Questa forma d’arte in continua evoluzione – contestata da chi non la reputa vera arte – si sta posizionando in modo altrettanto stupefacente a livello commerciale. Basti pensare al Ritratto di Edmond Belamy, dipinto dall’intelligenza artificiale attraverso l’algoritmo del collettivo francese Obvious, prima opera di questo genere battuta all’asta nel 2018 da Christie’s per mezzo milione di dollari, spiazzando le previsioni che ne stimavano il valore a 10.000 dollari.
Sofia Crespo ha recentemente realizzato e tokenizzato tre delle sue opere, convertendo i diritti d’autore in un gettone digitale (token) registrato su una blockchain Ethereum (un registro digitale iper protetto) per essere vendute alla Kate Vass Galerie Digital ed esplora come l’essere umano utilizzi i meccanismi artificiali – la tecnologia appunto – per simulare se stesso ed evolvere.
Per l’artista, che studia la dinamica del ruolo degli artisti che lavorano con le tecniche di apprendimento automatico, le tecnologie sono un prodotto della vita organica che le ha create e non un oggetto completamente separato.
«Il mio interesse principale sono la vita artificiale e la biologia. Sono una continua fonte di ispirazione e di nuovi lavori».
Crespo tuttavia non utilizza necessariamente un approccio digitale per le sue opere, ma spazia dalle reti neurali artificiali (modelli computazionali composti di neuroni artificiali, ispirati alle reti neurali biologiche) ai metodi classici di stampa analogica come la cianotipia, un antico metodo di stampa fotografica a contatto, mediante raggi UV, risalente alla metà dell’800 e caratterizzata da una dominante di colore Blu di Prussia. Per l’artista generativa – che lavora ad opere che creano se stesse – la tecnologia è un mezzo per un fine che non coincide con l’impiego di una data tecnologia per il gusto di usarla, ma piuttosto per esplorare modi diversi di meditare su un soggetto, un’estetica o un messaggio.
«Per me la differenza tra una matita e una rete neurale», racconta Sofia, «è che entrambe offrono risultati stimolanti e potenziali esiti di serendipità [la scoperta di qualcosa di valore o piacevole quando meno ce lo si aspetta, nda], quindi comincio sempre chiedendomi quale sia il soggetto e l’intento artistico, poi proseguo esplorando. Non penso che qualcosa di tecnologicamente avanzato sia automaticamente migliore, dopo tutto».

Naturale e artificiale
Sofia Crespo ha un punto di vista inclusivo sull’interazione uomo-tecnologia. «Se esaminiamo la rete di infrastrutture tecnologiche che avvolge il mondo oggi, possiamo vedere come, ad esempio, le centrali elettriche consumino risorse che a loro volta guidano e attivano una miriade di agenti digitali e fisici che interagiscono tra loro. Interazioni che non sono affatto diverse da un ecosistema o un corpo unico in cui le singole parti agiscono insieme come in un unico organismo. Il fatto che l’influenza sulle nostre vite e le conseguenze sul pianeta di questa infrastruttura digitale siano in effetti strettamente intrecciate significa che possiamo affermare che il digitale è parte del mondo naturale e dei suoi ecosistemi. Tuttavia non siamo pronti, evidentemente, a vedere il mondo in questa prospettiva e così abbiamo preferito progettare le interfacce digitali in modo da non percepirle come parte del ciclo naturale degli ecosistemi».

Alla base dell’umano
Gli scienziati arrivano a costruire computer che tentano di replicare il cervello umano, quindi perché gli artisti non dovrebbero poter provare lo stesso divertimento? La tecnologia è diventata parte integrante della nostra vita, ci dice cosa dobbiamo fare, mangiare, e quanto dormire.
Esiste accanto a noi, come un amico appiccicoso, che genera algoritmi e individua modelli da ogni movimento che facciamo online. Impara le cose a un ritmo spaventosamente veloce, e cerca di capire e collegare i comportamenti umani spontanei – dalla scelta del filtro di Instagram per individuare sintomi di depressione, fino a diventare un contenitore accidentale per l’estrema destra nel tentativo di apprendere come si sviluppano le conversazioni umane. «Ho iniziato a studiare le reti neurali e come potenzialmente, in futuro, quando un computer diventerà così intelligente da poter funzionare alla pari del cervello umano, soffrirà degli stessi problemi che hanno gli umani».

La natura immaginata
Queste immagini assomigliano alla natura, ma una natura immaginata che è stata riorganizzata. La nostra corteccia visiva riconosce immediatamente alcuni elementi, ma in un secondo momento il cervello è contemporaneamente consapevole che quegli elementi non appartengono a nessuna disposizione della realtà a cui ha accesso.
La computer vision e il machine learning potrebbero offrire un ponte tra noi e una “natura” speculativa a cui si può accedere solo attraverso alti livelli di calcolo parallelo. Partendo dal livello della nostra realtà conosciuta, potremmo in definitiva digitalizzare i processi cognitivi e utilizzarli per alimentare nuovi input nel mondo biologico, che si alimenta di nuovo in un ciclo. Le routine in una rete neurale artificiale diventano uno strumento di creazione che permette di elaborare nuove esperienze.

L’intenzione è quella di celebrare la diversità naturale della vita degli insetti, non attraverso la riproduzione digitale precisa e sterile di essa, ma sotto forma di nuovi esemplari che sono veri e propri nativi digitali. Artificial Remnants 2.0 non tentano di impersonare insetti esistenti, ma piuttosto incarnano una “essenza di insetto” nata dall’addestramento di algoritmi di apprendimento automatico su serie di dati di insetti, realmente esistenti, che portano a nuove comprensioni della natura.
La loro diversità e le loro qualità decisamente digitali sono in contrasto complementare con l’insuperabile creatività della selezione naturale, ma possono agire come un prisma con cui avvicinarsi a nuove prospettive e all’apprezzamento del vulnerabile mondo non umano che troppo spesso diamo per scontato.