Il Mississippi era rimasto l’unico stato degli Stati Uniti d’America a conservare un retaggio schiavista nel proprio vessillo
Dallo scorso giugno, il Mississippi è, nuovamente, senza una bandiera ufficiale. L’ondata di manifestazioni contro le discriminazioni razziali, seguite all’uccisione di George Floyd a Minneapolis, ha portato alla storica decisione dello stato del Mississippi di rimuovere la bandiera dell’esercito confederato dal suo vessillo e aprire il bando per idearne uno nuovo. Il Mississippi era rimasto l’unico stato degli Stati Uniti d’America a conservare un retaggio schiavista nel proprio vessillo, adottato nel 1894 e soggetto a discussioni sul suo mantenimento già da anni, sebbene in un referendum del 2001 il 64% della popolazione avesse votato per il suo mantenimento. Il Mississippi adottò la sua prima bandiera nel 1861 in occasione della secessione dagli Stati Uniti, adottando la Magnolia flag, caratterizzata da un albero di magnolia su campo bianco, con un bordo rosso che correva attorno ai lati e la cosiddetta Bonnie Blue (un quadrato blu con al centro una stella a cinque punte bianca) in alto a sinistra. Con la fine della guerra di secessione nel 1865 anche il decreto che aveva reso ufficiale la bandiera venne annullato, così il Mississippi si trovò senza bandiera. Solo nel 1894 ne venne adottata una nuova, che, però, al posto della magnolia, recava nel cantone la bandiera dell’esercito confederato, inserito in un tricolore orizzontale blu, bianco e rosso. Nel 1906 ci fu una revisione delle leggi dello stato e venne, inavvertitamente, omessa ogni menzione alla bandiera del 1894, lasciando così lo stato senza una bandiera ufficiale fino al 2001, quando fu posto rimedio. Dopo il referendum dello stesso anno vennero avanzate diverse proposte di cambiamento, ma fu solo con le manifestazioni della primavera del 2020 che il dibattito subì una forte accelerazione, spingendo il governo del Mississippi, a fine giugno, a decidere per la rimozione del simbolo confederato. Venne così indetta una gara per nuove proposte; un’opportuna commissione ha seguito il processo di selezione riducendo progressivamente il numero di finaliste fino a scegliere il 2 settembre la versione da sottoporre a un ballottaggio pubblico il 3 novembre successivo. La bandiera proposta è stata ribattezzata The New Magnolia e presenta una foglia di magnolia bianca circondata da una corona di stelle e dalla scritta “In God we trust” su campo blu e coi bordi rossi laterali.
Emerge una situazione piena di contraddizioni, che mette in risalto un popolo in cerca di simboli e di un’identità nazionale
Va, comunque, ricordato che la stessa bandiera venne usata anche dai collaborazionisti bielorussi nel corso dell’occupazione nazista e dal governo fantoccio che era stato creato. Sebbene i principali sostenitori del Pahonia e del vessillo bianco, rosso e bianco abbiano sempre condannato i collaborazionisti durante l’occupazione nazista e lo stesso creatore della bandiera fosse stato arrestato dai nazisti, emerge una situazione piena di contraddizioni, che mette in risalto un popolo in cerca di simboli e di un’identità nazionale.
Le alternative proposte negli ultimi quarant’anni non hanno mai fatto breccia nella popolazione, che continua a riconoscersi nell’attuale disegno
Nel film “Punto di non ritorno” di Paul Anderson, ambientato nell’anno 2047, la toppa della tuta spaziale indossata dal protagonista sfoggia una bandiera australiana in cui l’Union Jack è sostituita dalla bandiera aborigena. Il dibattito sulla sostituzione della bandiera prese piede in Australia sul finire degli anni ’70, raggiunse il culmine nel ventennio seguente per poi perdere forza nel XXI secolo. Secondo l’organizzazione Ausflag, i motivi per cambiare bandiera sono molteplici, come la scarsa rappresentatività della multiculturalità australiana o i frequentissimi equivoci con il vessillo neozelandese. Ma soprattutto, l’attuale bandiera non riflette lo status di indipendenza del paese. Le alternative proposte negli ultimi quarant’anni, che miravano a introdurre elementi caratteristici del paese come il fiore della mimosa Acacia pycnantha o il canguro, non hanno mai fatto breccia nella popolazione, che continua a riconoscersi nell’attuale disegno, né sono mai state prese in considerazione dai vari governi.
La crescente percentuale di persone favorevoli al cambiamento suggerisce che la questione identitaria non sia affatto conclusa
Il processo ha coinvolto anche la bandiera nazionale: nel 2016 i cittadini neozelandesi furono chiamati a scegliere se sostituire l’attuale disegno con l’alternativa vincitrice del concorso indetto due anni prima, in cui l’Union Jack lasciava il posto all’endemica felce argentata (Alsophila dealbata). Il referendum si concluse con la vittoria dei conservatori (56,6%), ma la crescente percentuale di persone favorevoli al cambiamento – che appena un decennio prima non superavano il 30% – suggerisce che la questione identitaria non sia affatto conclusa. Tutt’altro: tra il 2018 e il 2019 il parlamento ha ricevuto due diverse petizioni che chiedevano di affiancare al nome del paese il suo nome māori Aotearoa. La commissione dedicata a esaminare la proposta ha riconosciuto che il termine è sempre più utilizzato come sinonimo di Nuova Zelanda, tanto da comparire in numerosi atti legislativi recenti. “Tuttavia, al momento non riteniamo necessario un cambio di nome legale o un referendum sulla stessa modifica” ha concluso la commissione. Tra dieci anni, chissà.