La ricerca polare è sempre più al centro dell’attenzione del mondo scientifico. Da decenni si è capito che le calotte polari hanno un ruolo di “termostato terrestre”. I grandi cambiamenti climatici influenzano e sono a loro volta influenzati dalle aree polari, in un ciclo continuo. A ben pensarci, sebbene noi siamo certamente esseri adattati a climi temperati, semmai più caldi che freddi, il nostro è un Pianeta il cui clima dipende soprattutto da ciò che accade ai poli.
L’aumento della temperatura e il conseguente ritiro dei ghiacci polari influiscono sulla circolazione oceanica globale e sul livello del mare. Ormai è chiaro, lo leggiamo quasi quotidianamente sui media: il futuro climatico dell’emisfero boreale e la sicurezza delle popolazioni costiere di tutto il mondo dipendono anche da quanto saremo in grado di capire e predire i meccanismi di reazione delle calotte glaciali al cambiamento climatico.
Così, nel cuore dell’estate del 2021, la Laura Bassi, sotto una coltre di nubi che copriva l’Artico intero, è salpata dalle norvegesi Isole Svalbard facendo rotta prima verso sud e poi lungo il 75esimo parallelo, verso la Groenlandia.
La nave, una cosiddetta “classe ghiaccio” di 80 metri attrezzata con strumenti e laboratori come un piccolo dipartimento di biologia marina e di geofisica, salpa da Longyearbyen, Svalbard, ed è in grado di essere autosufficiente per settimane, lontano da tutto e da tutti.
Le condizioni meteorologiche nell’Artico rimangono particolarmente ostili e l’intera ricerca, condotta da una ventina tra scienziati, scienziate e tecnici, malgrado tutte le tecnologie disponibili, è molto vulnerabile.
Le onde, il vento, ma anche problemi con le comunicazioni, o possibili guasti agli strumenti sono sempre in agguato. L’intero equipaggio, gli scienziati e le scienziate, sono sempre pronti a pescare la carta “imprevisti” dal mazzo. E a cercare soluzioni. In mezzo all’oceano, con la nave che rolla e beccheggia, talvolta sbattendo sonoramente sui flutti che fanno vibrare tutto lo scafo con tonfi sinistri.
Non c’è da stupirsi se conosciamo ancora tanto poco degli abissi oceanici. Dicono che ne conosciamo meno del 10%, che sono meno noti della superficie lunare (che, bisogna dirlo, è un po’ più elementare).


Qui, lungo questa soglia oceanica che separa l’Oceano Atlantico da quello Artico, avvengono importanti scambi nutritivi, chimici e di energia in grado di influenzare la vita negli oceani – da cui dipende anche parecchia vita fuori dagli oceani stessi, incluse le risorse ittiche per noi.
I ricercatori e le ricercatrici dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (OGS, Trieste), dell’Istituto di Scienze Polari e Istituto per lo studio degli impatti Antropici e Sostenibilità in ambiente marino del CNR, e alcuni tecnici dell’ENEA avevano pianificato la campagna lungo il 75esimo parallelo.
Lungo questo transetto disegnato, facilmente riconoscibile su un mappamondo, succede qualcosa di importante: le correnti calde provenienti dalle regioni tropicali si raffreddano al punto da inabissarsi sotto il loro stesso peso, raggiungere il fondale marino, e da lì riprendere il cammino verso sud. Nel giro di qualche secolo queste masse d’acqua, di nuovo calde, torneranno a galla per riprendere il ciclo e il flusso verso le regioni polari. È un processo caratteristico dei fluidi, che ridistribuiscono il calore in tutto lo spazio che occupano.
Qui, lungo questa autentica soglia oceanica che separa l’Oceano Atlantico da quello Artico, avvengono importanti scambi trofici (scambi nutritivi), chimici e di energia in grado di influenzare la vita negli oceani – da cui dipende anche parecchia vita fuori dagli oceani stessi, incluse le risorse ittiche per noi.
La risposta delle comunità biologiche di pesci e organismi planctonici al cambiamento climatico non è qualcosa che riguarda solo le balene, o alcune comunità Inuit che abitano le coste settentrionali canadesi, ma ciò che succede lungo questa soglia oceanica ha un impatto anche su di noi.
E come è importante monitorare (che significa seguire nel tempo, raccogliere dati e informazioni) l’aria sulle nostre città, lo stato di salute dei nostri laghi e fiumi, la produttività dei nostri suoli, è fondamentale fare lo stesso anche lontano dalle comunità umane, in regioni nevralgiche per il futuro dell’umanità.







