Quasi un presagio. Nel 2019, ultimo anno dell’era pre-Covid, 68 ricercatori, provenienti da istituti di ricerca di 13 paesi mediterranei e non, riunivano le forze per costruire il primo database sugli eventi di mortalità di massa registrati nel Mediterraneo tra il 1979 e il giugno del 2018. Nei primi vent’anni ne erano avvenuti 230; dal 2000 in poi gli eventi erano pressoché raddoppiati: 435. Ovviamente, non si tratta di tutte le morie avvenute ma soltanto di quelle documentate, che riguardano circa 90 unità tassonomiche (identificate a livello di specie, genere o tipo) componenti del macrobenthos [organismi che vivono a stretto contatto con il fondo, le cui dimensioni superano il millimetro di lunghezza] appartenenti ad alghe, spugne, coralli, molluschi, briozoi e tunicati.
Dei 665 eventi complessivi, 554 sono conseguenza di anomalie termiche mentre 44 sono stati causati da tempeste. In 55 casi sono stati individuati patogeni (batteri e funghi principalmente). 212 eventi sono stati classificati come estremi, avendo colpito dal 75 al 100% degli individui della specie target. Sono dati che derivano da vari fenomeni concomitanti ma a comprendere tutto c’è quello che ormai è conosciuto come cambiamento climatico. Ci sono poi gli eventi locali che danno conto di una impressionante accelerazione dei fenomeni e della loro persistenza per periodi sempre più lunghi e a profondità sempre maggiori. Ci sono infine i dati di recupero delle popolazioni colpite che impressionano per la loro assenza o per la agghiacciante lentezza con cui si intravedono segnali di ripresa.
Ho sempre guardato a questi fenomeni con un approccio conoscitivo, descrittivo, ma riassumendoli ora, grazie al lavoro di quei ricercatori, non posso non rendermi conto che questo lasso di tempo, tra il 1979 e oggi, coincide con la parte della mia vita nella quale ho imparato ad andare sott’acqua, l’ho fatto diventare una professione ed è infine divenuto la mia fondamentale ragione di lavoro e di vita. Questi fenomeni, questa accelerazione, le perdite e i cambiamenti che hanno causato li ho vissuti sulla mia pelle (meglio, sulla mia muta), li ho visti con i miei occhi, li ho documentati con le mie fotografie, ho cercato di raccontarli con i miei libri. Come non ricordare lo sgomento di quando sembrava che l’alga assassina (Caulerpa taxifolia) fosse destinata ad annichilire i fondali con un uniforme e alieno manto verde? Così l’avevo conosciuta a coprire ogni cosa a Porto Maurizio in Liguria, per ritrovarmela poi in Sardegna.