Plantoidi attivisti per l’ambiente, l’arte di Ivan Henriques

Testi di Erica Villa
Cosa succederebbe se invece di adattare la natura al design, ripensassimo la tecnologia per lavorare in armonia con l’ambiente? Intervista a Ivan Henriques, artista e studioso di ingegneria ecologica.

9 minuti | 28 Gennaio 2022

Cosa succederebbe se invece di costringere la natura ad adattarsi al design, rimodellassimo e ridefinissimo i nostri strumenti tecnologici per lavorare in concerto con l’ambiente? Riusciamo a immaginare interventi di design di alto livello che non solo non impattino sull’ambiente ma che anzi possano sfruttare al meglio il potenziale della natura?
Per Ivan Henriques, artista e ricercatore, questo approccio non dicotomico ma interconnesso tra ambiente, edilizia e design è assolutamente possibile, anzi necessario per unire le nostre esigenze a quelle del pianeta che stiamo devastando.

l’intreccio di arte, scienza e tecnologia

Il background di Ivan Henriques affonda le radici nell’arte, tuttavia durante gli studi ha sviluppato una conoscenza puntuale delle scienze della vita e della tecnologia. La natura, la scienza e la tecnologia sono sempre state un’ispirazione per sviluppare le sue idee e creazioni fin da piccolissimo, cresciuto con una madre biomedica e un padre ingegnere.
Nella sua ricerca Ivan rincorre un equilibrio tra natura e tecnologia, perché ritiene che migliorare il rapporto che la nostra società ha con le altre forme di vita possa aiutare a risolvere i problemi ambientali da un punto di vista ecologico ed economico.

«È fondamentale regolare la velocità di produzione prendendo in considerazione il fatto che il design possa evolvere insieme al mondo naturale in un’ottica di sostenibilità attraverso l’integrazione dei sistemi viventi. Lo stesso vale per il contrario, ossia l’integrazione del vivente nel design, un concetto alla base della mia pratica artistica».

Un approccio non dicotomico ma interconnesso tra ambiente, edilizia e design è assolutamente possibile, anzi necessario per unire le nostre esigenze a quelle del pianeta che stiamo devastando.

Ivan Henriques ha sempre guardato con fascino e ammirazione al modo in cui insetti, animali e piante sembrano organizzarsi in una sorta di cervello collettivo, con capacità di comunicazione potenziate per percepire l’ambiente circostante. È proprio questa attenzione per il dettaglio naturalistico – è letteralmente cresciuto immerso nella foresta tropicale nello stato di Rio de Janeiro – che ha gettato le basi per la sua carriera professionale in campo scientifico e artistico.

Ivan Henriques. Foto di Ivan Henriques.

Macchine viventi

Nel 2008, Ivan ha creato l’Estudio Movel Experimental (EME), la prima residenza mobile a Rio de Janeiro incentrata sulla combinazione di arte e scienza con particolare attenzione alla sostenibilità e all’ambiente. Insieme all’artista Silvia Leal, ha coordinato il progetto curando residenze con artisti, curatori, ricercatori e scienziati.
L’obiettivo di EME era quello di puntare l’attenzione sulla foresta atlantica, con progetti artistici che coinvolgessero la tecnologia negli spazi pubblici. Rio de Janeiro è uno stato composto da 92 comuni e l’omonima città è solo uno di questi. La maggior parte dei cittadini di Rio de Janeiro non ha accesso all’arte, lo stesso vale per gli abitanti degli altri comuni che non hanno nemmeno accesso alle istituzioni culturali. «In questo modo con EME abbiamo creato una rete di professionisti di diverse discipline senza precedenti per ripensare e immaginare il modo in cui abbiamo negoziato con la natura, dando voce a diverse prospettive».

Come nascono i plantoidi

Negli ultimi dieci anni l’artista e il suo team hanno sviluppato dei plantoidi, dei robot-pianta viventi – living machines – in cui piante e batteri diventano un tutt’uno con circuiti elettrici. L’idea è nata leggendo il saggio L’uomo macchina del medico francese Julien Offray La Mettrie, pubblicato nel 1748. In questo libro l’autore esplora la concezione meccanicistica dell’essere umano e del suo corpo, concepito come una macchina. Secondo Offray La Mettrie, l’analogia della meccanica poteva essere usata non solo per il corpo, ma anche per l’anima.
Scrisse anche L’uomo pianta, dove si trovano, incredibile ma vero, analogie simili tra il sistema riproduttivo umano e quello delle piante.

L’ingegneria ecologica, che Ivan studia da anni e da cui nascono i suoi lavori, riflette bene il momento che stiamo affrontando ora: la manipolazione degli esseri viventi e la progettazione del paesaggio. «Stiamo creando e ingegnerizzando componenti e trovando equazioni nelle emissioni di CO2 per riequilibrare la biosfera terrestre.
Le specie che facevano parte di una particolare catena alimentare non esistono più o si estingueranno presto», commenta. «A volte ci vengono presentate soluzioni verdi che sembrano efficaci in breve tempo, ma gli ecosistemi interessati impiegheranno centinaia di anni per riequilibrarsi naturalmente. Quindi in questa prospettiva credo che l’equità biologica dovrebbe determinare la progettazione».

Far guarire il pianeta

Forse con un ripensamento dei metodi di produzione, dell’edilizia e del design, si può davvero “guarire il pianeta”, auspica Ivan, sostenendo che possiamo anche fare reverse engineering. Non si tratta solo di una relazione tra esseri umani e macchine, ma anche tra esseri umani, macchine e altri organismi. Possiamo ricercare più a fondo e imparare di più sulle relazioni biotiche? Queste domande hanno portato l’artista ad approfondire la ricerca sul nostro rapporto lucrativo con le piante. Gli obiettivi di Hybrid Forms Lab (HFlab), una rete orizzontale di ricerca interdisciplinare che Ivan Henriques e il suo team hanno avviato nel 2008, sono la sostenibilità e la comunicazione interspecie, da realizzare attraverso la collaborazione di scienziati, ingegneri e programmatori. Il risultato di questo fertile approccio interdisciplinare sono delle opere d’arte e residenze di ricercatori e scienziati, di cui EME è stata la prima. «HFlab è come un vero organismo: un olobionte, come direbbe Donna Haraway. La sua forma e la sua posizione transitano a seconda dei progetti».
Symbiotic Machines for Space Exploration (SyMSE), 2015. Foto di Ivan Henriques.
Symbiotic Machines for Space Exploration (SyMSE) è un lavoro di ricerca condotto insieme a CMET Ghent, l’Agenzia Spaziale Europea, CEFET-RJ, VU Amsterdam e altre organizzazioni importanti per lo sviluppo di biomacchine che potrebbero ripristinare l’atmosfera terrestre o crearne una in altri pianeti, come Marte. Questo concetto faceva parte della mostra Atmospheric Trilogy, a Bozar, Bruxelles nel 2018. Atmospheric Trilogy è composta da tre opere: C-DER, BacterBrain ed e-SEED.
Un drone C-DER, 2019. Foto di Ivan Henriques.

Il progetto BacterBrain

I droni C-DER sono in grado da un lato di scambiare i gas con l’ambiente attraverso la fotosintesi delle microalghe, e dall’altro di seminare il terreno proveniente da ambienti in pericolo sulla Terra per creare un’atmosfera in un altro pianeta attraverso la semina e la fotosintesi. Il progetto BacterBrain consiste in una struttura robotica trasparente con contenitori di celle a combustibile microbiche e fotosintetiche che generano elettricità per la struttura. BacterBrain si interroga sull’automazione della robotica con l’energia fornita dal metabolismo dei batteri fotosintetici. Quest’opera esplora il cambiamento dei paradigmi robotici quando un organismo vivente non umano – il batterio fotosintetico – trova nuovi modi di connessione e controllo della struttura cinetica, mettendo in discussione il modello di elaborazione tipico dei robot. In questo senso sarebbe possibile indagare come una struttura robotica si comporterebbe, percepirebbe e pianificherebbe con un “cervello” controllato da batteri. Il progetto e-SEED, infine, è un seme che utilizza l’energia elettrica, fornita dalla fotosintesi sintetica, per stimolare la propria crescita. Si tratta di un piccolo timelapse nell’evoluzione della fotosintesi: dai primi robusti batteri blu-verdi che hanno creato la prima atmosfera ossigenata sulla Terra a una complessa pianta alta. Quando il seme viene incapsulato in una unità solare e biologica che ne potenzia lo sviluppo, il seme porta speranza su un terreno senza vita.
Progetto e-SEED, 2018. Foto di Ivan Henriques.

Nuove narrazioni per la nostra società

«Nella mia esperienza, la collaborazione tra artisti e scienziati si è dimostrata in grado di portare nuove narrazioni per questioni rilevanti che la nostra società vive. Quando uno scienziato e un artista hanno obiettivi e posizioni chiare, si possono creare concetti e progetti forti in una visione prismatica, da cui possono scaturire molteplici possibilità». Le opere d’arte di Henriques svelano nuovi approcci nella relazione con il vivente. Tutti gli elementi dell’arte, della scienza e del design procedono in modo sincrono durante il processo di sviluppo dell’opera. Le macchine da utilizzare nelle opere devono essere modificate per adattarsi al vivente, non il contrario. Parte dell’energia delle bio-macchine, sottolinea l’artista, è fornita dal metabolismo degli organismi viventi, che è fondamentale per pianificare e progettare il loro stesso ciclo di vita. La funzione di queste opere è essenzialmente cambiare la relazione abituale che abbiamo con il vivente e le macchine, come una zona di ordito, un passaggio che stabilisce nuovi canali di comunicazione tra gli uomini, le macchine e l’ambiente naturale. Le piante che compongono queste entità ibride sono state selezionate per le loro caratteristiche specifiche. In questo sviluppo Ivan mostra un percorso evolutivo comune per le macchine e per gli organismi viventi. «Credo che lo sviluppo intellettuale dei giovani artisti e designer debba essere preparato per un mondo che cambia. Se non agiamo ora per riequilibrare la nostra biosfera, è molto probabile che ci troveremo a dover affrontare problemi senza precedenti. E dobbiamo lavorare insieme». Per l’artista gli obiettivi della COP26 devono essere raggiunti per migliorare il benessere della società in un approccio davvero globale. Questo non vale solo per gli esseri umani, ma anche per tutti gli altri esseri viventi, che sono cruciali per la salute del pianeta. Avere questi nuovi soggetti di ricerca richiede un approccio interdisciplinare, non solo attraverso la combinazione di arte, design e scienza, ma anche altre discipline come la programmazione e l’ingegneria.

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  • Erica Villa

    Erica Villa ha una laurea in biologia e un master in comunicazione della scienza. Cura e studia le connessioni e le collaborazioni tra ricercatori e artisti in progetti europei, residenze e mostre.

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