Lo scorso febbraio si è diffusa la notizia di un focolaio di herpesvirus equino di tipo 1 (EHV-1) durante una serie di gare a Valencia, il CES Valencia Tour. Di per sé, il virus non è di solito preoccupante e causa infezioni poco dannose per gli animali. In questo caso, però, pur non trattandosi di un nuovo ceppo del virus, stando al sequenziamento genetico, questa epidemia si è rivelata particolarmente pericolosa per gli animali.
Cos’è l’herpesvirus equino
In analogia a quanto avviene per altre infezioni erpetiche (ad esempio, per l’herpes zoster della varicella umana), nei cavalli che superano la prima infezione il virus può rimanere latente. «Possono rimanere nelle cellule dei gangli cervicali e nei linfociti», racconta Giovagnoli, «per riattivarsi a seguito di eventi stressanti o a qualsiasi altro fattore in grado di provocare soppressione immunitaria, con successiva eliminazione nell’ambiente anche in assenza di sintomi clinici».
In questo caso, il recente focolaio scoperto nel corso della manifestazione sportiva di Valencia ha suscitato una particolare preoccupazione per il grande numero di animali colpiti. A contrarre il virus sono stati circa 80 cavalli nella sede della competizione, i quali hanno successivamente contagiato altri esemplari nelle rispettive nazioni d’origine. A seguito del rientro di cavalli portatori del virus, infatti, si sono poi verificati altri focolai secondari in Spagna e in molti altri paesi europei. Di questi animali contagiati, 17 sono morti per le complicazioni legate alla malattia o per eutanasia.
Per limitare un’ulteriore diffusione, la Federazione Equestre Internazionale (FEI) e alcune Federazioni Nazionali, tra cui anche l’italiana FISE, hanno dapprima sospeso tutte le gare, per poi riprenderle solo dopo il sequenziamento genico che ha escluso si trattasse di un nuovo ceppo del virus.
EHV-1 può causare sindromi respiratorie e neurologiche, oltre a provocare aborti nelle giumente negli ultimi mesi della gravidanza, con possibile mortalità neonatale nei puledri che contraggono l’infezione prima della nascita. Sono possibili anche forme in cui i sintomi sono poco visibili o anche invisibili. Anche in queste ultime, comunque, si ha propagazione del virus e diffusione dell’infezione a soggetti sensibili.
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Limitare la diffusione
L’evento di Valencia ha dimostrato come anche il trasporto dei cavalli da competizione possa essere vettore della malattia: come sottolineato da un documento informativo della FISE, van e rimorchi su cui hanno viaggiato i cavalli infetti possono essere contaminati dal virus e così trasmettere la malattia ad altri animali. È quindi fondamentale curare l’igiene sia delle scuderie sia dei mezzi di trasporto. I viaggi possono essere fonte di stress per gli animali da competizione, e non è escluso che questo porti a un abbassamento delle difese immunitarie dei cavalli nei confronti di EHV-1. Non bisogna però temere uno spillover: la malattia è specie specifica e quindi non è trasmessa ad altri animali, compreso l’essere umano. La FEI e la FISE hanno emanato delle buone pratiche di igiene e di biosicurezza efficaci per ridurre la diffusione dell’epidemia.
La situazione attuale, in cui la pandemia di COVID-19 sta ancora influendo in maniera significativa sulla nostra quotidianità, potrebbe aver aumentato la nostra attenzione nei confronti di questa epidemia, come osserva Giovagnoli: «Probabile che il periodo storico che stiamo vivendo possa aver influenzato anche l’aumento della percezione del rischio per altre forme virali e, di conseguenza, anche di quella di cui stiamo parlando. Tuttavia, un aumento di consapevolezza non può che migliorare la gestione in sicurezza delle scuderie, dell’allevamento equino e delle attività equestri». Insomma, il peggio sembra essere passato ma bisognerà comunque tenere gli occhi ben aperti in futuro, per evitare nuove epidemie e garantire il benessere degli animali coinvolti.