Come i paesi artici stanno decarbonizzando la produzione di energia

Le comunità artiche stanno crescendo e hanno bisogno di energia. Le possibilità di nuovi impianti per produrre energia a basse emissioni attirano l’interesse del mondo della ricerca, ma anche di aziende che vogliono investire nei paesi artici.

7 minuti | 3 Novembre 2023

Testi di Camille Lin

La decarbonizzazione dell’economia è stata al centro del dibattito nell’incontro internazionale degli stakeholder artici, la Arctic Circle Assembly, avvenuto lo scorso ottobre a Reykjavik. Decarbonizzazione è la parola chiave, che però non si riferisce esclusivamente alle energie rinnovabili: anche l’energia nucleare sta attirando l’attenzione di accademici e investitori, che credono possa contribuire ad arricchire il mix energetico delle popolazioni nell’estremo nord, dove non c’è sole nei mesi invernali e mancano venti costanti.

 

L’esperienza della Scozia nella decarbonizzazione

In quanto capofila nella produzione di elettricità eolica e di quella proveniente dal moto ondoso, la Scozia ha ben rappresentato il continente europeo. Gillian Martin, del Dipartimento dell’Energia scozzese, ha sottolineato come il paese intenda sfruttare queste risorse ed esportare il surplus. Per farlo, l’intenzione è quella di produrre idrogeno e creare un polo commerciale da cui esportarlo, almeno per rifornire le isole Orcadi, un arcipelago nell’estremo nord del paese.

Sempre in Scozia si trova Camille Dressler, Direttrice della Federazione delle Isole Scozzesi, che vive sull’isola di Eigg. L’isola è diventata autosufficiente dal punto di vista energetico grazie a pannelli solari, microturbine idroelettriche e pale eoliche. Ci vivono un centinaio di abitanti: come un condominio di medie dimensioni. Ognuno di loro è coinvolto nella strategia energetica della comunità, controllando il consumo energetico di ogni apparecchio o partecipando alla manutenzione delle infrastrutture.

Ragionando su scala più ampia, a Glasgow, l’Università della Scozia sta cercando di ottimizzare la produzione di energia negli edifici. È stato così sviluppato un modo per riscaldare i palazzi utilizzando energia solare. Il sistema non utilizza l’elettricità come intermediario tra il sole e i termosifoni, ma i pannelli riscaldano direttamente l’interno delle strutture. Il risultato è un aumento dell’efficienza energetica dal 20% al 60%. Inoltre, i ricercatori hanno integrato il sistema con pale eoliche, il cui design permette di seguire l’accelerazione del vento intorno all’edificio.

eolico offshore

La Scozia ha centrato la sua strategia energetica su impianti eolici offshore per rimpiazzare l’estrazione di petrolio. Foto di Dugornay Olivier.

Alle Fær Øer, la domanda di energia triplicherà entro il 2040

Più a nord, con l’80% di energia rinnovabile, le Isole Fær Øer seguono l’esempio della Scozia. Kári Mannbjørn Mortensen, capo del Dipartimento dell’Energia delle Fær Øer, ha descritto un progetto che mira a triplicare l’attuale produzione dell’isola, grazie all’utilizzo di pale eoliche galleggianti. «Non possiamo più fare affidamento sulla disponibilità di suolo, dobbiamo trovare altri spazi», spiega. Kári Mannbjørn Mortensen è consapevole che, se l’impianto venisse a trovarsi troppo vicino alla costa, potrebbe danneggiare le colonie di uccelli e modificare il paesaggio. «Quarantamila chilometri quadrati di piattaforma continentale hanno una profondità compresa tra 100 e 200 metri», aggiunge. È l’area ideale per questi progetti. Tuttavia, molte opinioni devono ancora essere valutate, come quella dei pescatori dell’arcipelago, che temono che un impianto di questo tipo possa compromettere le aree di pesca.

L’autonomia energetica delle Isole Fær Øer include anche la propulsione delle sue navi. Si stima che i bisogni triplicheranno da qui al 2040. Prima di questa scadenza, la produzione di energia eolica potrebbe raggiungere i 12 TW all’anno, un valore quattro volte superiore a quello necessario per l’autosufficienza. Il progetto prevede inoltre un collegamento tramite cavo sottomarino tra le isole Shetland e l’Islanda.

 

Aviazione e idrogeno

Air Iceland ha pianificato di ridurre le emissioni di anidride carbonica entro il 2050. L’Islanda oggi dipende dall’aviazione, che però è un settore che fatica a trovare prospettive concrete per la decarbonizzazione. L’unico modo pratico per migliorare la situazione è rinnovare la flotta con modelli nuovi e più efficienti anche del 20%, come il Boeing 737 Max. La principale speranza del settore per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili è lo sviluppo della propulsione a idrogeno.

Tryggvi Þór Herbertsson, Professore di Economia presso l’Università di Reykjavik, ritiene che l’Islanda sia molto adatta alla produzione di idrogeno. Teniamo presente che l’idrogeno è un semplice sistema di trasporto di energia: viene prodotto usando elettricità e a sua volta viene usato per generare elettricità. Tryggvi Þór Herbertsson prevede un aumento del prezzo della produzione di elettricità in Europa. Tuttavia, l’Islanda e la Groenlandia sono tra le aree del mondo dove la produzione di energia elettrica è più economica. Aggiunge che l’arrivo dell’idrogeno su larga scala in Europa dovrebbe iniziare tra due, tre o quattro anni al massimo.

La Groenlandia ha anche un enorme potenziale per quanto riguarda la produzione di elettricità decarbonizzata. «Questa storia ha preso una piega quasi cinica, dato che è il riscaldamento globale a rendere possibile la generazione di elettricità in Groenlandia», osserva Tryggvi Þór Herbertsson.

A sua volta, il Ministero dell’Agricoltura, dell’Autosufficienza, dell’Energia e dell’Ambiente della Groenlandia vede l’idrogeno come il pilastro centrale dello sviluppo dell’isola, con un potenziale di 9,5 TW all’anno sulla costa centro-occidentale, e altri progetti più piccoli intorno a Nuuk. Il Ministero sta anche invitando investitori stranieri a partecipare.

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L’energia nucleare tra promesse e preoccupazioni

La transizione però non avverrà senza investimenti. Il progetto di ricerca sui micro-reattori nucleari dell’Università di Anchorage in Alaska è un utile promemoria in questo senso. Richelle Johnson sta conducendo valutazioni economiche per capire se l’uso di piccoli reattori nucleari, comparabili a quelli presenti nei sottomarini, potrebbe essere utilizzato in Alaska nelle comunità non collegate alla rete nazionale.

Johnson identifica diversi ostacoli economici nello sviluppo di questi progetti: prima di tutto, la catena di approvvigionamento del carburante è difficile da prevedere, così come l’impatto dell’inflazione. Inoltre, materiali grezzi come l’elio – essenziale per alcune tecnologie – stanno diventando sempre più rari. In breve, tutti questi fattori complicano la valutazione del prezzo di questi sistemi. Tuttavia, la messa in opera dell’energia nucleare nelle comunità dell’estremo nord compenserebbe le lacune delle energie rinnovabili e, soprattutto, consentirebbe la produzione locale di beni che oggi devono essere importati e sono molto costosi per gli abitanti di queste regioni remote.

La transizione non può avvenire senza il coinvolgimento delle comunità locali, che non hanno fiducia nello Stato quando si tratta di energia nucleare. Diane Hirshberg, l’antropologa del progetto, ha esaminato la storia e si è resa conto che i test nucleari avvenuti nella tundra più di 50 anni fa sono alla radice di questa diffidenza. «Queste storie hanno un enorme impatto sul dibattito attuale», ci racconta.

Ecco perché Haruko Wainwright, docente presso il Massachusetts Institute of Technology, organizza campi estivi in cui i giovani vengono introdotti alla misurazione scientifica della qualità dell’acqua. Imparano a rilevare inquinanti, acquisendo così un certo controllo sul loro ambiente.

L’autosufficienza energetica e lo sviluppo nelle comunità artiche possono anche creare posti di lavoro e nuove attività in queste regioni. Per esempio, sull’isola di Eigg, i residenti locali stanno formando i giovani a gestire impianti elettrici, nella speranza che poi continuino a lavorare in questo settore.

Questo articolo è stato pubblicato in collaborazione con PolarJournal, sito di informazione che racconta le zone polari con notizie di politica, cultura, scienza, turismo, storia

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  • Camille Lin

    Camille Lin è un giornalista della redazione di Polar Journal. La sua passione per i poli è iniziata nel 2017, quando ha passato l’inverno nella Stazione di ricerca francese alle Isole Kerguelen. Da allora ha viaggiato su pescherecci, una nave ospedale e navi da crociera in Antartide. Scrive anche per le riviste francesi Le Chasse-Marée e Ça m’intéresse.

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