Alberi madre: viaggio alla scoperta degli alberi monumentali in Italia

Fotografie di Elisabetta Zavoli
In Italia ci sono circa 22mila alberi monumentali: alcuni sono millenari. La fotografa Elisabetta Zavoli li ha fotografati, raccogliendo storie e tradizioni che circondano gli “alberi madre”.

15 minuti | 22 Luglio 2022

Albero madre è un termine, coniato dall’ecologa forestale canadese Suzanne Simard, che definisce gli alberi più grandi in una foresta che sono collegati e comunicano con gli altri alberi e piante. In genere, l’albero madre è l’albero dominante, il più grande e il più vecchio in una vasta rete di piante che controlla e determina il trasferimento dei nutrienti per tutti gli individui di quel network. Gli alberi madre infatti gestiscono le risorse e si prendono cura degli altri alberi nel momento del bisogno.

Nel 1939, l’Italia ha approvato la sua prima legge per proteggere esplicitamente gli alberi monumentali con una clausola che li considerava “cose ​​​​immobili che hanno notevoli caratteristiche di bellezza naturale”. Questa legge, tuttavia, adottava un approccio basato più sull’aspetto che sulla funzione ecologica degli alberi monumentali. Nel corso degli anni, però, una serie di leggi regionali e nazionali ha ampliato la legge ambientale del 1939 con un approccio più olistico alla protezione di questi alberi. Nel 2013, l’Italia ha delineato una serie di criteri per la definizione di alberi monumentali che includono estrema longevità, dimensioni insolite, rarità delle specie, significato storico e culturale, e valore ecologico.

 

Gli alberi monumentali in Italia

Gli alberi monumentali si trovano in tutta Italia: nelle ville private, nelle chiese e nei parchi nazionali e nei terreni privati. Sono circa 22.000 gli alberi monumentali in Italia, secolari e millenari. Dal 2013, oltre 3.500 degli alberi monumentali “degni di nota” sono stati aggiunti a un registro nazionale in continua crescita. Tra questi, 150 sono definiti di “eccezionale valore storico o monumentale”. Chiunque venga sorpreso illegalmente a danneggiare o abbattere questi alberi può incorrere in una pesante multa fino a 100.000 euro.

Questo progetto fotografico è un viaggio le cui tappe sono alcuni degli alberi più antichi d’Italia, con più di 500 anni. È anche una raccolta delle storie e delle tradizioni locali che riguardano questi antichi esseri viventi, delle loro interazioni con le comunità umane che, ancora oggi, si prendono cura e vivono all’ombra di questi giganti.

Eremo di Sant'Elia Vecchio a Curinga

Alcuni turisti visitano le rovine dell’Eremo di Sant’Elia Vecchio a Curinga. Non si conosce la data esatta di costruzione dell’edificio, ma doveva esistere già nell’anno 1000 d.C., epoca in cui Roberto il Guiscardo firmava un documento di cessione all’Abbazia Benedettina di Santa Eufemia. Probabilmente l’origine del platano è da attribuire ad un monaco basiliano, giunto a Curinga dall’attuale Armenia, che portò con sé una giovane pianta di Platanus orientalis dalla sua terra natale e la piantò vicino all’eremo. Curinga (CZ), 19 luglio 2020.

alberi monumentali

Uno dei caratteristici e lunghissimi rami ondulati del platano si è staccato, probabilmente a causa dell’enorme peso, ed è caduto a terra. Curinga (CZ), 19 luglio 2020.

alberi monumentali

Cesare Cesareo, insegnante ed ambientalista di Curinga, posa in piedi all’interno della grande cavità nel tronco del platano. Il legno interno del tronco è tutto annerito dal fumo. L’ampia cavità, infatti, era spesso usata come bivacco dai pastori. La corteccia del platano, negli esemplari adulti, si sfalda in placche irregolari, tanto che le viene data un’origine mitologica: sarebbe la pelle del serpente che tentò Adamo nel Giardino dell’Eden. Curinga (CZ), 19 luglio 2020.

faggio del Pontone

Un gregge di pecore pascola a Passo Godi, tra il comune di Scanno e Villetta Barrea, all’interno del territorio del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Sotto la foresta che ricopre il monte Godi, il faggio del Pontone cresce da 800 anni. In lontananza il Monte Meta (2245 m). Passo Godi (AQ), 15 luglio 2020.

faggio del pontone

Alberto Cocuzzi, guardia forestale del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise osserva il faggio del “Pontone”. L’albero appartiene alla specie Fagus sylvatica. L’albero oggi è formato dalla concrezione di numerosi fusti, separati in gioventù ma con un comune apparato radicale. Le diverse cortecce si sono unite nel corso dei secoli. Il faggio del Pontone è alto 21 metri e ha una circonferenza di 8,30 metri. Passo Godi (AQ), 15 luglio 2020.

Parco Nazionale d’Abruzzo

Alberto Cocuzzi, guardia forestale del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, accarezza uno dei muli ancora oggi utilizzati per trasportare tronchi di legno tagliati dalla foresta. I muli sono lasciati pascolare liberamente nella faggeta dopo una giornata di lavoro. L’attività di raccolta del legno dalla foresta è regolamentata dall’Ente Parco e prevede l’uso civile del legno per il riscaldamento delle comunità montane. Ancora oggi il faggio viene utilizzato prevalentemente per il riscaldamento domestico. Passo Godi (AQ), 15 luglio 2020.

alberi monumentali

Trascorrendo del tempo ogni giorno con i suoi ulivi di 2500 anni, Maurizio De Ponti riesce ad apprezzare il continuo adattamento di questi alberi agli stimoli ambientali. De Ponti ama creare piccole sculture di pietre in equilibrio su bastoncini tra i tronchi degli ulivi: un soffio di vento, un movimento del suolo e le pietre cadono. Con pazienza De Ponti li riposiziona, come un mantra, una meditazione ispirata dalla vita degli ulivi, che hanno visto la nascita e la caduta popolazioni, guerre, eventi meteorologici estremi, tagli. Eppure hanno sempre trovato le risorse per continuare a prosperare e volgere la loro chioma al sole. Villastrada (PG), 13 luglio 2020.

alberi monumentali

Uno scorcio della campagna intorno all’uliveto di De Ponti. Un tempo gli ulivi si trovavano su diversi ettari lungo la dolce collina che sovrasta il paese di Cantagallina. Tuttavia, in seguito a una fortissima gelata nel 1985, oggi solo dieci antichi ulivi rimangono sulla sommità del colle di Villastrada. Villastrada (PG), 13 luglio 2020.

ulivi di Villastrada

Gli ulivi di Villastrada sono un gruppo di una decina di Olea europea plurisecolari, il più antico e grande dei quali è databile al V secolo a.C. (circa 2500 anni). Il gigantesco ulivo ha perso la parte centrale del suo tronco e rimane vivo in alcune parti esterne. È alto 14 metri e ha una circonferenza di 12 metri. Villastrada (PG), 13 luglio 2020.

Monastero di Fonte Avellana

Il Monastero di Fonte Avellana si trova alle pendici della zona boschiva del Monte Catria (1701 m) a 700 metri sul livello del mare. Le origini del monastero sono collocate intorno al 980 d.C, quando alcuni eremiti scelsero di costruire tra queste montagne delle Marche le loro celle di preghiera. Fonte Avellana (PU), 27 agosto 2020.

Monastero di Fonte Avellana

Lo scriptorium del Monastero di Fonte Avellana è stato restaurato nel 1958 e oggi è adibito a luogo per incontri spirituali. Fu edificato nel XII secolo ed è il luogo dove i monaci trascrivevano a mano il greco classico, il latino e preziosi testi su pergamena antica. Fonte Avellana (PU), 27 agosto 2020.

albero della morte

Il naturalista Francesco Martinelli siede sotto il tasso di 600 anni, una pianta di Taxus baccata anche chiamata “l’albero della morte”. Tutte le parti della pianta sono tossiche tranne le bacche. Il principio attivo responsabile della tossicità di rami, foglie e semi è un alcaloide, la tassina. Il suo nome deriva dal greco tóxon che significa arco/freccia, mentre il nome “albero della morte” è anche in parte dovuto al suo uso nella fabbricazione di dardi velenosi, grazie alla sua tossicità. Fonte Avellana (PU), 27 agosto 2020.

Villa Falconieri

Marino, il governante di Villa Lancellotti, posa accanto a uno dei muri di sostegno degli enormi rami della quercia che prende il nome del portone padronale di Villa Falconieri, accanto al quale cresce la quercia. Villa Falconieri è stata costruita nel 1500 e ristrutturata dal cardinale Borromini nella prima metà del 1600: tra queste due date iniziò a crescere la giovane pianta di quercia. Frascati (RM), 17 luglio 2020.

quercia di Villa Falconieri

La corteccia della maestosa quercia è profondamente solcata e piegata, e mostra delle linee di diversi colori. Frascati (RM), 17 luglio 2020.

quercia di Villa Falconieri

Questa quercia della specie Quercus pubescens, vista dall’interno della tenuta di Villa Falconieri, si stima abbia più di 500 anni. Misura circa 25 metri di altezza, ha una circonferenza del tronco di 6,10 metri e la chioma raggiunge una circonferenza di 36 metri. Sullo sfondo si vede Villa Lancellotti. Frascati (RM), 17 luglio 2020.

Convento di Santa Croce

Un frate francescano parla con alcuni giovani nel chiostro del Convento di Santa Croce, sotto l’enorme cipresso. La tradizione narra che San Francesco, lungo il cammino verso il convento, raccolse un bastone per aiutarsi a camminare. Una volta raggiunto il convento, gettò il bastone nel fuoco. Ma il bastone non bruciò. Il Santo interpretò questo prodigio come un segno, e piantò il bastone da cui crebbe il cipresso. Villa Verucchio (RN), 6 luglio 2020.

alberi monumentali

Il convento di S. Francesco fu edificato nel 1215 da Frate Elia, discepolo di San Francesco, ed è il più antico convento francescano della regione Emilia Romagna. La più recente relazione botanica sull’albero ha stabilito che il cipresso è stato inequivocabilmente piantato all’inizio del XIII secolo. L’età è quindi di 800 anni. La circonferenza del tronco vicino al suolo è di 5,15 metri, mentre appena sotto le divaricazioni dei primi rami raggiunge una circonferenza di 7,37 metri. Villa Verucchio (RN), 6 luglio 2020.

Villa Verucchio

Il nome scientifico del cipresso è Cupressus sempervirens. Ogni giorno, molti visitatori vengono in pellegrinaggio nel convento francescano per raccogliere da terra le bacche del maestoso cipresso (galbuli) nella speranza che germinino, dando origine a nuove piante “benedette”. Villa Verucchio (RN), 6 luglio 2020.

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parco del pollino

Luca Franzese, Guida del Parco Nazionale del Pollino, attraversa insieme all’amico Carmine Lo Tufo il Piano del Gaudolino, sulla via per raggiungere il Patriarca, un esemplare di pino loricato di 600 anni. Il Monte Pollino (2248 m) sorge sullo sfondo. Le popolazioni di alberi d’alta quota, come i pini loricati del Pollino, sono generalmente sparse, con i singoli individui che crescono molto distanti tra loro. I pini loricati del Pollino derivano da un nucleo originario dei Balcani che, a seguito di eventi tettonici e innalzamento del livello del mare, è rimasto isolato in questa regione, l’unica in Italia. Pollino (CS), 30 luglio 2020.

patriarca del pollino

Luca Franzese, Guida del Parco Nazionale del Pollino, e Carmine Lo Tufo, guardano il tramonto scendere sulla pianura di Campotenese, tra le radici del grande pino loricato. Dopo aver accompagnato molte volte turisti e scienziati a visitare il Patriarca del Pollino, Franzese è ancora stupito dalla bellezza e maestosità di questo antico essere vivente. Pollino (CS), 30 luglio 2020.

patriarca del pollino

Il nome latino della specie, Pinus leucodermis, è stato dato per il colore biancastro che assume il legno degli alberi morti. Il nome volgare “loricato” deriva invece dalla forma della corteccia, che è fessurata in grandi placche grigio cenere con squame trapezoidali ricoperte da piccole squame lucenti. L’aspetto è simile a quello della corazza delle armature dei legionari romani (la lorica). Pollino (CS), 30 luglio 2020.

patriarca del pollino

Il Patriarca del Pollino è un vecchio esemplare di pino loricato (Pinus leucodermis), di 600 anni. Le sue poderose radici lo ancorano saldamente al terreno roccioso e povero, tipico dell’alta quota (sopra i 2000 m). È una specie molto frugale, che riesce a vivere su pareti rocciose e creste spoglie. La sua crescita è molto limitata e la specie è longeva. Pollino (CS), 30 luglio 2020.

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