Nel 2008, Ivan ha creato l’Estudio Movel Experimental (EME), la prima residenza mobile a Rio de Janeiro incentrata sulla combinazione di arte e scienza con particolare attenzione alla sostenibilità e all’ambiente. Insieme all’artista Silvia Leal, ha coordinato il progetto curando residenze con artisti, curatori, ricercatori e scienziati. L’obiettivo di EME era quello di puntare l’attenzione sulla foresta atlantica, con progetti artistici che coinvolgessero la tecnologia negli spazi pubblici. Rio de Janeiro è uno stato composto da 92 comuni e l’omonima città è solo uno di questi. La maggior parte dei cittadini di Rio de Janeiro non ha accesso all’arte, lo stesso vale per gli abitanti degli altri comuni che non hanno nemmeno accesso alle istituzioni culturali. «In questo modo con EME abbiamo creato una rete di professionisti di diverse discipline senza precedenti per ripensare e immaginare il modo in cui abbiamo negoziato con la natura, dando voce a diverse prospettive».
Negli ultimi dieci anni l’artista e il suo team hanno sviluppato dei plantoidi, dei robot-pianta viventi – living machines – in cui piante e batteri diventano un tutt’uno con circuiti elettrici. L’idea è nata leggendo il saggio L’uomo macchina del medico francese Julien Offray La Mettrie, pubblicato nel 1748. In questo libro l’autore esplora la concezione meccanicistica dell’essere umano e del suo corpo, concepito come una macchina. Secondo Offray La Mettrie, l’analogia della meccanica poteva essere usata non solo per il corpo, ma anche per l’anima. Scrisse anche L’uomo pianta, dove si trovano, incredibile ma vero, analogie simili tra il sistema riproduttivo umano e quello delle piante.
L’ingegneria ecologica, che Ivan studia da anni e da cui nascono i suoi lavori, riflette bene il momento che stiamo affrontando ora: la manipolazione degli esseri viventi e la progettazione del paesaggio. «Stiamo creando e ingegnerizzando componenti e trovando equazioni nelle emissioni di CO2 per riequilibrare la biosfera terrestre. Le specie che facevano parte di una particolare catena alimentare non esistono più o si estingueranno presto», commenta. «A volte ci vengono presentate soluzioni verdi che sembrano efficaci in breve tempo, ma gli ecosistemi interessati impiegheranno centinaia di anni per riequilibrarsi naturalmente. Quindi in questa prospettiva credo che l’equità biologica dovrebbe determinare la progettazione».