Ogni anno, forti correnti e maree sempre più alte portano via decine di metri di costa nei paesi dell'Africa Occidentale.
L'erosione sta distruggendo le comunità costiere e mettendo a rischio grandi città in espansione.
E, nei prossimi decenni, aumenterà ancora a causa dell'innalzamento del livello dei mari.

L’onda del cambiamento

Fotografie di Matilde Gattoni
L'innalzamento del livello dei mari e lo sfruttamento di spiagge e foreste di mangrovie stanno accelerando il processo di erosione delle coste dell'Africa Occidentale. Mettendo ancora più a rischio la sopravvivenza di comunità già vulnerabili.

21 minuti | 30 Ottobre 2020

Il Volta è uno dei maggiori fiumi dell’Africa Occidentale. Venne battezzato volta, “ritorno”, dai coloni portoghesi, forse per sue le ampie anse che percorrono il Burkina Faso, la Costa d’Avorio e il Ghana, e che trasportano grandi quantità di sabbia, argilla e limo. Le acque del Volta, ricche di sedimenti, alimentano una vasta pianura alluvionale per poi sfociare nel Golfo di Guinea, dove le forti correnti dell’Atlantico trasportano i sedimenti sulle coste vicine. Ma dagli anni ’60 il corso del Volta è stato modificato dalla costruzione della diga di Akosombo, eretta per produrre l’energia idroelettrica necessaria per le miniere di alluminio della regione. La diga ha formato uno dei bacini artificiali più grandi del mondo, il lago Volta, ma ha anche ridotto il flusso di acqua e sedimenti verso le aree costiere, facendo emergere un problema destinato ad aggravarsi a causa del cambiamento climatico.

Negli ultimi vent’anni, l’area su cui si trova il villaggio è stata portata via, metro dopo metro, dalla forza delle onde.

Stretto in un lembo di terra tra la foce del Volta e la costa dell’Oceano Atlantico si trova quello che resta di Fuvemeh. Fino al 1993, questo villaggio del Ghana era una prospera comunità di 2.500 abitanti, che vivevano di pesca e delle piantagioni di palme da cocco situate su una spiaggia lunga centinaia di metri. «Dalla mia casa, il mare non si vedeva», assicura David Buabasah, pescatore. «Per raggiungerlo dovevo prima attraversare le palme e poi una collina». Ma negli ultimi vent’anni, l’area su cui si trova il villaggio è stata portata via, metro dopo metro, dalla forza delle onde. L’innalzamento del livello del mare e l’erosione della costa, non più alimentata dai sedimenti del Volta, hanno fatto sparire centinaia di metri di terra: prima la spiaggia, poi le piantagioni, fino alle case. Per anni, gli abitanti di Fuvemeh sono sopravvissuti demolendo le loro semplici abitazioni in mattoni e ricostruendole lontano dalla costa. La casa di Buabasah un tempo si trovava sul lato del villaggio che dava sul fiume; nel 2016, quando è stata sommersa dalla marea per la prima volta, si trovava direttamente di fronte all’oceano.

Ghana – Alcuni bambini apprendono le tecniche di pesca tradizionali. Il villaggio di pescatori di Blekusu si trova in prossimità del muro di difesa dal mare, costruito nella vicina città di Keta. Sebbene i frangiflutti e il muro di difesa proteggano la città dall’erosione, essi impediscono ai sedimenti di raggiungere la costa di Blekusu, provocando qui una massiccia erosione costiera.
Ghana – Cape Coast – Studenti locali in visita al castello. Originariamente costruito nel 1653 e dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, il castello è stato uno dei più importanti centri per il commercio di schiavi lungo la costa dell’Africa occidentale. Oggi è una delle principali attrazioni del Ghana, con circa 90.000 turisti all’anno. Secondo gli esperti, gran parte delle coste dell’Africa occidentale potrebbero essere sommerse entro il 2099 come conseguenza diretta dell’innalzamento del livello del mare e dei cambiamenti climatici.
Ghana – Acque reflue circondano l’area di Glefe, una comunità poverissima alla periferia di Accra. Glefe soffre di erosione costiera e problemi di inondazioni croniche durante la stagione delle piogge. Al fine di proteggere la comunità dall’innalzamento del livello del mare, il governo ghanese ha recentemente avviato la costruzione di un muro di difesa dal mare.

Fuvemeh è solo un esempio di un fenomeno molto più vasto che colpisce più di 7000 km di coste in tredici paesi dell’Africa Occidentale.

Negli ultimi anni, le alte maree eccezionali alla foce del Volta sono diventate sempre più frequenti e sempre più forti: dal 2016 al 2019 ce ne sono state ben quindici. Le onde di marea hanno distrutto migliaia di case, riducendo il lembo di terra su cui si trova Fuvemeh a poche decine di metri. La maggior parte degli abitanti del villaggio è fuggita, raggiungendo familiari in comunità vicine. Secondo la ONG Plan Volta Foundation, a Fuvemeh resistono ancora tra le 30 e le 50 persone, che attendono ancora un piano di ricollocamento da parte del governo.

Fuvemeh è solo un esempio di un fenomeno molto più vasto che colpisce più di 7000 km di coste in tredici paesi dell’Africa Occidentale, dalla Mauritania fino al Camerun. Lungo queste coste, l’azione delle onde provenienti da sud e sud-ovest trasporta un flusso continuo di sabbia e sedimenti verso est. I primi resoconti che documentano l’erosione della zona risalgono al 1929, ma oggi il fenomeno si sta aggravando sempre di più, a causa dell’innalzamento del livello dei mari dovuto al riscaldamento globale.

Secondo l’Intergovernmental Panel on Climate Change (o IPCC), l’organo delle Nazioni Unite che studia lo stato della ricerca sul cambiamento climatico, entro il 2100 il livello medio dei mari si alzerà globalmente tra i 29 e i 59 cm (in base a uno scenario in cui le emissioni di gas serra vengano drasticamente ridotte), o tra i 61 e i 110 cm (in base al peggiore degli scenari possibili). A causa dell’aumento della temperatura dell’atmosfera, le acque dei mari si scaldano e diventano meno dense, occupando più spazio, mentre i ghiacciai polari e quelli montani fondono, andando ad alimentare ulteriormente le masse d’acqua degli oceani. Secondo le stime dell’IPCC, nel corso dei prossimi secoli i livelli dei mari continueranno a salire, rimanendo elevati per millenni.

Ghana – Un’abitante del villaggio di Fuvemeh, accanto alla sua casa, guarda l’acqua dell’oceano che si alza nelle strade. Incastonato tra l’oceano e l’estuario del fiume Volta, Fuvemeh ha visto il suo territorio ridursi da diversi chilometri a poche decine di metri. Oggi, il villaggio si trova su una stretta striscia di terra che separa la costa dalla laguna adiacente. Vittime dall’erosione costiera, i suoi abitanti non hanno più spazio dove potersi ritirare.
Ghana – Fuvemeh – Una casa allagata e gravemente danneggiata dalle onde dell’oceano il giorno precedente.
Su scala regionale, però, il livello dei mari potrebbe crescere molto di più. Sulle coste dell’Africa Occidentale potrebbe essere anche del 30% più grave, a causa della subsidenza – la tendenza di alcuni terreni costieri a sprofondare, un fenomeno particolarmente forte sui terreni argillosi come quelli delle pianure del Volta – e di un maggiore aumento delle temperature nelle zone equatoriali.

Oggi su queste coste le onde spazzano via fino a decine di metri di terraferma all’anno. «In Africa Occidentale le infrastrutture e le attività economiche sono concentrate nelle zone costiere, perciò l’innalzamento del livello del mare minaccia le nostre fonti di reddito e la nostra stessa esistenza. Siamo seduti su una bomba ad orologeria», spiega Kwasi Addo Appeaning, direttore dell’Istituto per gli Studi sull’Ambiente e l’Igiene del Dipartimento di Scienze Marine e della Pesca all’Università del Ghana.

Secondo i dati della Banca Mondiale, nei paesi dell’Africa Occidentale colpiti dall’erosione le aree costiere ospitano circa un terzo della popolazione, e generano il 56% del PIL complessivo.

L’oceano ha già distrutto intere comunità costiere e minaccia alcune tra le città più dinamiche della regione. Situata a pochi metri sopra il livello del mare, l’area metropolitana di Lagos, in Nigeria, è popolata da 21 milioni di abitanti e subisce inondazioni sempre più frequenti. Anche la capitale del Ghana Accra – una città di 5 milioni di abitanti in cui si concentrano le attività produttive del Paese – sorge su una linea di costa fortemente colpita dall’erosione. La zona meridionale di Nouakchott, in Mauritania, perde circa 20 metri di spiaggia all’anno. L’erosione della costa ha danneggiato anche diversi alberghi in Gambia e in Senegal, dove il turismo riveste un importante valore economico, e le strutture di depurazione delle acque di Cotonou, capitale economica del Benin.

Ghana – Dzita – Due studentesse all’interno della loro scuola in rovina. Due anni fa, uno dei quattro edifici scolastici della Scuola di Base EP di Dzita è stato distrutto dall’erosione costiera durante la stagione delle piogge. Quattro aule sono andate perdute, costringendo la direzione scolastica ad unire diversi classi per poter accogliere tutti i 670 studenti.
Ghana – Alice Kwashi, 68 anni, posa davanti alla sua casa nel villaggio di Blekusu. L’oceano ha distrutto parte dell’abitazione, riempiendola di sabbia e contaminando il pozzo d’acqua dolce con acqua salata. Per evitare che l’acqua penetri in casa, la donna ha costruito una piccola barriera di terra appena fuori dall’ingresso. «Quando mi addormento, non so se il mare verrà e mi porterà via» dice.
Togo – Periferia di Aneho – Taniche piene di benzina allineate lungo la costa di fronte all’oceano. Dato che la pesca è diventata meno remunerativa a causa degli effetti del cambiamento climatico sugli stock ittici, diversi pescatori locali hanno ripiegato sul contrabbando di carburante, una pratica altamente redditizia che consiste nel trasportare via mare e vendere illegalmente il petrolio dalla Nigeria ai vicini Benin e Togo.

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Il cambiamento climatico sta avendo un impatto significativo anche sugli ecosistemi e sui siti di interesse storico. Nei pressi di Fuvemeh, i luoghi di nidificazione delle tartarughe marine stanno scomparendo, e il numero di delfini, squali e balene nelle acque del Golfo di Guinea continua a diminuire. L’erosione della costa minaccia anche i forti di epoca coloniale, da cui tra il XVI e il XIX secolo partiva la tratta degli schiavi verso le Americhe. Dichiarati patrimonio dell’UNESCO e testimonianze di una delle pagine più buie della storia moderna, essi rivestono un’importanza storica inestimabile e vengono visitati ogni anno da più di 100.000 persone, tra cui molti viaggiatori afroamericani alla ricerca delle proprie origini.

La spiaggia di Agbavi, un villaggio del Togo situato a un centinaio di chilometri a ovest di Fuvemeh, è ormai una sequenza desolata di edifici distrutti. «Un tempo la strada statale passava laggiù, tra la mia prima e seconda casa», spiega Togbe Agbavi Koffi, capo del villaggio, indicando un punto imprecisato dell’oceano. «Anche la mia terza casa sta per essere inghiottita dal mare. Vorrei piangere, ma un capo non può farlo». L’innalzamento del livello dell’oceano non è l’unico effetto del riscaldamento globale. Le temperature in aumento stanno anche portando alla migrazione del patrimonio ittico, riducendo alla fame i pescatori locali. L’erosione e la salinizzazione dei terreni, causate dalla risalita delle acque marine, hanno ridotto le aree coltivabili e contaminato le riserve di acqua dolce.

Togo – Togbe Agbavi Koffi, 60 anni, è il capo-villaggio di Agbavi. Quando era bambino casa sua sorgeva in un’area che oggi si trova in mezzo all’oceano, a circa 1,5 km dalla costa. «Un tempo l’erosione era un evento stagionale. Adesso il mare avanza tutto l’anno», spiega. «Ha devastato i nostri villaggi e molta della nostra gente se n’è già andata».
Private delle loro fonti di sussistenza, le comunità si spopolano a causa della migrazione, mentre la disoccupazione favorisce il consumo di alcol e droga. Ad Agbavi, la situazione è così disperata che, per molti, l’unica alternativa alla povertà è offerta da organizzazioni criminali che contrabbandano carburante ed estraggono sabbia dalle spiagge, un’attività illegale che aggrava l’erosione. «I nostri figli vanno a estrarre sabbia appena rientrano da scuola, per guadagnare un po’ di soldi», si lamenta Koffi. «La nostra gente fa la fame, e i bambini sono costretti a rubare».

«L’immigrazione clandestina è tra le preoccupazioni principali dei paesi ricchi, ma le migrazioni sono causate proprio dalla povertà e dai cambiamenti climatici», spiega Fredua Agyeman, Direttore del Dipartimento Ambientale presso il Ministero dell’Ambiente, della Scienza, della Tecnologia e dell’Innovazione del Ghana. «Finché in Africa persisterà questo problema, nessuna barriera, poliziotto o guardiacoste potrà impedire alla gente di arrivare in Europa».

Oltre all’estrazione illegale di sabbia, venduta come materiale di costruzione nelle grandi città della zona e in Asia, anche lo sfruttamento delle foreste di mangrovie aggrava l’erosione delle coste. Le mangrovie formano infatti un cuscinetto naturale che protegge la costa dall’impatto delle onde.

Togo – La casa di una giovane coppia distrutta dall’innalzamento del livello del mare. Il villaggio di Agbavi è uno dei luoghi più colpiti dell’erosione costiera in Togo. Decine di case sono già andate perse, costringendo la popolazione locale a trasferirsi più volte. Sebbene l’erosione costiera abbia colpito questa costa fin dagli anni ’60, il fenomeno è aumentato in modo massiccio dopo il 2012 a causa dei cambiamenti climatici e dell’ampliamento di un vicino porto in acque profonde.
Ghana – Una abitante del villaggio di Fuvemeh taglia un albero che è stato abbattuto dalla marea.
Togo – Alcuni abitanti del villaggio di Agbavi raccolgono acqua non potabile da un pozzo contaminato dall’acqua dell’oceano.
Ghana – Alcuni alunni della scuola nel villaggio di Fuvemeh trasportano il muro di una casa privata. Gli alunni sono spesso costretti a saltare le lezioni per aiutare gli abitanti del villaggio a demolire e spostare le loro case minacciate dall’erosione della costa. Durante la stagione delle piogge, i locali della scuola sono talvolta utilizzati come rifugi per gli abitanti del villaggio che hanno perso le loro case.
Per combattere il fenomeno, negli ultimi anni i governi locali hanno iniziato a sperimentare strategie di adattamento di lungo periodo, come lo sviluppo dell’acquacoltura o il ripristino delle foreste di mangrovie. Finora, però, gli interventi si sono principalmente limitati a misure ingegneristiche d’emergenza, come la costruzione muri costieri e moli frangiflutti. Questi ultimi sono strutture simili a dighe costruite perpendicolarmente alla costa e parzialmente posate in mare, che interrompono il flusso naturale dei sedimenti trasportati dalle correnti in modo da accrescere il volume di sabbia su determinate spiagge. Efficaci nel breve e medio termine, i frangiflutti aggravano però l’erosione sui tratti di costa contigui. «I frangiflutti non sono la soluzione migliore, ma sono quella più economica per stabilizzare la costa», spiega Placide Cledjo, del Dipartimento di Geografia e Scienze Ambientali presso l’Università di Abomey-Calavi, in Benin. «Dovremmo studiare in modo approfondito la costa e cercare una soluzione integrata che coinvolga l’intera costa, dalla Nigeria alla Costa d’Avorio, per risolvere il problema una volta per tutte».

La città di Keta, nella parte orientale della costa ghanese, mostra come le difese ingegneristiche possano essere un’arma a doppio taglio.

Un metodo alternativo consiste nel ripristinare le spiagge pompando grandi quantità di sabbia direttamente dal fondale. Questa soluzione è però molto costosa, e deve essere ripetuta regolarmente per rimpiazzare la sabbia che viene nel frattempo erosa dall’oceano. Il pompaggio della sabbia può inoltre seppellire i nidi di alcuni animali, come le tartarughe marine, o contenere specie aliene che mettono a rischio quelle locali.

La città di Keta, nella parte orientale della costa ghanese, mostra come le difese ingegneristiche possano essere un’arma a doppio taglio. Un tempo prospero centro commerciale nella regione del Volta, a partire dagli anni ’60 Keta ha subito una grave erosione costiera che ne ha irrimediabilmente danneggiato l’economia, portando all’esodo di più di metà della popolazione. Fort Prinzenstein, un forte di epoca coloniale che all’inizio del ’900 si trovava nel centro città, ora giace sulla riva del mare, parzialmente distrutto dalle onde. Il centro e gli eleganti palazzi storici sono immersi in un’atmosfera spettrale.

Ghana – Anyanui – Una donna trasporta sulla testa alcune mangrovie appena tagliate. Il taglio delle mangrovie, utilizzate come legna da ardere, ha rimosso uno degli elementi naturali più efficaci di protezione della costa, causando così un aumento massiccio dell’erosione.
Benin – Ouidah – Una guida locale tiene in mano un pitone. La città ospita il Tempio dei Pitoni, dove i serpenti sacri sono venerati dalla popolazione locale da secoli. La distruzione di santuari, feticci e cimiteri, causata dall’innalzamento del livello del mare sta avendo un profondo impatto sulla cultura dei locali, che temono che il proprio passato e le proprie tradizioni possano essere spazzati via per sempre.
Ghana – Giovani abitanti del villaggio di Blekusu su una barca da pesca tradizionale. Il villaggio di pescatori di Blekusu si trova in prossimità del muro di difesa dal mare, costruito nella vicina città di Keta. Sebbene i frangiflutti e il muro di difesa proteggano la città dall’erosione, essi impediscono ai sedimenti di raggiungere la costa di Blekusu, provocando qui una massiccia erosione costiera.
Grazie a un tardivo intervento governativo, negli anni ’90 un muro di difesa e una serie di frangiflutti hanno salvato quello che rimane della città. La soluzione ha però privato di sabbia la costa del villaggio di Blekusu, situato 10 chilometri più a est, aggravandone l’erosione. «Stiamo avendo moltissimi problemi a causa di quei frangiflutti», spiega Alice Kwashi, la cui casa è già stata danneggiata dalle onde. «L’oceano ha distrutto le linee elettriche e contaminato i nostri pozzi d’acqua». La donna ha costruito una piccola diga per proteggere l’ingresso della sua casa, ma l’acqua del mare ha già portato via la staccionata esterna e ha cominciato a corrodere le fondamenta. «Ogni volta che vado a dormire so che potrebbe essere la mia ultima notte, perché le onde potrebbero portarmi via in qualsiasi momento».

Far fronte all’erosione costiera potrebbe costare tra il 5 e il 10% del PIL dei paesi colpiti dal fenomeno. Fra le strategie di adattamento possibili ci sono una migliore gestione delle coste, oltre che la ricostruzione delle infrastrutture lontano dalla costa e l’evacuazione delle comunità maggiormente esposte al pericolo.

Ma una soluzione a lungo termine non sarà possibile senza un ripensamento globale del nostro modello di sviluppo. «Se non riusciremo a trovare un equilibrio tra la nostra insaziabile sete di modernità e la necessità della natura di rigenerarsi, non risolveremo mai i nostri problemi, a prescindere dai progressi scientifici o tecnologici» riflette Agyeman. «Ci consideriamo civilizzati perché siamo andati sulla Luna, ma fin quando non troveremo un modo di convivere pacificamente con l’ambiente non avremo raggiunto nulla».

(NdR: Tutti i virgolettati sono stati tradotti dagli autori.)

RADAR è media partner di Decennio del Mare. Vogliamo contribuire, con la pubblicazione di contenuti a tema, al programma delle Nazioni Unite Decade of Ocean Science for Sustainable Development (Decennio delle Scienze del Mare per lo Sviluppo Sostenibile) che durerà dal 2021 al 2030.
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  • Anna Violato

    Anna Violato è editor e science writer, tra i fondatori di RADAR. Scrive per testate tra cui Nature Italy e Le Scienze, collabora con lo studio di comunicazione scientifica formicablu e con diverse case editrici italiane.
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    Matilde Gattoni è una fotografa italo-francese che lavora su tematiche sociali, ambientali e dei diritti umani in tutto il mondo. Le foto di questo articolo sono state scattate nel 2016.
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    Matteo Fagotto è un giornalista che si occupa di tematiche sociali, umanitarie e ambientali. I suoi articoli e reportage sono apparsi in più di cento pubblicazioni in tutto il mondo, tra cui TIME, Newsweek, Foreign Policy.
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