Api, pesticidi e virus: un equilibrio instabile

Illustrazioni di Daniela Germani
Gli esperimenti in laboratorio dimostrano gli effetti nocivi di molti pesticidi sulle api, ma le prove in campo forniscono spesso risultati contraddittori. Ricercatori italiani hanno scomposto il fenomeno, individuando nella presenza del virus delle ali deformi un fattore d’imprevedibilità per il destino delle colonie. E insistono sul mantenimento di rifugi naturali per le specie selvatiche.

5 minuti | 3 Gennaio 2023

Quindici anni fa circa il grande pubblico apprese, di punto in bianco, che un male oscuro stava decimando le colonie di api domestiche (Apis mellifera) di Europa e Nord America. La fantomatica «sindrome dello spopolamento degli alveari», come fu battezzata oltreoceano, si era manifestata nell’inverno tra il 2006 e il 2007 e sfuggiva alla comprensione degli scienziati. Tempi duri si prospettavano per le api. Ma anche per l’uomo e per l’esistenza dell’intero pianeta dal momento che quasi il 90% delle piante selvatiche da fiore necessita di impollinatori

Il clamore mediatico ebbe il merito di sensibilizzare l’opinione pubblica sul declino delle api, ma col passare del tempo fu chiaro che la mattanza era iniziata ben prima del 2006 e non dipendeva da un’inedita e misteriosa minaccia bensì dall’effetto cumulativo di fattori familiari come l’inquinamento, la proliferazione di agenti patogeni o la trasformazione degli ecosistemi. Inoltre, questa strage silenziosa non interessava solamente l’ape domestica ma anche le specie selvatiche, che sono altrettanto – se non più – importanti per l’impollinazione. Insomma, la moria delle api non era altro che la prima avvisaglia della crisi planetaria degli insetti di cui avremmo avuto consapevolezza solamente nel 2017 grazie alla caparbietà di un gruppo di entomologi amatoriali tedeschi. 

Malgrado i contorni del fenomeno siano ormai definiti, ancora oggi alcuni aspetti del declino delle api continuano a sfuggirci. Su tutti, la quantificazione degli effetti degli insetticidi sulla salute delle colonie. Nonostante gli esperimenti in laboratorio abbiano dimostrato in maniera indiscutibile gli effetti dannosi dei cosiddetti neonicotinoidi, così come di altri insetticidi impiegati in agricoltura, le prove di campo hanno fornito risultati non sempre univoci. In effetti, alcuni studi confermano che concentrazioni basse, o addirittura molto basse, di certi prodotti hanno effetti nocivi. Tuttavia, secondo altre ricerche, gli effetti sarebbero trascurabili. 

 

Cosa influenza la salute delle api

«In caso di contenzioso, apicoltori e agricoltori possono presentare a sostegno delle proprie posizioni i risultati di ricerche differenti, altrettanto robusti ma contraddittori. Per non tacere del caso, ancora più importante, delle autorità responsabili dell’autorizzazione degli agrofarmaci che devono prendere decisioni a partire da dati non omogenei» afferma Francesco Nazzi, professore di zoologia, apidologia e apicoltura all’Università di Udine. Questo paradosso ha spinto lo zoologo ad affrontare la questione da un punto di vista insolito, considerando l’insieme dei fattori che condizionano la salute delle api domestiche e soprattutto il modo in cui tali fattori interagiscono fra loro determinando il risultato finale. I risultati dello studio, condotto insieme a colleghi delle università di Udine, Trento e Århus, sono stati pubblicati su Nature Communications.

«La salute delle api domestiche dipende da innumerevoli fattori: almeno una ventina di virus, migliaia di sostanze nocive, condizioni ambientali diverse. Sarebbe ingenuo ritenere di poter replicare sul campo ogni singola combinazione» spiega Nazzi. Gli autori hanno perciò optato per un approccio ispirato alla biologia dei sistemi. «Abbiamo iniziato classificando i fattori coinvolti nella salute delle api domestiche, concentrandoci sulla qualità dei loro effetti e considerando, in particolare, le possibili interazioni fra diversi fattori. Per esempio, benché diversi agenti patogeni possano causare danni più o meno gravi, in generale il loro effetto sulla salute delle api è sempre negativo mentre, viceversa, la disponibilità di polline esercita un effetto che è sempre positivo. D’altro canto, è ben noto come certi pesticidi possono interferire con l’immunità delle api, incrementando l’effetto negativo degli agenti patogeni» ragiona lo zoologo.

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Pesticidi e virus

A partire da questi dati, i ricercatori hanno elaborato un modello concettuale che è stato poi sottoposto ad analisi matematica con lo scopo di ricavare delle regole generali. 

Decine e decine di pagine fitte di formule hanno infine sancito un verdetto, che è stato poi confermato in vivo su api domestiche mantenute in laboratorio: il destino delle colonie esposte ai pesticidi è influenzato dalla concomitante infezione di un patogeno in grado di compromettere il sistema immunitario delle api domestiche, come il diffuso Virus delle ali deformi. In assenza di virus, l’intensità dei fattori di stress e/o della loro combinazione determina la sopravvivenza prolungata oppure la morte prematura. In altre parole, il sistema contempla un unico equilibrio possibile e dunque è, in buona parte, pronosticabile. 

La presenza di un patogeno immunosoppressore apre uno scenario imprevedibile, caratterizzato da tre equilibri possibili, uno dei quali è instabile. «Il virus introduce nel sistema un ciclo di retroazione positiva: maggiore è la carica virale, più forte è la soppressione del sistema immunitario e più grave in proporzione l’effetto del virus. Così la salute delle api finisce per somigliare a una sfera in bilico sulla cresta che separa due valli, laddove le valli corrispondono a situazioni opposte: da un lato, sopravvivenza prolungata, dall’altro morte prematura. In queste condizioni a dettare l’esito finale possono essere perturbazioni anche minime, che possono spingere la sfera in una direzione o nell’altra» prosegue Nazzi.

 

Il futuro incerto delle api

Questo lavoro riconcilia i risultati contrastanti tra esperimenti in laboratorio e sul campo, ma ha anche implicazioni per l’applicazione degli studi sul campo a sistemi complessi. Cosa di cui le nostre api domestiche, ma soprattutto quelle selvatiche, hanno un disperato bisogno. «Nonostante le morìe invernali siano più frequenti che in passato, in Italia non abbiamo assistito al tracollo avvenuto in altri Paesi. Tuttavia, non possiamo dire lo stesso per le api selvatiche che, invece, se la passano tendenzialmente male» sottolinea Nazzi. 

La fauna di apoidei italiani conta quasi un migliaio di specie – cioè la metà della biodiversità europea – ed è tra le più ricche al mondo. «Eppure, conosciamo poco e male la consistenza delle popolazioni di api selvatiche, buona parte delle quali sono considerate, in vario grado, a rischio di estinzione» nota lo zoologo. Le cause sono ben note: inquinamento, cambiamento climatico, parassiti e patogeni, la trasformazione degli ecosistemi e in particolare quella del paesaggio agrario. «Oramai, le api selvatiche nidificano solamente nei fazzoletti di terreno lasciati incolti. Eliminare questi ultimi rifugi per aumentare di poco la superficie coltivabile è dannoso per tutti dal momento che all’incirca tre quarti delle colture agrarie dipende dall’impollinazione» avverte Nazzi. Per fortuna, dal conto restano fuori giganti della sicurezza alimentare mondiale come frumento, riso, orzo – che si autoimpollinano – oppure il mais, che si affida al vento. 

La prospettiva di un futuro senza impollinatori resta inevitabilmente tetra. Per conferma, potremmo chiedere agli “uomini ape” della contea cinese di Hanyuan, costretti a spennellare manualmente, fiore per fiore, i celebri frutteti di pero da quando i pesticidi sterminarono le api della regione. Il contributo degli impollinatori è purtroppo invisibile: ci rendiamo conto della loro importanza solamente quando vengono a mancare.

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  • Daniela Germani

    Daniela Germani è geologa specializzata in paleontologia e illustratrice appassionata di tematiche naturalistiche e ambientali.
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  • Davide Michielin

    Davide Michielin è biologo e giornalista. Collabora regolarmente con la Repubblica e Le Scienze occupandosi di temi a cavallo tra la salute e l’ambiente. Attualmente è Senior Scientific Manager presso il Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) e docente al Master in comunicazione della scienza dell’Università Vita-Salute San Raffaele.
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