«È la montagna sacra per noi Lepcha», spiega Tenzing Lepcha, 39enne agricoltore e attivista ambientale. «Siamo stati creati dalla sua neve. Ogni volta che uno di noi muore, la sua anima fa ritorno alla montagna». Ritenuti gli abitanti ancestrali di queste terre, i Lepcha erano soliti chiamare il Sikkim Nye-mae-el, “paradiso”. Mai nome fu più appropriato per questo ex-regno indipendente di 610.000 abitanti incastonato tra i picchi dell’Himalaya, al confine tra Nepal, Bhutan e Tibet.
Qualche anno fa, Tenzing sentì il richiamo della sua terra: rinunciò ad una promettente carriera di calciatore a Calcutta – e alle comodità della vita urbana – per tornare a Dzongu e dedicarsi all’agricoltura. «Il mondo industrializzato ha seguito per decenni la via del progresso, ma oggi anche gli Occidentali stanno cercando di tornare alle loro radici», spiega seduto sul portico di legno rialzato della sua casa di famiglia, circondato da appezzamenti di verdure e alberi da frutto. Tenzing è stato tra i primi attivisti a incoraggiare i giovani locali affinché abbracciassero di nuovo la coltivazione della terra e avviassero la commercializzazione dei suoi prodotti. Oggi è uno dei personaggi più rispettati della regione, ed il simbolo del percorso alternativo intrapreso dal Sikkim.



Il modello del Sikkim, basato sull’interconnessione tra uomo e natura, potrebbe aprire la strada a un futuro più sostenibile.
A lungo elogiata per la sua capacità di sfamare il pianeta a prezzi accessibili, negli ultimi anni l’agricoltura intensiva è sotto esame per i suoi costi sociali e ambientali. Responsabile di un quarto delle emissioni globali di gas serra, il settore contribuisce pesantemente al riscaldamento globale. Fertilizzanti e pesticidi di sintesi hanno ridotto drasticamente il numero di api e altri insetti impollinatori, causando inoltre un massiccio inquinamento delle acque e l’esaurimento dei suoli.
A causa della sua superficie agricola limitata, il Sikkim non sarà mai in grado di sfamare il pianeta. Tuttavia il suo modello, basato sull’interconnessione – piuttosto che sulla concorrenza – tra uomo e natura potrebbe aprire la strada a un futuro più sostenibile, specialmente in un momento in cui il cambiamento climatico sta costringendo il mondo a rivedere le sue priorità. Le autorità locali annoverano tra i primi, incoraggianti risultati della rivoluzione organica un aumento della fauna selvatica e degli insetti, oltre al ringiovanimento dei suoli.




Questo percorso alternativo non è comunque immune da rischi. L’agricoltura biologica è più complessa rispetto all’agricoltura convenzionale, e le rese sono inferiori e stagionali. Nonostante le autorità abbiano identificato quattro promettenti colture – zenzero, grano saraceno, curcuma e cardamomo – che potrebbero aprire la strada alle esportazioni biologiche del Sikkim, allo stato attuale mancano le infrastrutture – tra cui la catena del freddo, le unità di lavorazione e una rete di trasporti affidabile – necessarie per commercializzare i prodotti in maniera efficace. La maggior parte degli agricoltori è ancora costretta a vendere i propri prodotti attraverso gli stessi canali, e allo stesso prezzo, della frutta e verdura convenzionali.
Potrebbero volerci anni prima di sviluppare una catena logistica adeguata, ma la situazione sta migliorando. Oggigiorno le deliziose arance di Dzongu vengono vendute a Calcutta e Delhi, e diversi investitori provenienti da Medio Oriente, Europa, Sud-Est asiatico ed Estremo Oriente hanno già manifestato interesse per i prodotti locali.




Lasciare la capitale Gangtok e perdersi nella natura rigogliosa e incontaminata è il modo migliore per esplorare la regione. I visitatori possono alloggiare in homestays – stanze spartane messe a disposizione dalle famiglie locali – e sperimentare la vera vita di campagna. I giorni trascorrono raccogliendo riso, esplorando cascate o partecipando a festival e matrimoni tradizionali. La sera, le famiglie si riuniscono attorno al fuoco per condividere racconti con i loro ospiti e consumare deliziose cene rigorosamente biologiche.


Azing decise di convertire la terra in un frutteto, piantando i suoi ripidi pendii ad ananas, banane, manghi e papaie, ma gli inizi non furono promettenti. «Nessuno era a conoscenza della mia nuova attività, così l’unica opzione era vendere la frutta al mercato più vicino», spiega. «Per quattro anni feci veramente fatica a mantenere la famiglia». L’uomo non si diede per vinto, e decise di diversificare le sue attività producendo miele e utilizzando la frutta in eccedenza per produrre deliziosi vini analcolici. L’idea funzionò, e la fattoria cominciò ad attirare un flusso costante di visitatori. Azing ha recentemente aperto una homestay, riuscendo a coniugare agricoltura biologica e turismo sostenibile. Oggi accoglie più di 300 visitatori al mese, e i suoi prodotti raggiungono diversi hotel di Gangtok.
Qui, l’amore verso il mondo naturale è il risultato di necessità […]. L’autosufficienza è indispensabile in un ambiente così difficile, e ha insegnato ai Sikkimesi come decifrare i segni della natura.
Azing è diventato una delle principali storie di successo della rivoluzione organica, e ha dimostrato agli altri agricoltori che il nuovo modello può funzionare. La sua fattoria utilizza un mix di residui animali e foglie come fertilizzante, e una miscela di urina di vacca fermentata ed erbe locali come repellente per gli insetti. «Il venti per cento del mio raccolto viene consumato da insetti, uccelli, scimmie e altri animali selvatici, ma a me va benissimo così», continua. «Le feci degli animali nutrono la foresta, che a sua volta fornisce risorse alle mie terre. Tutto è interconnesso in natura».
Qui, l’amore verso il mondo naturale è il risultato di necessità che si sono evolute nel tempo in una vera e propria filosofia di vita. I villaggi locali sono distanti l’uno dall’altro, e nella stagione dei monsoni le frane possono bloccare le poche strade esistenti, isolando intere zone per settimane. L’autosufficienza è indispensabile in un ambiente così difficile, e ha insegnato ai Sikkimesi come decifrare i segni della natura.


La cura dei campi non è l’unico modo scelto da Tenzing per dedicare la vita alla protezione della natura. Negli ultimi 12 anni, lui e altri attivisti locali hanno condotto una tenace resistenza contro la costruzione di una serie di dighe che avrebbero alterato per sempre gli equilibri tra le montagne e il corso dei fiumi. La loro vittoria, avvenuta al prezzo di arresti e violenze, testimonia cosa significhi anteporre l’amore per la propria terra al profitto personale.
Gli occhi di Tenzing brillano di entusiasmo mentre pensa alle sfide future. Sa bene che la difesa del pianeta è una battaglia quotidiana che non va mai data per scontata: «Non posso costringere i più giovani a seguire il mio esempio, l’impulso deve venire da loro stessi. Quello che posso fare è mostrare loro la via che era stata aperta dai nostri antenati, e che io e i miei compagni abbiamo deciso di perseguire. Spero che le nuove generazioni sentano di dover fare lo stesso».
