L’influenza delle crisi sull’arte, nella storia

Fotografie di Elisabetta Zavoli
In passato le crisi ambientali e le epidemie hanno spesso stimolato il mondo dell'arte. Anche la pandemia ha dato spazio agli artisti italiani per immaginare nuovi rapporti con la natura, e agli scienziati per raccogliere dati su un pianeta meno affollato.

15 minuti | 27 Gennaio 2023

«Ho recitato per i pesci, per i sassi e per il cielo. Era l’inizio di aprile, l’inverno che ci aveva costretti tutti nelle case era appena trascorso. Io sono tornata al fiume Marecchia, uno dei miei luoghi preferiti. Stesa sull’argilla, guardando in su, cercavo di memorizzare i testi. Mi sono alzata e ho provato a danzare, ma lasciarmi andare era difficile, il corpo era bloccato. Ero diventata più vegetale, come scrive Sylvia Plath». Le dita sottili di Isadora Angelini si muovono con lentezza, mimando nell’aria il ritorno alla natura, il ritrovarsi – finalmente – tra le piante, le pietre e l’acqua dopo la lunga cattività dei lockdown dovuti alla pandemia.

Sul palco buio del Teatro degli Atti di Rimini, emergono dall’oscurità il viso chiaro, i capelli ricci e biondi, e lo scialle, a coprire le spalle. Il volto d’un tratto sembra affaticato come dopo una giornata estenuante. Isadora racconta che ha cercato di attraversare la pandemia Covid-19 aggrappandosi all’arte, alle poesie, ai testi teatrali, immaginando nuovi progetti. 

 

Teatro e pandemia

Da sempre, il teatro ha avuto a che fare con le epidemie. Si credeva che facesse bene distrarsi e assistere agli spettacoli, l’allegria era considerata il miglior antidoto, un vero e proprio toccasana. All’epoca di William Shakespeare le pestilenze andavano e venivano, scomparivano per qualche anno, giusto il tempo per dimenticarsene, e poi puntualmente riapparivano. I teatri venivano chiusi di frequente. Secondo alcune fonti, nel 1603 il lockdown durò per diversi mesi. Le misure di prevenzione suggerite dai medici erano “mascherine” rudimentali ricavate da arance tagliate a metà e farcite di chiodi di garofano. E si pensava che il contagio potesse essere contenuto bruciando nell’aria incenso o rosmarino. 

Il teatro, secondo la ricostruzione che ne fa Siegmund Ginzberg in Racconti contagiosi (Feltrinelli, 2021) nacque proprio con la peste. Nella Roma antica la sua genesi avrebbe avuto a che fare con una pandemia. Intorno al 364 a.c., durante un periodo di pausa negli intrighi politici e nelle guerre,  scoppiò una grande pestilenza. Non essendoci rimedi sanitari efficaci, vennero istituiti degli spettacoli scenici; un evento nuovo per i bellicosi romani, che fino ad allora non avevano avuto altro che il circo. Scrive Tito Livio nella Storia di Roma: «Mimi fatti venire dall’Etruria si esibivano in danze garbate, all’usanza etrusca, senza canti, senza mimiche rappresentazioni che tenessero luogo della recitazione verbale, danzando al suono di un flauto».

Luca Serrani pandemia

“Sentirsi un’ombra”, Luca Serrani, attore. «Chiuso in casa mi sentivo un’ombra grigia. Non ero più un’ombra nera, piena e spessa, come in teatro. Ero un’ombra che cercava di liberarsi di questo corpo che l’aveva intrappolata». Fiume Marecchia, Santarcangelo di Romagna (RN), 16 dicembre 2021.

Luca Serrani pandemia

“La fenice”, Luca Serrani, attore. «Nella vita moriamo e rinasciamo, in continuazione. Credo fermamente nella fenice che risorge dalle proprie ceneri. Dopo, non è mai più la stessa di prima. È un ciclo che porta per forza a un rinnovamento». San Leo (RN), 17 febbraio 2022.

Nostalgia per la natura

Isadora Angelini è un’attrice, danzatrice e regista indipendente e pluripremiata. Si esibisce in festival internazionali come quello di Santarcangelo di Romagna. Nel 2006 ha fondato con Luca Serrani la compagnia teatrale Patalò. Il nome è un neologismo, viene dall’espressione colloquiale francese pattes au l’eau, «stare con le zampe nell’acqua”. «Patalò significa che bisogna rimboccarsi i calzoni e avere il coraggio di immergere i piedi per arrivare dall’altra parte del fiume, per attraversarlo», spiega Luca, attore, danzatore, regista e videomaker, nella penombra del palco del Teatro degli Atti di Rimini. 

«Durante la pandemia i nostri corpi si erano atrofizzati, tutto quello che prima era movimento e parola è diventato pietra. Mi sentivo un’ombra, mi mancava la natura. C’è un sogno che ricordo in particolare. Eravamo in montagna con Isadora, in uno spiazzo d’erba grande, di fianco a un monte. Dovevamo allestire uno spettacolo e mettevamo le sedie in cerchio, in uno spazio piccolino, perché tra la platea e quello che sarebbe stato il palco c’era un buco enorme, un cratere. Per cercare di riempirlo, facevamo rotolare dei massi grandissimi, ma inutilmente». 

pandemia Isadora Angelini

“Corpo vegetale”, Isadora Angelini, attrice. «Appena sono riuscita ad uscire sono andata al fiume a recitare per i sassi, i pesci e il cielo. Ho ballato, ma era difficile perché ero bloccata nel mio corpo. Durante la pandemia sono diventata più vegetale, come ha scritto Sylvia Plath». Fiume Marecchia, Santarcangelo di Romagna (RN), 14 marzo 2022.

La terra senza gli esseri umani

Nel corso di un anno, dal 2021 al 2022, con la fotografa Elisabetta Zavoli, abbiamo incontrato artiste e artisti dei teatri indipendenti italiani per indagare come siano riusciti a resistere durante la pandemia, per esempio instaurando un nuovo rapporto con la natura.

«Quando ho visto i filmati delle anatre in fila, in centro a Bergamo, e i leoni marini sulle scalinate del Grand Hotel La Mar del Plata, a Buenos Aires, ho pensato che fosse fantastico: gli animali si riprendevano gli spazi che noi abbiamo usurpato da secoli», spiega Cèsar Brie, attore e regista argentino. «Ho avuto la netta sensazione che se la specie umana fosse scomparsa dalla faccia della terra non sarebbe stato un male, perché il mondo è anche di tutti quegli esseri che non consideriamo abbastanza». Gli occhi cerulei di Cèsar Brie, fondatore della Comuna Baires in Argentina e del Teatro De Los Andes in Bolivia, si spalancano, brillando nel buio della sala di Campo teatrale, a Milano.

cesar brie

“Questo è il mio cuore”, Cèsar Brie, attore e regista. «Mi sono fermato e mi sono riconciliato con molte persone. Di fronte alla morte, si mettono le cose nel posto più giusto. Ho scritto lettere per perdonare. Ho scritto lettere per dire: la cosa più importante è che ti voglio bene. Ho rinunciato al risentimento. Il risentimento è quando una persona ti marcisce dentro e la vedi sempre sotto la luce del dolore che ti ha causato e non del presente». Olinda/TeatroLaCucina, Milano, 20 dicembre 2021.

«Il modello di crescita esasperata che abbiamo ripreso subito a praticare come forsennati, è improponibile. La pandemia ci ha messo di fronte alla morte, ma non abbiamo capito nulla, perché stiamo di nuovo correndo verso il baratro», sostiene Cèsar. Ha trascorso i mesi del lockdown in completa solitudine, scrivendo lettere di riconciliazione ad amiche e amici, pensando alle figlie lontane, lavorando a un nuovo spettacolo e dando forma a un progetto per attrici e attori immersi nella natura. Si chiama Isola del teatro, un locus amoenus, un casale immerso nella campagna piacentina capace di ospitare una quindicina di artisti, per creare storie e allestire spettacoli «in modo libero, senza dipendere da nessuno».

Cèsar Brie pandemia

“Gli animali si riprendono la natura”, Cèsar Brie, attore e regista. «Quando ho visto gli animali riprendersi gli spazi, come le anatre in fila nel centro di Bergamo o i leoni marini che si grattano contro i gradini del Grand Hotel La Mar del Plata a Buenos Aires, ho pensato che fosse fantastico. La natura ha ripreso il sopravvento. Il mondo è molto più di noi umani. Ho avuto la sensazione che se sparissimo dalla faccia della terra non sarebbe poi così male». Olinda/TeatroLaCucina, Milano, 21 dicembre 2021.

pandemia Andrea Rampazzo

Esibirsi in un cortile”, Andrea Rampazzo, danzatore. «Durante il lockdown ho costruito una casetta di legno in giardino. Non avrei mai pensato di ritrovarmi in un’attività del genere, che mi ha reso felice, perché mi mancava il fatto di esercitarmi fisicamente e di muovermi. Avrei voluto farne uno spettacolo e andare a mostrarlo nei cortili. Era il momento in cui i teatri erano chiusi: volevo ballare mentre gli altri, bloccati nelle loro case, mi guardavano dalla finestra». Cortile Antico di Palazzo Bo, Padova, 7 marzo 2022.

Antropausa: quando il mondo si è fermato per la pandemia

Durante il picco della pandemia di Covid-19, nel marzo e aprile 2020, è avvenuta la cosiddetta antropausa (anthropause in inglese), cioè la riduzione globale dell’attività umana, raccontata anche nel documentario “The Year Earth Changed”, narrato da David Attenborough. Le immagini dei pinguini che camminano per le strade di Cape Town, in Sud Africa, sembrano il preludio di un mondo senza più sapiens

Il 5 aprile 2020 è la data del cosiddetto picco dei blocchi pandemici: secondo le stime degli scienziati, circa quattro miliardi e mezzo di persone, ovvero oltre la metà degli abitanti del pianeta, sono state costrette a restrizioni nei movimenti. La guida di auto, tir e autobus è diminuita di oltre il 40%, mentre il traffico aereo del 75%. Lo stop forzato della pandemia ha portato, stando ai rilevamenti pubblicati sulle riviste Scientific report e Science Direct, a un netto miglioramento della qualità dell’aria e dell’acqua. 

Inoltre, l’inquinamento acustico è diminuito sulla terraferma e nel mare (come indicato da The Journal of the Acoustical Society of America) e gli habitat danneggiati dall’uomo hanno iniziato a risanarsi. Ku’ulei Rodgers, ecologista della barriera corallina all’Hawai’i Institute of Marine Biology, ha raccontato al New York Times che l’Hanauma Bay Nature Preserve, popolare destinazione per lo snorkeling, si è rigenerata durante i nove mesi senza turisti. La limpidezza dell’acqua è migliorata, così come la biomassa e la biodiversità dei pesci. 

Bloccare interamente il turismo non è possibile, ma lo studio di queste situazioni si è rivelato prezioso perché sta aiutando gli scienziati a immaginare nuovi programmi e politiche per mitigare gli effetti della presenza umana. Si potrebbero, ad esempio, potenziare misure già in atto in alcuni luoghi: costruire passaggi per gli animali selvatici sulle autostrade, per impedire che vengano uccisi dalle auto; imporre motori più silenziosi ai mezzi di trasporto per ridurre ovunque l’inquinamento acustico.

MAPPA INTERATTIVA: Gli effetti del lockdown su animali e piante

pandemia

“La paura di non esistere più”, Silvia Gribaudi, danzatrice e coreografa. «L’importante è non farsi prendere dalla paura di non esistere più. Nella dimensione effimera dell’arte è facile temere di scomparire, da un anno all’altro. Quando ho una grande paura, so che ho bisogno anche di un atto di grande coraggio. Che colore, che sapore, ha il coraggio? Forse quella che io chiamo paura è coraggio?». Campo Teatrale, Milano, 2 marzo 2022.

Raccontare per sopravvivere 

I periodi di maggior crisi dell’umanità hanno spesso stimolato grandi opere d’arte. Dopo la gigantesca eruzione del vulcano Tambora, in Indonesia, gran parte dell’Europa venne coperta dalla nebbia e dal gelo. Seguirono carestie, epidemie e rivolte politiche. Fu allora, nell’estate del 1816, che la scrittrice Mary Shelley, ospite sul lago di Ginevra a villa Diodati, affittata per un periodo da Lord Byron, concepì il suo capolavoro, Frankenstein

In Racconti contagiosi, Ginzberg ci ricorda che Anton Cechov di mestiere faceva il medico e le sue pièce teatrali rievocano spesso contagi. Lo Zio Vanja inizia proprio col dottore Astrov che racconta di un’epidemia di tifo in un villaggio. Cechov stesso soffrì di tubercolosi per vent’anni – la chiamava influenza –  e scrisse Il giardino dei ciliegi in sanatorio a Yalta.

Matteo Marchesi

“Il corpo e lo spazio”, Matteo Marchesi, performer. «Il mio corpo ha dovuto adattarsi agli spazi ristretti, non esisteva più il palcoscenico. Ho iniziato a vedere la danza in altre cose diverse dagli esseri umani. Sono sceso in una profondità che ha ridefinito il mio senso dell’arte. Ho anche ballato su Zoom. Come si fa, quando sembra non esserci abbastanza spazio? Solo adattandosi». Lanificio F.llo Botto, Miagliano (BI), 9 febbraio 2022.

Fu la più grande epidemia del secolo scorso, la Spagnola (1918- 1920) – chiamata fievre de Parme in Francia, febbre delle Fiandre in Inghilterra, malattia bolscevica in Polonia e febbre del soldato di Napoli in Spagna – a ispirare Virginia Woolf, che probabilmente ne fu contagiata almeno una volta. La Signora Dalloway, protagonista dell’omonimo romanzo della scrittrice inglese, appena uscita dal lockdown per l’influenza, fu colpita da un attacco di shopping compulsivo. E prima ancora Boccaccio si ispirò, per Il Decameron, a una quarantena volontaria di un gruppo di donne e uomini scappati sulle colline di Firenze. Per passare i giorni inventavano storie e se le raccontavano. D’altra parte raccontare storie per allungarsi la vita è un espediente antico come insegna anche Sheherazade nelle Mille e una notte.

 

Un periodo di sospensione 

Silvia Gribaudi, coreografa italiana pluripremiata, fondatrice dell’associazione culturale Zebra, parla seduta nella platea del teatro Elfo di Milano, tra una prova e l’altra del suo nuovo spettacolo. «La pandemia è stata un periodo di sospensione. Il ritiro forzato mi ha permesso di sviluppare altri sensi. Sono rimasta colpita dal fatto che, quando l’essere umano viene limitato in qualcosa, trovi sempre altri modi per esprimersi. Il nostro cervello ha potenzialità enormi e una sensibilità grandissima. Abbiamo vissuto un’esperienza collettiva che ci ha insegnato molto».

Matteo Marchesi

“Il corpo e lo spazio”, Matteo Marchesi, performer. «Il mio corpo ha dovuto adattarsi agli spazi ristretti, non esisteva più il palcoscenico. Ho iniziato a vedere la danza in altre cose diverse dagli esseri umani. Sono sceso in una profondità che ha ridefinito il mio senso dell’arte. Ho anche ballato su Zoom. Come si fa, quando sembra non esserci abbastanza spazio? Solo adattandosi». Lanificio F.llo Botto, Miagliano (BI), 10 febbraio 2022.

Fabio Magnani

“Come un pesce nell’acquario”, Fabio Magnani, attore. «Con il teatro non si può creare stando nascosti dietro a uno schermo. Fare teatro online è come mettere un pesce in un acquario invece di vederlo in mare, con la maschera. Quando si fa snorkeling e si vedono i pesci in mare aperto, è bellissimo. Se, invece, si guarda il pesce in un acquario, si pensa che sia carino, ma si vede il confine, il limite, il fatto che tutto è falso». Rimini, 1 dicembre 2021.

La sensazione che Fabio Magnani, attore professionista e indipendente, ricorda con più vividezza è la pesantezza estrema, come l’avere ingoiato dei sassi. L’impossibilità di fare le prove e l’attesa spasmodica della riapertura, continuamente rinviata, erano difficili da reggere. «Dalla finestra del mio appartamento di Rimini sentivo il rumore del mare, le onde che si infrangevano sulla battigia. Il suono della natura era consolatorio, per certi versi. Era poetico, anche se c’era qualcosa di inquietante al tempo stesso perché ero solo in casa, faceva freddo, sembrava non ci fosse anima viva nel raggio di quindici chilometri» spiega Fabio, mentre cammina a lunghi passi sul lungomare riminese, ripescando i ricordi.

«Ascoltavo l’andirivieni dei flutti e pensavo. Di notte sono sceso in spiaggia più volte, abusivamente, contravvenendo alle regole del lockdown: dovevo correre sulla sabbia. Era buissimo, non vedevo nemmeno dove mettevo i piedi. Ogni volta che mi sembrava di scorgere un lampeggiante blu diventavo ancora più veloce».

La natura è stato il luogo dove tornare a creare per Matteo Marchesi, performer e coreografo italiano dell’associazione culturale Zebra. «Durante la pandemia ho lavorato con un gruppo di adolescenti. Andavamo sulle rive del Cervo che scende dall’Alta valle del biellese. Raccoglievamo i sassi, i rami e le foglie. Prima di allora non avevo mai fatto nulla del genere, mi è sembrato un luogo dove riuscire a trovare libertà di espressione. Sul torrente ci muovevamo ovunque: dentro, fuori, attorno, ritornandoci più volte nel tempo. C’era stata una piena che aveva mutato le forme del letto. Si era creato uno squarcio enorme». Matteo ha iniziato a intravedere la danza in altre cose: «Sono sceso in una profondità che ha ridefinito per sempre il mio senso dell’arte».

pandemia Fabio Magnani

“Non può piovere per sempre”, Fabio Magnani, attore. «Come altri artisti, mi sono reso conto che l’unica possibilità era arrendersi all’idea che dovesse smettere di piovere. Una volta finito il brutto tempo, saremmo potuti uscire di nuovo nel mondo». Rimini, 13 marzo 2022.

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  • Elisabetta Zavoli

    Elisabetta Zavoli è una fotografa documentarista specializzata nelle tematiche ambientali e nel rapporto tra esseri umani e ambiente.
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  • Stefania Prandi

    Stefania Prandi è giornalista, scrittrice e fotografa. Si occupa di questioni di genere, lavoro, diritti umani, ambiente e cultura. Ha realizzato reportage e inchieste in Europa, Africa e Sudamerica per testate nazionali e internazionali. Tiene workshop di giornalismo e ha vinto diversi premi internazionali.

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