Perché abbiamo ancora bisogno degli erbari

Testi di Renato Bruni
Fotografie di Elisabetta Zavoli
Gli erbari sono visti come relitti del passato. Ma queste capsule del tempo della biodiversità sono preziose perché ci aiutano a capire l’impatto di oggi (e di domani) delle azioni umane sull’ambiente.

14 minuti | 3 Marzo 2023

«Questo è un regalo di un piccolo e distante pianeta, un frammento dei nostri suoni, della nostra scienza, delle nostre immagini, della nostra musica, dei nostri pensieri e sentimenti. Stiamo cercando di sopravvivere ai nostri tempi, così da poter vivere fino ai vostri». Questa frase, firmata dall’allora presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter, venne consegnata a un avventuroso futuro il 5 settembre 1977, quando la sonda Voyager decollò da Cape Canaveral verso l’ignoto. Accompagnava un disco contenente immagini, suoni naturali, musiche di ogni cultura ed epoca chiamato Voyager Golden Record, destinato a un ipotetico qualcuno altrove nel tempo e nello spazio. 

Il Voyager Golden Record era una capsula del tempo. Questi oggetti furono resi popolari nel ‘900 dalla società Westinghouse, che fece seppellire una teca a prova di bomba durante l’Esposizione Universale del 1939. Prevista per durare 5.000 anni, la teca era piena di libri e oggetti quotidiani e regalava ai posteri l’istantanea di un mondo nel frattempo plasmato dal trascorrere dei secoli. 

Entrambe le capsule del tempo contenevano una rappresentanza vegetale: foto di fragola, di sequoia, narciso e boschi nel Golden Record; tubi con semi di piante coltivate nella teca del 1939. Ma forse in entrambi i casi un altro tipo di archivio sarebbe stato più adatto a raccontare le piante del nostro pianeta. Uno strumento sottovalutato che è anche una perfetta capsula del tempo: un erbario. 

 

Cosa sono davvero gli erbari

Un erbario non è una semplice raccolta di piante essiccate e identificate con certezza, ma un archivio che include i cosiddetti metadati, relativi a luogo (oggi precisi al centimetro grazie ai GPS), data e condizioni di raccolta. Oltre al suo aspetto, visibile a occhio nudo, ogni campione racchiude nei suoi tessuti il vissuto di un individuo: le tracce del suolo che lo ha nutrito, dell’aria che ha assorbito per effettuare la fotosintesi, del clima in cui è cresciuto, dei geni che ha ereditato, persino dei parassiti che lo hanno afflitto. 

Nati in Italia agli albori del Rinascimento per identificare, descrivere e riconoscere le specie vegetali, gli erbari sono quindi impronte digitali della vegetazione di un luogo in un preciso momento storico. Sono tuttora di vitale importanza per la tassonomia e l’ecologia. È grazie ad essi che possiamo definire la scoperta di una nuova specie o garantire l’identità di una pianta già nota all’umanità. Ed è tramite questi archivi che negli ultimi cinque secoli gli scienziati hanno generato inconsapevolmente un’ipercapsula botanica del tempo, che è giunta fino a noi oggi. 

Alla fine del 2017 si contavano 3.000 archivi d’erbario in tutto il mondo, ricchi di quasi 400 milioni di campioni raccolti a partire dal 1600 e accresciuti schedando piante sia ignote che già identificate, con un picco tra gli albori della Rivoluzione industriale e il secondo dopoguerra. Quattrocento milioni di forme vegetali, di tessuti che racchiudono storie spalmate su più secoli, di Voyager Golden Record botanici che aspettano quell’ipotetico qualcuno capace di leggerli.

Erbario Centrale Italiano

La dott.ssa Chiara Nepi e la dott.ssa Agnese Zeni dialogano nella Sala di Consultazione dell’Erbario Centrale Italiano a Firenze, riflesse nel vetro di uno scaffale contenente campioni di erbario. Nepi è Curatrice delle Collezioni Botaniche presso il Museo di Storia Naturale del Sistema Museale di Ateneo, Università degli Studi di Firenze. Firenze, 13 febbraio 2023.

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La dott.ssa Chiara Nepi preleva alcuni campioni di erbario di provenienza internazionale conservati negli armadi originali dell’Erbario Centrale Italiano, fondato nel 1842 a Firenze. Nepi è Curatrice delle Collezioni Botaniche presso il Museo di Storia Naturale del Sistema Museale di Ateneo, Università degli Studi di Firenze. Firenze, 13 febbraio 2023.

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La dott.ssa Agnese Zeni consulta un campione di erbario presso la Sala di Consultazione dell’Erbario Centrale Italiano a Firenze. Zeni è ricercatrice ed esperta di erbari storici presso l’Università degli Studi di Parma. Firenze, 13 febbraio 2023.

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Un campione di erbario presso la Sala di Consultazione dell’Erbario Centrale Italiano a Firenze. Firenze, 13 febbraio 2023.

Campioni digitali e nuove analisi

Fino ad ora il ruolo degli erbari è stato uno: quello di archivi organizzati da consultare nel momento del bisogno, come si farebbe con un catalogo di foto segnaletiche. Questo ruolo statico sta però cambiando rapidamente grazie alla convergenza di due fattori: l’accumulo regolare di campioni e la disponibilità di nuove tecnologie per decrittarne le storie nascoste. 

Nell’ultimo decennio per queste collezioni è iniziata una trasformazione: da raccolte di identikit a campi da scandagliare. Sono immagini e numeri che ci parlano del cambiamento climatico, degli adattamenti e dei viaggi delle piante, degli effetti dell’inquinamento, della parabola che stiamo tracciando nei nostri rapporti con gli ecosistemi.

I botanici più attenti allo sviluppo tecnologico stanno aprendo queste capsule del tempo con due chiavi. Una prevede la digitalizzazione dei campioni, attraverso la correlazione tra metadati e immagini. L’altra chiave prevede invece il prelievo di minime quantità di materiale vegetale per svolgere analisi chimiche e genetiche. La dematerializzazione, in particolare, consente enormi risparmi di tempo e di gestione. Qualsiasi ricercatore può accedere a banche dati di erbari digitalizzati come il Global Plants di JSTOR o come IdigBio, che offre già quasi 140 milioni di schede d’erbario e pronte per essere interrogate, spremute, incrociate con altri dati in cerca di storie ed evidenze nuove, al punto che sono ormai oltre mille le pubblicazioni che sono state rese possibili grazie alle versioni digitali degli erbari.

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Le storie nascoste negli erbari

Grazie all’incrocio tra metadati e materiale vegetale è stato possibile valutare gli effetti della temperatura e della piovosità sulla fioritura di 30 mila campioni di piante erbacee raccolti tra il 1895 e il 2013, per capire come queste piante si regolino rispetto all’ambiente. La tendenza del cambiamento climatico in California è stata descritta impiegando oltre 700 mila campioni. Ben 900 mila e un milione di fogli d’erbario sono stati usati, rispettivamente, per individuare le specie cinesi più minacciate dall’estinzione e per scoprire lacune nel monitoraggio dell’enorme flora africana. 

Queste riletture consentono anche di valutare l’azione primaria degli erbari e di migliorarne la costruzione. Per esempio, rielaborando i dati GPS di 5 milioni di campioni australiani è stata mappata con precisione la distribuzione dei punti di raccolta, scoprendo che alcune aree sono state erborizzate con grande frequenza, mentre in altre i botanici praticamente non si sono ancora spinti. Così si è capito che anche i naturalisti sono pigri e al tempo stesso condizionati dal mito dell’utilità pratica. Quasi il 50 per cento dei campioni australiani, infatti, è stato raccolto vicino a una strada asfaltata e le piante con un impiego concreto (alimentare, medicinale o tintorio) sono erborizzate molto più frequentemente delle altre, cosa prima insospettata.

La dott.ssa Chiara Nepi mostra un etichetta per la classificazione dei campioni di erbario dell’Erbario Centrale Italiano, fondato nel 1842 a Firenze. La classificazione dei campioni segue l’ordine sistematico delle famiglie botaniche di appartenenza. Nepi è Curatrice delle Collezioni Botaniche presso il Museo di Storia Naturale del Sistema Museale di Ateneo, Università degli Studi di Firenze. Firenze, 13 febbraio 2023.

Mappe dell’estinzione

In più occasioni l’analisi degli erbari ha permesso di prevedere quali specie avrebbero potuto diventare a rischio di estinzione a causa della loro progressiva rarefazione negli habitat originari, intervenendo quindi con anticipo sul rischio che sparissero. Per esempio, indagando su 130 anni di erborizzazioni nelle Alpi svizzere si è tracciata l’estinzione di alcune specie, individuando le aree da difendere in via prioritaria. 

In alcuni casi queste collezioni hanno persino rappresentato l’ultima spiaggia proprio per evitare l’estinzione: nel 2011 in Belgio sono state reintrodotte tre specie estinte partendo da semi rimasti associati a schede d’erbario vecchie oltre 140 anni. Casi analoghi hanno recentemente riguardato anche la felce italiana Dryopteris tyrrhena, Astragalus neglectus negli Stati Uniti e Vincetoxicum pycnostelma in Giappone. Una vera resurrezione da capsula del tempo, per la quale si stima che almeno 161 specie estinte in natura potrebbero essere reintrodotte a partire da semi oggi conservati in campioni d’erbario.

 

Monitorare il cambiamento climatico con gli erbari

Gli erbari consentono di ottenere ulteriori conferme sugli effetti del cambiamento climatico grazie alla loro precisa collocazione storica: sono tra i pochi monitoraggi condotti sia prima, che durante, che dopo la Rivoluzione industriale. E poiché le piante sono sessili – cioè fissate al terreno e impossibilitate a muoversi – sono particolarmente esposte ai cambiamenti ambientali. 

I metalli presenti nell’atmosfera, nel suolo e nelle acque sotterranee vengono depositati o assorbiti in esse e permangono nei campioni di erbario, creando una mappa spaziotemporale di sensori di inquinamento. Confrontando piante contemporanee ed erbari raccolti nei dintorni di alcune città industriali tra il 1846 e il 1916 è stato possibile ricostruire che la presenza di zinco e rame nell’aria è rimasta costante, e che invece il piombo che respiriamo è effettivamente diminuito grazie alle leggi promulgate nel tempo. 

Dalla Rivoluzione industriale, gli erbari rivelano come l’aumento della combustione di combustibili fossili e il conseguente aumento delle concentrazioni di anidride carbonica siano correlati a una riduzione delle strutture che scambiano gas tra foglie e ambiente. Controllando con pazienza campioni d’erbario distribuiti su oltre 170 anni, i ricercatori hanno confermato l’anticipazione della gemmazione a causa del riscaldamento globale. 

Le analisi isotopiche su tutti i campioni dell’albero Humiria balsamifera, raccolti con periodicità dal 1788 in poi da diversi erbari, hanno mostrato che i livelli di anidride carbonica nell’atmosfera sono aumentati persino nelle foreste tropicali già a partire dalla Rivoluzione industriale, descrivendo una parabola che ci aiuta a prevedere il futuro. Studiare come si sono adattate le piante negli ultimi due secoli, infatti, significa anche prevedere cosa potrebbero fare nel futuro prossimo.

Erbario Centrale Italiano

La stanza del Deposito dell’Erbario Centrale Italiano è il luogo dove vengono conservati i campioni di erbario duplici, i materiali raccolti in campagne di erborizzazione e le collezioni in attesa di classificazione. Firenze, 13 febbraio 2023.

Erbario Centrale Italiano

Faldoni contenenti campioni di erbario nella stanza del Deposito dell’Erbario Centrale Italiano. Firenze, 13 febbraio 2023.

I viaggi delle specie invasive

Altri ricercatori hanno poi usato gli erbari per mappare gli spostamenti delle specie invasive attraverso i continenti, usando come sassolini di Pollicino i campioni raccolti in più città. Hanno ottenuto a posteriori mappe di diffusione, confermando che questo fenomeno non è mai causato dall’arrivo di una singola pianta, ma da arrivi continuativi e regolari di piante della stessa specie. 

In Cile, l’analisi capillare degli erbari ha permesso di collegare l’arrivo di specie invasive con due fasi economiche: industrializzazione agricola e meccanizzazione. In Europa invece lo stesso approccio ha permesso di studiare come e dove parassiti e infestanti hanno colpito le colture, delineando tendenze utili ad anticipare le mosse in caso di nuove invasioni. 

Per esempio, grazie all’analisi genomica su campioni d’erbario di patata si è ricostruita la parabola evolutiva e la precisa tipologia di ceppi di Phytophtora infestans nel corso della Grande carestia irlandese del 1840, descrivendone anche i successivi spostamenti in altri continenti e i legami con i ceppi attualmente diffusi nei campi.

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Il dott. Lorenzo Cecchi assembla un campione di erbario presso la sala 4 dell’Erbario Centrale Italiano a Firenze. Cecchi è Curatore delle Collezioni Botaniche presso il Museo di Storia Naturale del Sistema Museale di Ateneo, Università degli Studi di Firenze. Firenze, 13 febbraio 2023.

Nel momento meno opportuno, il declino

Perché il gioco possa funzionare, però, servono campionamenti ravvicinati nel tempo e nello spazio. Le campagne di erborizzazione sono invece in netto calo. Hanno avuto un picco nei decenni passati, con differenze geografiche sensibili prima della drastica rarefazione: attorno al 1930 negli Stati Uniti, verso il 1980 in Europa. Questa rarefazione preannuncia lacune che renderanno gli erbari futuri meno indicativi di quelli attuali. Negli erbari come in altri settori, stiamo sfruttando il lavoro dei nostri bisnonni senza porre basi adeguate per le ricerche dei nostri figli e nipoti. 

Nonostante gli sforzi per digitalizzare alcuni archivi, in media anche l’accesso è diventato più ostico, così come è a rischio la sopravvivenza stessa delle collezioni. Tra il 2016 e il 2017 gli erbari accessibili sono calati del 12 per cento, rivelando un’ulteriore pericolo per queste capsule del tempo: stanno sparendo dai radar con la rapidità del Voyager nel cosmo. Nel migliore dei casi, la scomparsa prevede l’accorpamento ad altre strutture. Ma può capitare che le collezioni vengano smembrate o lasciate marcire, perché i finanziamenti sono insufficienti o perché si privilegiano investimenti più remunerativi nel breve termine.

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La dott.ssa Chiara Nepi mostra un typus della collezione Webb presso l’Erbario Centrale Italiano a Firenze. Il typus è l’esemplare tramite il quale è stata descritta per la prima volta una specie e viene considerato il rappresentante di riferimento della specie in questione. Nepi è Curatrice delle Collezioni Botaniche presso il Museo di Storia Naturale del Sistema Museale di Ateneo, Università degli Studi di Firenze. Firenze, 13 febbraio 2023.

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La Sala Webb è una delle sale tematiche dell’Erbario Centrale Italiano a Firenze. La collezione dell’erbario Webb contiene un’altissima percentuale di typus. Firenze, 13 febbraio 2023.

Nell’aprile del 2017, per esempio, il museo di storia naturale dell’Università della Louisiana a Monroe ha annunciato che 500 mila campioni della flora regionale sarebbero stati eliminati per far spazio a una pista d’atletica. L’ipotesi, poi scongiurata, rivela come questi materiali oggi possiedano un valore percepito inferiore rispetto alla monetizzazione garantita da un programma sportivo. Ed è sintomo di un’idea: quella secondo cui il valore dell’erbario sia pari a quello della carta che lo raccoglie. Negli ultimi venti o trent’anni la scienza moderna ha infatti voltato le spalle a queste collezioni, scollegandole dai filoni principali della ricerca e convogliandole verso il limbo dei reperti museali. 

Gli amministratori dell’università di Monroe si sono adeguati a uno scenario: nel 2016 la US National Science Foundation ha tagliato tutti i cinque milioni di dollari destinati ogni anno a sostenere le collezioni naturalistiche, erbari inclusi. Si tratta del resto di una querelle antica come gli erbari stessi. In uno dei primi numeri della rivista Nature, nel 1872, Charles Darwin presentava le sue vibranti proteste al Ministro dell’economia britannico Gladstone, indispettito poiché la botanica a suo avviso si limitava ad attribuire nomi strani a piante straniere anziché generare guadagni immediati.

Forse, per salvare queste capsule del tempo Darwin e i botanici di oggi potrebbero descrivere i loro erbari parafrasando Jimmy Carter: «Questo è un regalo di un piccolo ecosistema, un frammento dei nostri fiori, dei nostri adattamenti, delle nostre forme, del nostro legame con l’ambiente in cui siamo cresciute. Stiamo cercando di sopravvivere ai nostri tempi, così da potervi aiutare a vivere nei vostri».

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Filippo Parlatore è il fondatore dell’Erbario Centrale Italiano a Firenze. Firenze, 13 febbraio 2023.

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  • Elisabetta Zavoli

    Elisabetta Zavoli è una fotografa documentarista specializzata nelle tematiche ambientali e nel rapporto tra esseri umani e ambiente.
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  • Renato Bruni

    Renato Bruni è direttore scientifico dell’Orto Botanico dell’Università di Parma, dove è professore associato in Biologia Farmaceutica e studia i legami tra piante, chimica e benessere. Fa parte del Consorzio Forestale KMVerde e dal 2018 partecipa a Picturing the Communication of Science, un think tank interdisciplinare che analizza la figura professionale del comunicatore scientifico. È autore di libri, tradotti in diversi paesi, dedicati al mondo vegetale: Erba Volant (Codice, 2016), Le piante son brutte bestie (Codice, 2017), Mirabilia (Codice, 2018), Bacche, superfrutti e piante miracolose (Mondadori, 2019). Cura il blog “Erba Volant”.
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