoche. Non tutti i dipinti, di tutti gli artisti e correnti pittoriche, rappresentano però delle fonti attendibili. Per essere sicuri di utilizzare solo fonti adeguate è importante che, per ogni immagine, ci si chieda quando, con che stile e da chi è stato dipinto. Se in un quadro sono rappresentati in modo realistico altri elementi oltre all’ortaggio, si può presumere che anche quest’ultimo sia stato dipinto con lo stesso stile. Viceversa, è incauto usare dei dipinti astratti come fonti: non sarebbe corretto, per esempio, ritenere realistico e aderente alla realtà un quadro di Picasso.

Questo è il metodo di studio della domesticazione che utilizzano il biologo Ive de Smet, ricercatore del Centro di Biologia sistematica vegetale dell’Università di Gand, e dello storico dell’arte David Vergauwen, ricercatore all’Accademia reale di belle arti di Anversa. Nella loro pubblicazione sulla rivista Trends in Plant Science i due ricercatori affermano infatti che «è affascinante vedere come l’unione di due discipline tra loro distanti, storia dell’arte e biologia molecolare, nell’approccio di #ArtGenetics, porti a preziose scoperte nell’evoluzione e domesticazione dei nostri alimenti vegetali». Il loro progetto prevede la creazione di un database in cui catalogare le innumerevoli immagini di ortaggi presenti nelle opere d’arte, per poi risalire alla causa genetica e molecolare alla base dei cambiamenti subiti da questi vegetali.

#ArtGenetics inoltre coinvolge tutti gli appassionati di arte e di botanica con un approccio di citizen science, in cui il pubblico è chiamato a contribuire attivamente alla ricerca scientifica. Chiunque può scovare i dipinti nei musei, fotografarli e inviare le immagini ai ricercatori. Vi è mai capitato di passeggiare tra le sale silenziose di un museo e realizzare che la frutta e la verdura dipinta nei quadri di banchetti e nature morte del passato è diversa da quella che conosciamo e mangiamo oggi? Si trovano così diversi esempi di frutta e verdura addomesticate tra gallerie d’arte e antichi affreschi.

Le angurie bianche di 5000 anni fa

Famosa per il colore rosso sgargiante costellato di semi neri, in passato in realtà l’anguria aveva la polpa bianca. Se ha raggiunto il suo aspetto attuale  è solo grazie alla domesticazione da parte degli agricoltori, che ne hanno selezionato nel tempo varietà progressivamente più rosee. Anche il suo gusto, dolce e fresco, è opera dell’uomo. Le piante di anguria (il cui nome scientifico è Citrullus lanatus) derivano dallo stesso antenato di quelle del melone e del cetriolo, il cui frutto era decisamente più amaro.

Albert Eckhout

Albert Eckhout, Ananas, cocomeri e altri frutti (frutti brasiliani), XVII secolo, National Museum of Denmark (Copenhagen, Danimarca).

La domesticazione dell’anguria è iniziata circa 5.000 anni fa nell’Africa nord-orientale. Testimonianze della sua coltivazione si trovano addirittura in affreschi presenti nella tomba del faraone egizio Tutankhamon, dove sono stati rinvenuti anche dei semi. Questo frutto, amato da Romani e Arabi, fu poi esportato in tutto il mondo: dalla Cina della dinastia Tang del 600-900 d.C., all’America del XVI secolo d.C. trasportato dalle navi degli esploratori europei. Sono quindi molte le immagini dettagliate di come appariva una anguria nelle diverse epoche. L’abbondanza della documentazione ha permesso agli scienziati, anche grazie ai reperti archeologici vegetali e alle descrizioni presenti nei libri di cucina antichi, di ricostruirne la storia evolutiva  e identificare i geni e i processi biologici alla base del colore rosso e del gusto dolce. 

 

Fragoline di bosco

Buone sia con gelato e panna sia da sole, anche le fragole che conosciamo oggi non sono le stesse di una volta. Originarie sia dell’Europa sia dell’America e dell’Asia, le fragole domestiche moderne che conosciamo oggi hanno iniziato a essere coltivate solo di recente, circa 250 anni fa, ma la loro domesticazione è iniziata ben prima, più di mille anni fa. Sono molte le testimonianze di quanto questo frutto – o meglio, falso frutto, dal punto di vista botanico – fosse amato dai re, tra cui Carlo V, imperatore del Sacro Romano Impero, e Luigi XV di Borbone, re di Francia. Anche i religiosi gradivano le fragole e le usavano spesso come immagine allegorica nelle loro miniature per simboleggiare il sangue versato da Gesù durante la crocifissione. 

Nei castelli e nei monasteri europei ne venivano coltivate numerose varietà. Le caratteristiche più ricercate erano l’aroma, inteso sia come gusto che come profumo, il colore rosso e la grandezza. Esistono anche piante di fragole ibride, nate cioè dall’incrocio per impollinazione naturale o artificiale di specie diverse. Nei dipinti e nelle miniature medievali sono presenti molte di queste varietà e questo ha aiutato gli scienziati a ricostruire la storia evolutiva che porta dalle fragoline di bosco alle fragole domestiche odierne. Quella che coltiviamo oggi è infatti una pianta ibrida ottaploide, che possiede cioè 8 copie per ogni cromosoma, risultata dall’incrocio di due varietà americane, la Fragola del Cile e la Fragaria virginiana: la prima ha conferito alle fragole il loro tipico gusto, la seconda la loro dimensione.

LEGGI ANCHE: Il profumo della frutta e delle piante del passato era diverso da quello di oggi?

Le carote di Guglielmo d’Orange

Quando pensiamo alla carota la associamo al classico colore arancione brillante. Eppure, fin da quando furono addomesticate per la prima volta nel 900 a.C. in Afghanistan e India settentrionale, ne esistevano di tutti i colori: bianche, viola, gialle, rosse e anche arancioni. Il colore di questo ortaggio è dovuto all’accumulo di molecole come i carotenoidi, che prendono il nome dal vegetale stesso, e le antocianine: diverse quantità di queste molecole determinano colorazioni differenti. 

Tutte queste carote variopinte venivano coltivate contemporaneamente: in un antico mercato ortofrutticolo avremmo potuto trovarle tutte. Di questa straordinaria varietà ci sono numerose testimonianze, soprattutto nei quadri del periodo d’oro della pittura fiamminga del XVII secolo. Questa diversità venne però persa proprio in Olanda, in questo stesso periodo. Le varietà arancioni vennero infatti selezionate in onore del condottiero Guglielmo d’Orange. La carota arancione si diffuse poi in tutto il mondo, diventando ovunque quella predominante.

pieter aertsen

Pieter Aertsen, Scena di mercato, 1569, Hallwyl Museum (Stoccolma, Svezia).

Campi di grano

Uno dei principali cereali di cui ci nutriamo, le cui coltivazioni ricoprono le campagne, è il grano. Quello che coltiviamo oggi è però una varietà divenuta predominante solo nel secolo scorso. Le distese di grano del passato apparirebbero molto diverse rispetto a quelle a cui siamo abituati. Le immagini che raffigurano campi di grano sono tantissime, data la grande importanza, anche simbolica, che questo alimento ha sempre avuto: dai murali egizi del 1400 a.C., ai dipinti di scene del raccolto dell’Ottocento, passando per i calendari e i libri di preghiera medievali europei. 

La domesticazione del grano è iniziata circa 8.000 anni fa e nei millenni questo cereale ha accumulato molti cambiamenti. Alcune tra le principali modifiche avute nel tempo riguardano la forma e abbondanza delle cariossidi – più comunemente note come chicchi o semi – così che il raccolto fosse più abbondante, e l’altezza delle spighe, ora molto più basse. Quest’ultimo cambiamento, in particolare, è stato studiato dagli scienziati confrontando nelle immagini l’altezza delle spighe con quella delle figure umane vicine, facendo attenzione che la pianta fosse rappresentata alla sua massima altezza, cioè nel momento di raccolta, e anche che le differenze non fossero dovute a possibili significati simbolici e allegorici.

Sennedjem at Deir el-Medina

Charles K. Wilkinson, Riproduzione dei dipinti delle tombe di Sennedjem at Deir el-Medina (l’originale risale al 1293-1213 a.C.), MET Museum (New York, USA).

I raccoglitori

Pieter Bruegel il Vecchio, I raccoglitori, 1565, MET Museum (New York, USA).

Pomodori indigeni

Esistono tantissime varietà di pomodori dalle più svariate forme, dimensioni e colori. Ognuna di queste è stata accuratamente selezionata per un uso specifico: alcune sono più adatte per il sugo, mentre altre rendono al meglio  nelle insalate. Quando e in che modo sia avvenuta la domesticazione del pomodoro è ancora oggetto di studio. Ciò che si sa è che la pianta è originaria dell’America centro-meridionale e che sono state le popolazioni indigene a coltivarlo e a creare, dalla pianta selvatica Solanum pimpinellifolium, una prima selezione di piante di pomodoro domestiche Solanum lycopersicum

Il pomodoro è quindi arrivato per la prima volta in Europa dopo la conquista delle Americhe da parte del conquistador Hernán Cortés, o forse ancora prima, con Cristoforo Colombo. Poiché molti mercanti che navigavano sotto bandiera iberica erano italiani, questo ortaggio raggiunse presto il nostro Paese, dove fu ampiamente studiato da botanici e naturalisti già durante il Rinascimento. Sono di questo periodo i primi dipinti del pomodoro, mentre non conosciamo rappresentazioni indigene precedenti all’importazione in Europa. Gli studi di genetica per svelare la storia della domesticazione del pomodoro sono ancora in corso, ma alcune ricerche hanno individuato per esempio il gene, chiamato FAS, che determina la forma “fasciata” della varietà di pomodoro “Cuore di bue”.

Gottorfer Codex

Hans-Simon Holtzbecker, Pomodori, gouache su pergamena, in: Gottorfer Codex, 1649-1659.

Pitture allo zafferano

Lo zafferano, o Crocus sativus, è una pianta triploide, che possiede cioè tre copie del proprio genoma, da cui si estrae una spezia così pregiata e costosa da essere definita oro rosso. Tuttavia, nel corso della storia lo zafferano non è stato usato solo come ingrediente in cucina, ma anche come pigmento per dipingere in virtù del suo brillante colore giallo. La domesticazione di questa pianta risale a più di tremila anni fa a opera dalle popolazioni mesopotamiche e mediterranee: ne possiamo seguire la storia proprio grazie al suo uso negli affreschi e nei dipinti antichi. 

Lo studio dell’evoluzione del Crocus sativus attraverso l’arte si è dunque basato sia su dipinti della pianta stessa, sia sull’uso del pigmento estratto dal Crocus, usato per dipingere altri soggetti. Il più antico esempio di uso del pigmento risale a pitture rupestri in Iraq di circa 50 mila anni fa, mentre uno dei dipinti più famosi della pianta stessa è un affresco ritrovato a Santorini di “Raccoglitori di zafferano” risalente al 1650 a.C.. L’analisi di questi reperti, insieme allo studio di antichi manoscritti e all’utilizzo di moderne tecniche di biologia molecolare, ha permesso di ricostruire la storia e le origini dello zafferano a partire dalla pianta selvatica Crocus cartwrightianus addomesticata nell’antica Grecia.

Akrottiri

Anonimo, Affresco di raccoglitori di zafferano, Akrottiri (isola di Santorini), XVI secolo a.C..

La rosa e il suo profumo

Quello della rosa è invece un esempio di pianta addomesticata per scopi ornamentali e per il suo profumo. Sono centinaia le specie appartenenti al genere Rosa e derivano dalla domesticazione avvenuta diversi millenni fa in Cina, da cui questo fiore si diffuse nel resto del mondo. 

Non essendo un ortaggio, Vergauwen e De Smet hanno eletto la rosa come controllo positivo, ovvero come riferimento che l’approccio #ArtGenetics fosse valido. La quantità di dipinti e affreschi raffiguranti questo fiore è enorme, anche grazie al fatto che la rosa è associata a un forte simbolismo. Una delle più antiche immagini di rosa selvatica risale agli affreschi minoici di Creta, nel quale si può osservare come i fiori prodotti da questa pianta fossero rosa e a cinque petali. 

Cnosso

Anonimo, Uccello blu, frammento di arte minoica dalla Casa degli affreschi di Cnosso (Creta), 1500 a.C. circa.

La varietà nei colori e la quantità maggiore di petali sono caratteristiche acquisite dalle piante domestiche grazie alla selezione artificiale umana, che ha creato delle specie di rosa ibride. Studi di genetica hanno poi permesso a diversi gruppi di scienziati di identificare i geni responsabili della colorazione e del numero dei petali, del profumo e di molte delle caratteristiche che distinguono le diverse varietà di rose.

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Jacob van Hulsdonck, Rose in un vaso di vetro, olio su rame, 1640-1645, Pinacoteca Mauritshuis (L’Aia, Paesi Bassi).

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Agathe Pilon, Natura morta con rose in vaso, 1847, Francia.

Ortaggi dal futuro

Questi sono solo alcuni esempi di piante domestiche studiate attraverso l’arte, ma se ne potrebbero scoprire altri. Inoltre, il processo di domesticazione delle specie è ancora in corso, a volte velocizzato dalle nuove tecnologie di editing genetico. È possibile che in futuro alcune varietà di ortaggi oggi comuni siano rimpiazzate da altre con caratteristiche più adatte, o magari dall’aspetto più accattivante. Se per esempio  dovesse prendere piede la varietà di riso “Golden Rice”, sviluppata in laboratorio per garantire alla dieta un maggiore apporto di Vitamina A, nei musei del futuro potrebbe risultare strano imbattersi in un dipinto con dei chicchi bianchi anziché gialli. 

Una cosa però la sappiamo: questi ipotetici visitatori del futuro sorrideranno alla vista degli ortaggi del passato. E magari penseranno che, in fin dei conti, avevano ragione i loro nonni: non si trovano più la verdura e la frutta di una volta.

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  • Anna Spinelli

    Anna Spinelli è biotecnologa e lavora per Mondadori Education alla redazione di testi scientifici scolastici. Oltre che per le biotecnologie molecolari e per la divulgazione scientifica, ha una passione per i balli swing.

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