Perché è così difficile associare nucleare e ambiente

Fotografie di Manuel Guastella
Il dibattito sul nucleare oggi è uno scontro tribale tra diverse visioni del mondo. La ricostruzione dei miti e dei traumi che ci impediscono di fare un vero dibattito su costi e benefici.

8 minuti | 9 Settembre 2022

Nel romanzo di Kurd Laßwitz Auf zwei Planeten (Su due pianeti), pubblicato nel 1897, gli umani fanno conoscenza con i marziani. Gli alieni sono tecnologicamente molto più evoluti, ma hanno un grosso problema: il loro pianeta si sta inaridendo, stanno finendo l’aria e hanno un enorme bisogno di energia, perciò hanno deciso di colonizzare la terra dotandola di enormi stazioni fotovoltaiche. La cosa interessante è che su Marte la valuta si misura in unità di energia: l’energia è ricchezza, la base di una società non solo tecnologicamente avanzata, ma dove i benefici della tecnologia sono accessibili a tutti. 

Ma questo non vale solo su Marte. Qui sulla Terra, disponibilità energetica e benessere economico vanno a braccetto. La domanda di accesso all’energia aumenta ogni giorno, specialmente nei paesi in crescita, e per la maggior parte si basa ancora sulle fonti fossili, ancora ampiamente disponibili, benché fonte di gas serra e inquinanti. La crisi geopolitica in atto ha accentuato l’urgenza di un’altra crisi che sta andando avanti da tempo, quella climatica, di cui le fonti fossili sono le principali responsabili.

Nel cambio di rotta che si è reso necessario, l’energia nucleare riemerge come parte della soluzione a causa delle sue bassissime emissioni per unità di energia prodotta e per l’altissima densità di energia del combustibile, che rende costo dell’elettricità prodotta da nucleare abbastanza stabile rispetto alle fluttuazioni di mercato causate dalle instabilità geopolitiche, garantendo una forte autonomia ai paesi che ne fanno uso. 

 

Valutare costi e benefici del nucleare

D’altro canto, i metodi di riduzione e confinamento dei rifiuti radioattivi prodotti dalle centrali sono una questione ancora controversa, e la memoria storica degli incidenti persiste, generando timori difficili da fugare razionalmente pur tenendo conto che, se guardiamo i numeri, anche con l’incertezza che caratterizza gli effetti a lungo termine delle radiazioni, il nucleare non è meno sicuro delle altre tecnologie energetiche. 

In assenza di altre fonti di approvvigionamento affidabili e a basse emissioni, potremmo davvero aver bisogno di ricorrere al nucleare anche in quei paesi dove non c’è attualmente una filiera. Varrebbe la pena dunque fare una valutazione serena di costi e benefici anche per questa energia, in relazione a tutte le altre; questo infatti è lo spirito con cui la Commissione Europea ha incluso il nucleare nella tassonomia della finanza sostenibile, con una serie di vincoli, inclusi quelli sulla futura gestione dei rifiuti radioattivi. 

Una decisione che ha scatenato forti reazioni dal lato ambientalista: una conseguenza prevedibile, dato che il dibattito sull’energia nucleare è fortemente polarizzato, arrivando ad assumere i toni di un vero e proprio scontro tribale, dove più che idee sul nostro futuro energetico si scontrano visioni del mondo inconciliabili e posizioni politiche e ideologiche che fanno fatica a intendersi.

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Dietro alla paura nucleare

Storicamente, è probabile che il nucleare abbia pagato lo scotto di essere la tecnologia più giovane, sofisticata ed emblematica del progresso tecnico-scientifico e dei suoi rischi nel momento in cui i movimenti ambientalisti hanno preso forza. E vi sono anche condizionamenti impliciti, ma molto forti, per i quali l’immaginario pubblico non può fare a meno di associare a qualche livello l’industria nucleare energetica con la devastazione portata dalle armi atomiche. 

Il colosso nucleare, a partire dal dopoguerra, foraggiò decenni di propaganda mediatica, reclutando niente meno che la Disney. Secondo le prospettive narrate da stampa e televisione negli anni Cinquanta e Sessanta, sull’atomo avrebbe dovuto sostenersi una società utopica, con applicazioni in medicina, agricoltura, trasporti e naturalmente in energia. Ma mentre da una parte queste promesse non si avveravano, dall’altra la corsa alle armi continuava il timore di una guerra nucleare incombeva gettando un’ombra su questo ottimismo. 

Nel corso degli anni Settanta l’ansia nucleare si trasferì dalla guerra atomica ai reattori civili, trovando un portavoce nei movimenti ambientalisti e pacifisti che ricevettero un’enorme spinta propulsiva dalla reazione alla guerra del Vietnam e a cui aderirono non solo molti giornalisti d’inchiesta, ma anche scrittori, registi, autori e attori famosi che, a costo di prendersi qualche libertà scientifica, coinvolsero emotivamente il pubblico in storie, come i film Sindrome Cinese (1979) o Silkwood (1983) dove il colosso nucleare fa la parte del Golia cattivo che crea problemi e poi tenta di insabbiarli. 

 

Generazione Černobyl

La generazione a cui appartengo è poi cresciuta con l’imprinting del disastro di Černobyl, a causa del quale, nella primavera del 1986 intere regioni d’Europa provarono la sensazione che non ci fosse alcun riparo da quella nube radioattiva sprigionatasi da una centrale al di là della cortina di ferro. Per molti il nucleare significa ancora quello: i bambini malformati, la terra contaminata, ma anche, come si seppe dopo, l’omertà e la clamorosa impreparazione di un’industria che teneva all’oscuro dipendenti e cittadini dai rischi intrinseci di un modello di reattore costruito per dare la massima resa, a costo di adottare qualche scorciatoia sulla sicurezza. 

Quello di Černobyl’ è un mito difficilissimo da decostruire, perché ci siamo cresciuti e fa parte della nostra identità culturale. Il racconto contro il nucleare ha dalla sua parte la narrazione, la tragedia individuale, l’emotività contro la quale sembra un paradosso parlare per statistiche e numeri. Per Černobyl come anche per Fukushima (in misura molto minore), i numeri raccontano una storia comunque tragica, ma circoscrivono la tragedia soprattutto alla dissoluzione di una comunità, all’abbandono delle proprie radici e al crollo di un sogno di orgoglio e prosperità. 

Cosa è cambiato dal disastro del 1986

Nel caso dell’Unione Sovietica, a questo crollo sarebbe seguito a breve il collasso dello stato sociale e dell’economia. Secondo le valutazioni dell’Onu e dell’Unscear, in questo quadro di povertà, alcolismo e rassegnazione, la contaminazione radioattiva avrebbe giocato un ruolo più marginale di quanto si pensasse nel determinare l’aumento di mortalità. Naturalmente, data l’intrinseca incertezza nel valutare gli effetti a lungo termine delle variazioni, queste conclusioni sono contestate.

Resta il fatto che si continua a valutare la sicurezza di un’intera tecnologia sulla base di questi fattori, ignorando che nell’arco di 35 anni (il reattore di Fukushima era ancora più vecchio) i progetti dei nuovi reattori sono cambiati, i requisiti di sicurezza sono diventati molto più stringenti, e in generale c’è una cautela molto maggiore da parte dell’industria e dagli organismi di controllo, proprio per l’attenzione generata dalle istanze ambientaliste e da tutti quei movimenti che hanno reso prioritaria la tutela della salute umana dai rischi industriali.

nucleare

Autoscontro del parco giochi di Prip’jat’, che avrebbe dovuto essere inaugurato cinque giorni dopo il disastro di Černobyl’ e non è mai stato utilizzato. Prip’jat’, agosto 2019.

Un dialogo necessario

I Fridays for Future oggi hanno preso il testimone dell’ambientalismo storico, ereditandone alcune posizioni radicali e ingenue anche perché le loro istanze non sono state discusse costruttivamente da altri portatori di interesse, tra cui gli esponenti e i sostenitori del nucleare. Vale però la pena citare la notevole eccezione dei Fridays for Future finlandesi, che in un articolo sul loro blog si sono detti «pronti ad accettare il nucleare come parte del mix energetico» pur di liberarsi al più presto delle fonti fossili. Il nucleare è dunque visto nella sua accezione pragmatica non come obiettivo in sé, ma come strumento per risolvere un problema.

Nel dicembre del 2021, proprio in Finlandia il primo reattore europeo di terza generazione avanzata, un European Pressurized Reactor di concezione francese, superava i primi test a Olkiluoto, avviando la reazione a catena dopo aver accumulato dodici anni di ritardo e sforato il budget di oltre sei miliardi di euro, sui tre inizialmente previsti. Errori di pianificazione, dispute legali, mancanza di esperienza su un modello nuovo di zecca, processi e tecniche mai provati prima, “semplici” imprevisti: sono diverse le cause di questo ritardo, che su un nuovo prototipo è anche normale. 

Il suo completamento è stato dunque un traguardo importante e sospirato, che può dare indicazioni su quali errori evitare per la costruzione di impianti simili in futuro. Ci si aspetta che il reattore di Olkiluoto cominci a operare a pieno regime a fine 2022, e a quel punto coprirà da solo circa un settimo del fabbisogno elettrico della Finlandia. 

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Nucleare: una questione di fiducia

Nel frattempo, nei pressi della centrale, è stato inaugurato il primo deposito geologico permanente di Onkalo, il primo del genere al mondo, che custodirà i rifiuti radioattivi di alto livello per i centomila anni necessari a rendere la radioattività confrontabile col fondo naturale e, se tutto va bene, potrebbe fungere da apripista per la risoluzione dell’annoso problema delle scorie. 

Non stupisce dunque che in Finlandia abbiano un atteggiamento più positivo nei confronti del nucleare: d’altronde, il rapporto tra popolazioni locali, governo e industria nucleare gode di una fiducia costruita negli anni, grazie alla consuetudine di condurre ampie e approfondite consultazioni con la popolazione locale riguardo all’installazione di nuovi impianti, discuterne il possibile impatto, valutare eventuali migliorie. Un atteggiamento che, con notevole ritardo e molte più difficoltà, stiamo cominciando ad adottare anche qui in Italia, nella ricerca del deposito unico per i rifiuti radioattivi da varie sorgenti (soprattutto mediche e di ricerca di base).

Il dialogo tra ambientalismo e industria è sempre stato difficile, ma è possibile e nel corso degli anni ha avuto conseguenze importanti e positive nella formazione e nello sviluppo di una coscienza collettiva sull’impatto delle tecnologie. Nonostante le palesi difficoltà e polarizzazioni, potrebbe dunque valere la pena investire tempo e pazienza, rifacendosi a questi esempi positivi per provare a superare i sì/no di principio, e dotarsi di uno strumento in più per affrontare un futuro complicato.

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  • Manuel Guastella

    Manuel Guastella, classe ’78, ha studiato fotografia presso il Centro di Formazione Professionale Bauer di Milano. Dopo varie peripezie, nel 2008 è tornato a fotografare per professione e oggi si occupa di eventi e reportage, collaborando con varie agenzie di Milano e Roma.

  • Silvia Kuna Ballero

    Silvia Kuna Ballero è insegnante di fisica e comunicatrice scientifica. Si occupa soprattutto dei rapporti tra la scienza e le sue rappresentazioni mediatiche e narrative, con particolare interesse per l’esplorazione spaziale e l’energia nucleare. Ha scritto per Le Scienze, Mind, Il Tascabile, Wired Italia e ha collaborato con Rizzoli Education, Radio 3 Scienza e AIRC. È autrice del saggio Travolti da un atomico destino (Chiarelettere, 2022).

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