La nuova pelle dei ghiacciai

Fotografie di Paolo Petrignani
I ghiacciai alpini stanno cambiando. Ciò che vediamo oggi è un indizio di cosa potrebbe succedere in futuro.

9 minuti | 23 Settembre 2020

I ghiacciai delle Alpi stanno cambiando pelle. Sui vecchi sussidiari, nelle canzoni di montagna, nelle fotografie e nella narrativa li abbiamo conosciuti come maestosi e candidi, bianchi e abbaglianti. Oggi, in estate, non si presentano più così. Il cambiamento climatico sta modificando il paesaggio: il ghiaccio si riduce per lasciare più spazio a rocce e detriti, mentre vento, piogge e nevicate depositano prodotti sintetici derivati dalle attività umane. Questi sono i ghiacciai del primo secolo del 2000, che ci introducono a quello che seguirà: un secolo in cui, con tutta probabilità, i ghiacciai saranno una rarità presente solo intorno ai massicci che superano i 4000 metri di altitudine. Le fotografie di Paolo Petrignani mostrano la nuova pelle dei ghiacciai dei Forni in Lombardia e del Belvedere in Piemonte, e un paesaggio in transizione tra le Alpi del passato e quelle del futuro.

Claudio Smiraglia osserva la colorazione del ghiaccio in una grotta dei Forni. Insieme a Guglielmina Diolaiuti, entrambi glaciologi dell’Università degli Studi di Milano, ha osservato nel tempo il cambiamento della pelle del ghiacciaio lombardo e dice: «Il ghiacciaio dei Forni, come lo conoscevamo, non esiste più».

Uno dei fenomeni che caratterizza i ghiacciai dell’Antropocene, come viene sempre più spesso definito il periodo in cui viviamo, è il cosiddetto effetto di darkening, il depositarsi di sedimenti e altre polveri sulla superficie dei ghiacciai. Queste li rendono più scuri, quindi meno capaci di riflettere la luce solare, e per questo motivo più suscettibili alla fusione.
Un altro aspetto che modifica la dinamica del ghiacciaio è dovuto all’acqua di fusione che può penetrare nei crepacci e infiltrarsi fino a raggiungere il fondo del ghiacciaio. Qui può fungere da “lubrificante” e accelerare la discesa della massa cristallina verso il fondovalle.
Dopo una leggera nevicata che preannuncia la fine della stagione estiva, gli operatori del Servizio Glaciologico Lombardo si apprestano a compiere le annuali misure del bilancio della massa del ghiacciaio dei Forni, in Lombardia. Il bilancio di massa mostra quanta neve si è accumulata nell’inverno precedente e quanto ghiaccio si è invece fuso in estate, e dice quindi se il ghiacciaio è in perdita o guadagno di massa di ghiaccio.
Il ghiacciaio dei Forni oggi. Si tratta del secondo ghiacciaio maggiore delle Alpi italiane dopo l’Adamello. Secondo il più recente censimento, oggi i ghiacciai alpini coprono un’area di 1806 km2, mentre nel 2003 la superficie coperta era di 2100 km2, pari ad una perdita del 14%. Nel caso dei Forni la sua superficie è passata da 13 a 11 km2 tra il 1980 ed oggi.
Un altro fenomeno che caratterizza i ghiacciai dell’Antropocene è quello delle alghe rosse, come quelle della specie Ancylonema nordenskioeldii, riconoscibili per il loro colore rosso-porpora dovuto alla presenza di carotenoidi, una sostanza che le protegge dai raggi ultravioletti. Anche loro, a differenza della neve di ghiacciaio, tendono ad assorbire calore, scaldando il ghiaccio circostante. Questo fonde, e ciò favorisce la proliferazione dell’alga stessa in un processo che si auto rinforza, e che è favorito dalle temperature medie più elevate.

Roberto Ambrosini, professore di Ecologia presso il Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università di Milano, cammina sul ghiacciaio del Belvedere, in Piemonte. Questo è un ghiacciaio tutto particolare, molto raro nelle Alpi. Qui, una grande quantità di sabbia, limo, e blocchi rocciosi coprono il ghiaccio ed il loro spessore è tale da formare perfino una sorta di coperta naturale, rallentando la fusione della massa di acqua congelata. Ambrosini studia un microcosmo del tutto particolare, le crioconiti. Queste non sono altro che pozzette di ghiaccio formate da polveri scure e fini che mentre fondono creano il loro micro-ambiente. All’interno di queste piccole pozzette accade di tutto: una serie di batteri comincia il ciclo della vita e, hanno scoperto Ambrosini e colleghi, questi riescono perfino a decomporre alcuni composti aerei prodotti dalle attività umane e cancerogeni. I biologi hanno anche visto che all’interno delle crioconiti si concentrano prodotti radioattivi: “Abbiamo misurato una notevole radioattività ancora risalente all’esplosione di Chernobyl”, spiega Ambrosini.

I botanici Marco Caccianiga e Chiara Compostella, del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Milano, studiano alcuni giovani larici che hanno colonizzato i sedimenti che coprono la lingua del ghiacciaio del Belvedere. Questo ghiacciaio è in parte ricoperto da vegetazione ed è stato colonizzato anche da molti insetti e altri artropodi, in particolare quelli adattati a climi freddi che qui trovano una sorta di rifugio. Infatti ora si trovano in difficoltà in aree che si stanno scaldando per il clima.

Ma ciò che più colpisce l’occhio di un visitatore degli anni 2000 è il contrasto tra le isole di roccia rossa, marrone o grigia, perfino all’interno dei ghiacciai, che si stanno assottigliando. Il ghiacciaio dei Forni oggi è frammentato in tre rami minori ancora in contatto ma presto del tutto separati. L’aumento della esposizione delle rocce comporta un aumento dei sedimenti e quindi l’effetto di “darkening”.

Come era possibile attendersi, le nevi montane non sono più pure come nei canti degli alpini. Sui Forni, Ambrosini, Diolaiuti e colleghi hanno trovato una media di 150 milioni di frammenti di microplastiche per ettaro nella parte terminale del ghiaccio. Si tratta soprattutto di fibre di tessuti (poliestere, poliammide, polipropilene), ma si trova anche il cosiddetto black carbon, particelle fini di prodotti di combustione o di gomme e freni delle auto.
Alla fine delle misure stagionali del bilancio di massa del ghiacciaio dei Forni, come ogni anno, gli operatori del Servizio Glaciologico Lombardo tornano a valle con i loro strumenti. Le pale dell’elicottero sollevano grani di ghiaccio ma anche limo, alghe, particelle di polipropilene e microframmenti di copertoni e prodotti di combustione che giungono dalla lontana pianura.
Questo è uno scorcio di come potrebbe essere il paesaggio d’alta montagna alpino tra dieci o venti anni. Alcune specie di piante saranno risalite di altitudine. Detriti instabili potranno dominare il paesaggio dove un tempo a farlo erano le nevi o i ghiacci. Il territorio non avrà certo perso il suo fascino, ma è già oggi profondamente diverso da come lo hanno conosciuto le generazioni precedenti.

Se ti è piaciuto questo articolo, iscriviti alla Newsletter.
Potrai partecipare alla crescita di RADAR e riceverai contenuti extra.

  • Jacopo Pasotti

    Jacopo Pasotti è un giornalista, fotografo e scrittore di temi legati all’ambiente. Dal Polo nord all’Antartide, dall’Indonesia all’Amazzonia, racconta di società umane e di natura.

    Facebook | Instagram | Twitter

  • Paolo Petrignani

    Paolo Petrignani è un fotografo documentarista. Ha documentato spedizioni in grotte, foreste e deserti messicani, fiumi sotterranei dell’Asia Meridionale, ghiacciai della Patagonia, Islanda e Antartide. Dal 2001 collabora con National Geographic Italia. Le foto di questo servizio sono state scattate nel 2014.
    Facebook | Instagram

CORRELATI