Nei prossimi decenni, la sete di energia dell’umanità crescerà significativamente e dovrà essere soddisfatta da fonti rinnovabili. Secondo le stime dell’Agenzia internazionale dell’energia, il settore energetico è responsabile di quasi tre quarti delle emissioni che hanno già causato l’aumento delle temperature medie globali di 1,1°C in più rispetto all’epoca preindustriale. Il numero di paesi impegnati a raggiungere la neutralità carbonica sta aumentando ma, anche qualora le promesse venissero mantenute, lo sforzo potrebbe non bastare: per scongiurare le conseguenze peggiori del cambiamento climatico dovremo azzerare le emissioni nette entro il 2050, termine ultimo per mantenere l’aumento della temperatura globale di fine secolo al di sotto di 1,5°C.
Scenario positivo
È una mattina di maggio del 2097 e la luce accarezza i pannelli fotovoltaici posti sui tetti degli edifici. Una debole brezza spira da sud-ovest, animando le strane installazioni disseminate per Mumbai. La loro improbabile danza, scoordinata nei movimenti come pure nei tempi, riflette la geometria variabile dei mini impianti eolici, simili eppure diversi tra loro: sfere cave ed eliche contorte catturano a turno anche la più piccola bava di vento, in qualunque direzione esso soffi.
Le autovetture sfrecciano silenziose, spinte da motori elettrici ad alta efficienza. Gli idrocarburi fossili sono merce rara e costosa, custodita gelosamente dai governi per poter alimentare, solamente in caso di necessità, i generatori di emergenza di servizi fondamentali. Come gli ospedali e le nuove centrali a fusione nucleare.
La strategia di diversificare le fonti energetiche pur di abbandonare in fretta il carbonio si è rivelata vincente: l’umanità oggi può contare su una decina di fonti diverse per produrre energia. La radiazione solare rappresenta la principale sorgente, grazie anche alla costruzione di enormi impianti a specchi che concentrano i raggi, e come le altre non contempla l’emissione di gas serra. Per quanto riguarda gli idrocarburi, il petrolio è stato il primo a venire abbandonato nell’uso quotidiano, seguito dal gas e, per ultimo, dal carbone. L’oro nero ha raggiunto il picco nel 2026, per poi calare inesorabilmente nei decenni successivi.
Gli idrocarburi fossili sono merce rara e costosa, custodita gelosamente dai governi per poter alimentare, solamente in caso di necessità, i generatori di emergenza di servizi fondamentali.
Nello stesso intervallo di tempo, la produzione di gas è aumentata per sopperire al progressivo abbandono del petrolio. La sua egemonia, tuttavia, è stata effimera, erosa anno dopo anno dalla massiccia elettrificazione del sistema energetico e dai miglioramenti dell’efficienza della rete, così come di edifici e dispositivi elettronici.
La possibilità di accedere a fonti energetiche abbondanti e comuni come il sole e il vento ha inoltre ridotto drasticamente le disuguaglianze nel mondo, limitando i conflitti tra i Paesi. L’abbandono dei combustibili fossili ha migliorato la qualità dell’aria, facendo crollare il numero di porte premature dovute all’inquinamento atmosferico. In Europa è così da almeno mezzo secolo. Qui in Asia c’è voluto un decennio in più ma nel 2057, finalmente, anche l’ultima centrale a carbone dell’India, nonché del pianeta, è stata spenta.
Black breath. Illustrazione di Daniela Germani.
Scenario negativo
È una mattina di maggio del 2097 e l’aria di Mumbai è irrespirabile come sempre. La gola di Pratyush è in fiamme mentre si muove con circospezione sulle passerelle traballanti di Mahalaxmi, affidandosi alla sensibilità dei propri piedi per superare gli impenetrabili banchi di polvere nera che offuscano la vista. Il terreno sotto Mumbai affonda, lentamente ma inesorabilmente, mentre il mare avanza: quello che un tempo era uno dei quartieri più prestigiosi della città oggi è perennemente sott’acqua, abbandonato al degrado delle intemperie, e avvolto da una cappa mefitica di particolato.
Le pompe idrauliche, così come le altre opere di mitigazione, hanno smesso di funzionare da anni, certificando il fallimento dell’amministrazione nel contrastare il cambiamento climatico. La corrente va e viene mentre la raccolta dei rifiuti è stata sospesa. Isole di spazzatura galleggiano sulle strade, spostandosi di giorno in giorno a seconda delle maree e delle correnti.
Non sono rimasti in molti ad abitare a Mahalaxmi: chi ne aveva le possibilità se ne è andato da tempo. Pratyush spera di imitarli presto, ma per farlo ha bisogno di un colpo di fortuna. Nelle sue ricognizioni quotidiane ha notato una serie di palazzi signorili abbandonati, che potrebbero contenere beni preziosi. O almeno così spera, visto che restare a Mumbai significa morire giovane.
Quello che un tempo era uno dei quartieri più prestigiosi della città oggi è perennemente sott’acqua, abbandonato al degrado delle intemperie, e avvolto da una cappa mefitica di particolato.
Il clima tropicale della città è stato stravolto dal riscaldamento globale che oltre ad aumentare il calore – la temperatura media planetaria supera di 3,6°C quella dell’epoca preindustriale – ha alterato il regime dei monsoni. Le poche centrali elettriche ancora in funzione bruciano carbone, ammorbando ogni giorno di più l’aria, mentre gli impianti fotovoltaici che avrebbero dovuto emancipare l’India dai combustibili fossili giacciono guasti e abbandonati sui tetti degli edifici.
Dopo una serie di acrobazie, Pratyush ha raggiunto il primo dei grattacieli di suo interesse. Fattosi coraggio, si tuffa nell’acqua fetida dell’androne, alla ricerca delle scale che portano ai piani inferiori. La sua destinazione è il locale delle caldaie. “Fammi trovare del gasolio” prega Pratyush tra un colpo di tosse e l’altro, mentre si prepara per l’apnea.
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