La lotta dei villaggi serbi contro le miniere di litio

Testi di Pietro Romeo
Fotografie di Pietro Romeo
In Serbia occidentale, sul villaggio di Gornje Nedeljice incombe il progetto di una delle miniere di litio più grandi al mondo. I pochi rimasti nel villaggio lottano perché alle aziende minerarie vengano imposte norme per la difesa del territorio, contro la collusione delle autorità locali.

11 minuti | 14 Aprile 2023

Scendo dalla macchina rendendomi conto che avrei preferito una luce naturale più morbida per scattare le foto. Mi sembra di essere finito in uno di quei disegni che fanno i bambini quando viene chiesto loro di immaginare una casa. La campagna c’è, le villette monofamiliari anche, e il sole si staglia alto in un cielo con pochissime nuvole. Eppure, ho la sensazione che a questo scorcio di panorama manchi qualcosa.

«Se ti stai chiedendo dove sono finite le porte, i tetti e le finestre, te lo dico subito». A leggermi nel pensiero è Miroslav Mijatović, un giornalista che lotta da anni contro corruzione e crimini ambientali e che mi guida per quello che, fino a qualche mese addietro, era un grazioso villaggio della Serbia occidentale. «La multinazionale ha concesso agli ex proprietari delle abitazioni di portare via tutto ciò che poteva essere riutilizzabile. Il progetto minerario prevede che Gornje Nedeljice venga interamente demolita per lasciare spazio alle strutture della miniera e alla cava. Queste case verranno rase al suolo» mi spiega.

Gornje Nedeljice

A Gornje Nedeljice e nel vicino villaggio di Brezjak, entrambi nella valle del fiume Jadar, la multinazionale Rio Tinto ha già acquistato l’80% delle proprietà fondiarie. Come risultato, gli abitanti rimasti sono costretti a vivere immersi in un paesaggio desolato e spettrale.

Il progetto della miniera di litio

La storia ha inizio nel 2004, quando due geologi della società mineraria anglo-australiana Rio Tinto, in cerca di borati nel sottosuolo balcanico, scoprono un nuovo composto roccioso contenente elevate percentuali di litio. I dintorni sono quelli della città di Loznica, a pochi chilometri di distanza dalla Federazione di Bosnia ed Erzegovina, in un fazzoletto di terra in cui scorrono la Drina e l’affluente Jadar. Il minerale viene ribattezzato jadarite non a caso.

Diciassette anni dopo, la multinazionale presenta un programma di investimento di 2,4 miliardi di dollari per la realizzazione di una delle più grandi miniere al mondo. L’obiettivo è l’estrazione di 2,3 milioni di tonnellate di litio nei 40 anni stimati di ciclo vitale della cava. L’alibi commerciale è la transizione energetica: stando alle dichiarazioni ufficiali dei quadri aziendali, il prodotto realizzato verrà infatti destinato alla produzione di batterie green per l’industria automobilistica occidentale.

L’Unione europea, con la sua fame di mobilità sostenibile e una motivata ansia climatica, caldeggia l’operazione. Il presidente serbo Aleksandar Vučić, dal canto suo, non si lascia sfuggire l’occasione per far entrare in Serbia, dall’ingresso principale, nuovo capitale estero. Nonostante le evidenze suggeriscano il contrario, da anni Vučić dichiara di non vedere alcun rischio di colonialismo economico nel Paese. 

 

Chi vende e chi resta

Nel frattempo, Rio Tinto ha già messo le radici nella valle del fiume Jadar attraverso la neocostituita filiale serba Rio Sava che affitta terreni per continuare le trivellazioni esplorative e ne acquista altri offrendo importi fino a quattro volte superiori al reale prezzo di mercato. «In tanti si sono lasciati convincere dal denaro, ma molti abitanti hanno accettato di vendere anche in virtù degli emendamenti del governo sugli espropri. Fortunatamente però qui c’è ancora chi lotta per restare e che lo farà a qualsiasi costo», precisa Miroslav. Sebbene parecchie famiglie abbiano colto al balzo plusvalenze immobiliari irripetibili, altre hanno attuato un piano di resistenza per la salvaguardia del territorio. Sono nate associazioni locali, circoli e gruppi autofinanziati.

L’organizzazione non governativa di Miroslav, insieme a ricercatori indipendenti ed enti scientifici autonomi, ha fornito loro supporto investigativo e giornalistico. Questa mobilitazione ha permesso di conoscere i lati oscuri del piano minerario per l’estrazione di litio, con tanto di stime futuribili sull’impatto dei siti estrattivi sul territorio in termini economici, sociali e soprattutto ambientali. 

Si parla di 57 milioni di tonnellate in rifiuti tossici industriali potenziali e di un consumo idrico abnorme per il processo di raffinazione. Preoccupa poi la collocazione geologica dei siti estrattivi, previsti al di sotto degli alvei dei fiumi Korenita e Jadar, potenziali sorgenti di inquinanti verso i grandi corsi d’acqua limitrofi come la Drina, il Danubio e la Sava.

miniere di litio

Leposava Tešić abita in uno dei villaggi coinvolti nel progetto Jadar della multinazionale Rio Tinto. Ha rifiutato di recente una proposta di acquisto della sua proprietà avanzata dalla holding. Brezjak.

rio tinto

Le operazioni di monitoraggio del sottosuolo della multinazionale Rio Tinto, costituite dall’installazione di piezometri per la misurazione del carico idraulico sotterraneo, hanno determinato effetti negativi sui terreni limitrofi ai siti esplorativi.

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Gli attivisti chiedono norme chiare allo sfruttamento minerario del litio

L’attività divulgativa degli attivisti, le ripetute manifestazioni di dissenso locale e le partecipazioni di piazza della popolazione metropolitana nella capitale Belgrado, nel tempo, hanno compattato il movimento ambientalista. Un primo successo è arrivato all’inizio del 2022, quando il governo, per voce della prima ministra Ana Brnabić, si è visto costretto a escludere Rio Tinto dal piano territoriale nazionale e a sospendere le sue licenze di esplorazione.

Sembra una grande notizia, ma si festeggia poco. Perché chi, meglio di un popolo, può conoscere i propri rappresentanti politici? «Si è trattato soltanto di una mossa strategica di Vučić in vista delle imminenti elezioni presidenziali che, non a caso, lo hanno confermato per il terzo mandato consecutivo. La sostanza non è cambiata. Dopo il blocco del progetto, Rio Tinto, come tutte le altre aziende minerarie presenti in Serbia, ha continuato a investire sul territorio» precisa Miroslav.

miniere di litio

Una mappa della valle dello Jadar mostra una parte delle proprietà acquisite da Rio Tinto dopo la sospensione del progetto minerario, annunciato dal Primo Ministro Ana Brnabić all’inizio del 2022. Secondo BIRN (Balkan Investigative Reporting Network) da giugno 2022 ad oggi l’azienda ha acquistato almeno 5,78 ettari di terreno nelle vicinanze di Loznica per un importo totale di 1,2 milioni di euro. Queste spese confermerebbero che l’annullamento del piano di estrazione è solo temporaneo.

Le manovre fondiarie sono peraltro solo una parte delle operazioni condotte in quest’ultimo anno dalla multinazionale. Rio Tinto si è infatti impegnata a sostenere economicamente svariate imprese locali, con lo scopo di conquistare sostenitori nei villaggi. Si parla di un possibile referendum che potrebbe riaprire la questione – a paventarlo, di recente, lo stesso Vučić, con un pronto riflesso diplomatico – e la holding sa bene che in questi casi bisogna lavorare di fino. 

Tuttavia, lo zoccolo duro degli attivisti non si lascia sedurre dal denaro facile. A rappresentarli in modo emblematico è Zlatko Kokanović, veterinario, agricoltore e vicepresidente di Ne Damo Jadar, la principale associazione ambientalista della valle.

Zlatko Kokanović

Zlatko Kokanović ritratto nella sua fattoria di Gornje Nedeljice.

«Da un anno, i media cercano di convincerci che è tutto risolto, ma in realtà siamo solo all’inizio di questa storia, che continuerà fino a quando non verranno introdotte delle chiare misure legislative sullo sfruttamento minerario. Le norme qui sono aleatorie e i nostri rappresentanti politici spesso collusi. È per questo che tantissimi investitori esteri vengono qui. Sanno bene che possono fare più o meno quello che vogliono», afferma Kokanović. Le sue parole si allineano alla diffusa sfiducia della popolazione serba e convalidano statistiche secondo le quali l’indice di percezione della corruzione della classe politica, riscontrato tra gli abitanti della nazione, è tra i più alti al mondo.

«Noi siamo persone pacifiche, guarda come viviamo. Ci piace la natura, amiamo la nostra gente e facciamo veramente comunità. Ma siamo disposti anche a imbracciare un fucile se questo può servire a lasciare ai nostri figli tutto quello che abbiamo costruito. La mia famiglia abita qui da cinque generazioni. Questo territorio ci ha dato sostentamento e per questo lo abbiamo sempre rispettato e protetto», spiega Kokanović.

Jadar

Le famiglie residenti nella valle del fiume Jadar vogliono far crescere i figli in un ecosistema sano e lasciare loro in eredità la terra. L’Accademia serba delle scienze e delle arti (Sanu) conferma le conseguenze disastrose che avrebbe il progetto minerario qualora andasse in porto. I siti estrattivi comprometterebbero la vita delle future generazioni, cancellando l’economia agricola locale che attualmente produce un reddito stimato di 80 milioni di euro l’anno.

Proteggere il passato

Ma in questa vallata che vive di allevamento e agricoltura lotta anche chi, pur non essendo coinvolto direttamente nei piani estrattivi, ha comunque subìto dei danni collaterali dalla presenza della holding. È il caso di Predrag Đurić, proprietario di una fattoria a Korenita, una piccola frazione situata a pochi chilometri dalle terre in cui, stando al progetto originario, dovrebbe sorgere il centro per lo smaltimento dei rifiuti minerari.

Predrag Đurić

 Predrag Đurić ritratto nella sua azienda agricola. Korenita.

Predrag Đurić

Un documento militare del nonno di Predrag Đurić, membro dell’esercito serbo nel secondo conflitto mondiale. Korenita.

«La mia azienda è fuori dal raggio d’azione della multinazionale e dunque non corro nessun rischio in questo senso. Ma negli anni ho investito migliaia di euro nella mia attività e acquistato attrezzature supplementari per noleggiarle a diversi contadini della zona. Da quando questi hanno venduto i loro terreni a Rio Tinto ho perso gran parte del mio fatturato annuale», mi racconta.

In Serbia, specie nei piccoli centri rurali, la dittatura dell’avvenire non attecchisce e le demagogie ambientaliste non fanno effettivamente affari con la gente comune. La storia è forte e vince su tutto. Specie nei piccoli villaggi, l’impronta culturale degli anni socialisti è ancora viva e ben lontana dagli scenari favoleggianti di quello che, spostandomi un centinaio di chilometri più a sud, sentirò definire capitalismo verde.

miniere di litio

Batajnica. In Serbia la questione ambientale non riguarda soltanto i futuri progetti minerari. Da decenni si riscontrano sul territorio diverse problematiche, quali contaminazione delle acque e presenza massiva di polveri sottili causate da cave, acciaierie e centrali termoelettriche. Un altro tasto dolente per l’ambiente è rappresentato dallo smaltimento illegale dei rifiuti.Secondo un rapporto pubblicato nel 2020 dall’agenzia serba SEPA, uno sbalorditivo 80% dei rifiuti urbani finisce in centri di smaltimento non a norma o in discariche abusive a cielo aperto.

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  • Pietro Romeo

    Pietro Romeo è un fotogiornalista indipendente che si occupa di sostenibilità ambientale e geopolitica. I suoi lavori sono stati pubblicati su Die Tageszeitung, Specchio/La Stampa, InsideOver, Il Reportage, Geographical Magazine, Vice Deutschland e Rhythms Monthly. Collabora con l’agenzia Parallelozero.

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