Come è nato il mito della Groenlandia verde

Chi nega il cambiamento climatico ama ripetere che un tempo la Groenlandia era verdeggiante, come suggerisce il nome: una bufala che però nasconde una storia affascinante di propaganda vichinga. Un estratto da “La Groenlandia non era tutta verde”, di Gianluca Lentini.

11 minuti | 15 Settembre 2023

«Erik e la sua gente furono condannati all’esilio dall’assemblea di Thorsness. Preparò quindi una nave per un viaggio a Eriksvagr mentre Eyjolf lo nascondeva a Dimunarvagr, quando Thorgest e la sua gente lo stavano cercando tra le isole. [Erik] disse loro che era sua intenzione andare in cerca di quella terra che Gunnbjorn, figlio di Ulf il Corvo, aveva visto quando era stato spinto fuori rotta, lontano verso ovest, e aveva scoperto gli scogli che prendono il suo nome. Disse che sarebbe tornato dai suoi amici se avesse avuto successo nel trovare quella terra. […] Erik salpò da Snæfellsjökull e arrivò a quel ghiacciaio chiamato Bláserkr [Coperta (o Abito) Blu; in altre fonti è Hvitsekr, Coperta (o Abito) Bianco, N.d.A.]. Da lì viaggiò verso sud, in modo da accertarsi che vi fosse terra abitabile in quella direzione» (tratto da Eiríks saga rauða, la Saga di Erik il Rosso).

Erik il Rosso, protagonista della saga che prende il suo nome e uno dei principali protagonisti della Saga dei Groenlandesi, arriva nella terra che avrebbe battezzato Grønland (Terra Verde) verso la fine del X secolo (l’anno preciso è, ragionevolmente, il 982 d.C.), spinto all’esilio da una burrascosa situazione in Islanda, terra nella quale era già stato esiliato dalla nativa Norvegia. La Coperta Blu o Bianca che vede è la calotta polare groenlandese in tutta la sua magnificenza, visibile dal mare come un abito bianco o blu che, coprendo la morfologia del territorio, si staglia all’orizzonte e si affaccia sull’oceano. 

Groenlandia, un nome propizio

Per la spedizione del pluri-esiliato Erik questa è la prima conferma dell’esistenza di una grande terra a ovest dell’Islanda, al di là dell’oceano. La vista della calotta groenlandese dissuade Erik dal tentare l’attracco, inducendolo a continuare la navigazione verso sud alla ricerca di terre più promettenti per l’esplorazione e la colonizzazione. E molto più a sud, all’estremità meridionale della grande isola artica, Erik il Rosso ha fortuna: a latitudini decisamente più basse di quelle islandesi, trova proprio quella terra abitabile che cercava, una terra di fiordi profondi fiancheggiati da colline erbose, molto simili a quelli della sua nativa Norvegia e molto, molto diversi dalla calotta polare incontrata all’orizzonte, più a nord.

Soddisfatto della nuova terra, nella quale passa circa tre anni inframmezzati da viaggi da e per l’Islanda e nella quale fonda un primo insediamento nei fiordi dell’estremo sud, Erik decide di organizzare una vera e propria colonizzazione della grande isola che aveva ritrovato e le cui rotte aveva riaperto per i navigatori nordici. Ma per convincere quelle che saranno le prime venticinque navi di coloni a salpare verso ovest dall’Islanda nel 985 d.C.3, Erik si rende conto di aver bisogno di un nome accattivante per la nuova terra, un nome che esalti le zone erbose delle estreme propaggini meridionali della grande isola e che invece non faccia riferimento ai ghiacci della Coperta Blu o Bianca, ghiacci che riecheggiavano peraltro già nel nome stesso dell’Islanda (Ísland, letteralmente Terra del Ghiaccio), così chiamata dagli scopritori norvegesi.

Nella primavera lui e Thorgest lottarono ed Erik fu sconfitto; dopo questo evento i due si riconciliarono. Quell’estate Erik partì per colonizzare la terra che aveva trovato e che aveva chiamato Grønland perché, diceva, gli uomini sarebbero stati persuasi più facilmente ad andarci se quella terra avesse avuto un nome propizio.

Una bella spennellata di verde

La Groenlandia, Terra Verde, prende quindi il suo nome dalla necessità di avere un nome buono o un nome propizio (nell’originale l’espressione è «se la terra fosse stata chiamata bene»). Erik il Rosso si rende dunque protagonista di uno dei primi casi di greenwashing della storia, ante litteram e con una leggera rilettura del termine stesso: dà una bella spennellata di verde a una terra in massima parte coperta di bianco e di blu per renderla più accattivante, nel suo caso per la colonizzazione, estendendo lo scarno verde dei fiordi dell’estremo sud a tutta l’isola.

Erik avrà successo nel suo tentativo di rendere invitante la nuova terra al di là del mare; benché solo quattordici delle venticinque navi della spedizione di colonizzazione originaria arriveranno a destinazione, dal X al XIV secolo la Groenlandia vedrà l’espandersi (e poi il contrarsi, fino alla sparizione) della colonizzazione nordica nella sua parte più meridionale, in particolare in due insediamenti principali, l’Insediamento Orientale all’estremo sud e l’Insediamento Occidentale, circa 500 km più a nord, sulla costa che si affaccia sull’arcipelago artico canadese.

groenlandia petermann glacier

Il ghiacciaio Petermann è uno dei più ampi nella zona che connette la calotta groenlandese all’Oceano Artico. La fusione del ghiacciaio Petermann ha accelerato nel corso degli ultimi anni. Gli esperti stimano che il collasso completo di questo ghiacciaio potrebbe causare un innalzamento del livello dei mari di 30 cm. In questa immagine in falso colore catturata dal satellite Copernicus Sentinel-2A, le nuvole sono in bianco, mentre la neve e il ghiaccio appaiono in blu. Le aree in verde brillante mostrano la vegetazione, mentre le aree nere sono ombre e acqua. 16 agosto 2017. Fonte: ESA. L’immagine contiene dati modificati dalla missione Copernicus Sentinel (2017), elaborati da ESA, CC BY-SA 3.0 IGO.

Una terra verde, ma dai grandi ghiacciai

Comodi e «caldi» nei due insediamenti, restiamo quindi ancora un po’ con Erik il Rosso e con la sua stirpe di avventurosi colonizzatori della sedicente Terra Verde, facendoci però accompagnare da un nuovo racconto, la Saga dei Groenlandesi, che ripercorre a sua volta il viaggio di Erik, ma che include sia un’altra incredibile scoperta da parte dei navigatori nordici, sia un altro caso di corretta descrizione «bianca» della Groenlandia, nonostante il suo nome fuorviante.

Il navigatore norvegese Bjarni, figlio di Herjólf, era solito fare la spola tra Norvegia e Islanda. In uno dei suoi viaggi scoprì che suo padre era partito, proprio con Erik il Rosso, alla volta della Groenlandia e decise, così, di andare a cercare lui e la nuova Terra Verde. Nella difficilissima navigazione verso ovest, Bjarni si trovò immerso in grandi tempeste e poi circondato da fitte nebbie che gli fecero perdere la rotta per diversi giorni spingendo la sua spedizione sempre più a occidente, fino a portarlo a scorgere, una dopo l’altra, tre terre: una collinosa e verde, una pianeggiante e coperta di foreste, e una montuosa in cui si stagliava un ghiacciaio.

Bjarni osservò insieme al suo equipaggio le tre terre senza attraccare e senza riconoscerle: nessuna di queste gli ricordava la descrizione che lui stesso aveva in mente della Groenlandia e, preso dalla necessità di dover ritrovare il padre e la rotta per la grande isola, secondo quanto raccontato nella saga, Bjarni rifiutò persino di esplorare le nuove terre e di rifornirsi di legname e d’acqua.

In un passaggio chiave della Saga dei Groenlandesi, i compagni d’avventura di Bjarni, nessuno dei quali era mai stato in Groenlandia, più che comprensibilmente gli chiesero, alla vista delle due terre erbose e forestali, se una di queste fosse la Terra Verde verso cui erano diretti, e se finalmente avrebbero potuto attraccare. Bjarni replicò loro che nessuna di quelle era la Terra Verde che intendeva ritrovare per ricongiungersi al padre e che, secondo informazioni in suo possesso, era invece «la Terra Verde dove dicono che i ghiacciai siano molto grandi». Bjarni cercò ancora, e alla fine riuscì a ritrovare, salpando nuovamente verso oriente, la Terra Verde coperta da «ghiacciai molto grandi».

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Le tre terre incontrate da Bjarni e che Leif, figlio di Erik il Rosso, ritrovò a sua volta battezzandole rispettivamente Vinland («Terra del Vino» ma anche, semplicemente, «Terra delle Bacche»), Markland («Terra delle Foreste») e Helluland («Terra delle Pietre Piatte»), si trovano in Nord America, e sono universalmente riconosciute come l’isola di Terranova, la costa del Labrador, entrambe comprese nella provincia canadese di Terranova e Labrador, e l’isola di Baffin, nel territorio artico canadese del Nunavut.

L’intricata storia della climatologia

La Saga di Erik il Rosso e la Saga dei Groenlandesi sono preziose e possono rappresentare agevolmente il fil rouge, con gioco di parole voluto, della nostra storia: parlare di clima e di cambiamento climatico è complicato. Sottintende processi naturali e umani interconnessi tra loro in modo spesso difficile da dipanare, e la climatologia, come scienza, ha una storia intricata e affascinante con fonti molteplici e varie, fatta di dati di genere diversissimo tra loro e di leggi che derivano dalla fisica, dalla chimica, dalla geologia, dalla biologia.

Nel 1991 il sociologo Andrew Ross affermava nel suo articolo intitolato Si sta scaldando la cultura globale?, riguardo alla climatologia: «Fino ad ora considerata un’ausiliaria di second’ordine rispetto al campo ben più eccitante della meteorologia, o al massimo un ramo della fisica con più aspetti in comune con la geografia, [la climatologia] ha visto il suo oggetto di studio – le conoscenze riguardo basi di dati affidabili di statistica climatica – trasformarsi in una materia prima controversa, politica e di primaria importanza».

Per parlare di qualcosa di così complesso, o anche di qualcosa di tale primaria importanza e volatilità, è necessario cominciare dai nomi e dalle definizioni, dagli abbagli e dalle correzioni, per poi arrivare ai dati, alla loro distribuzione statistica e alla loro significatività. Per passare poi a un po’ di storia delle equazioni, fino a comprendere da dove nasca l’attuale consenso scientifico e quali siano le azioni da compiere nel contesto di un clima che cambia e cambierà ancora. E sì, occorre anche cominciare dalle storie, o meglio, dalle saghe, come quella di Erik il Rosso che ha preferito eternare il verde degli scarni pascoli dell’Insediamento Orientale e non il bianco (o il blu) della coperta glaciale, mentre Bjarni, con buona pace del suo equipaggio, cercava una Terra Verde non coperta d’erba e di foreste, ma di grandi ghiacciai.

groenlandia zachariae glacier

Questa elaborazione combina tre immagini catturate dal radar di Sentinel-1A sopra la costa della Groenlandia nordorientale. Le tonalità di grigio a sinistra rappresentano una massa di terra statica, mentre i colori a destra mostrano i cambiamenti nel ghiaccio marino nel corso di tre mesi (da febbraio ad aprile del 2016). Nella parte centrale della foto si vede il ghiacciaio Zachariae Isstrom, che perde ogni anno circa 5 miliardi di tonnellate di ghiaccio. Gli scienziati ritengono che la parte inferiore del ghiacciaio subisca la veloce erosione delle acque dell’oceano – che si stanno scaldando – che si mescolano a quantità crescenti di acqua proveniente dalla calotta polare. Fonte: ESA. L’immagine contiene dati modificati dalla missione Copernicus Sentinel (2016), elaborati da ESA, CC BY-SA 3.0 IGO.

Un fondo di verità

Ma prima di sorridere dei nostri navigatori nordici e delle loro terre dai nomi a volte fuorvianti, per quanto il nome della Groenlandia fosse stato scelto perché adatto a invogliare potenziali coloni, dobbiamo riconoscere che esso sottendeva anche un fondo di verità, una realtà parziale ignota a Erik e a Bjarni. Questa verità è riscontrabile nei fatti climatologici dell’epoca ricostruiti da dati glaciologici, in particolare recuperati da carote glaciali, e da dati sedimentologici, legati alla composizione dei gusci di vertebrati marini fossili, raccolti dai ghiacciai della Groenlandia, dell’Islanda e dai sedimenti marini dell’Atlantico settentrionale. Tra il X e il XII-XIII secolo, infatti, il clima dell’Atlantico settentrionale era generalmente più mite di quello dei secoli precedenti e di quello dei secoli successivi, almeno quelli anteriori alla fine del XX. 

Per l’Atlantico settentrionale i secoli delle grandi esplorazioni nordiche, delle saghe islandesi e groenlandesi, e dell’approdo in Groenlandia e in America, rappresentano infatti il Periodo Caldo Medievale, meglio definito come Anomalia Calda Medievale, dove particolari processi naturali, tra cui un incremento nell’attività solare, un netto decremento nell’attività vulcanica, il conseguente cambiamento delle principali strutture di pressione atmosferica sull’Atlantico insieme a un rafforzamento della Corrente del Golfo che porta acque calde e salate verso nord, favorirono temperature dell’aria e delle acque di circa 1 °C superiori alla Piccola Età Glaciale che ne seguì e che si instaurò proprio quando i processi naturali sopra descritti si interruppero.

L’Anomalia calda medievale in Groenlandia

Conseguentemente, a partire dal X secolo, le propaggini più meridionali della Groenlandia e l’interno dei fiordi a est e a ovest nel sud della grande isola, apparvero indubbiamente a Erik il Rosso e ai suoi come erbosi e verdi, a fronte delle coperte glaciali incontrate più a nord e all’interno dell’isola. E certamente queste condizioni locali favorevoli rendevano la navigazione del Nord dell’Atlantico decisamente più agevole rispetto a quella dei secoli successivi, e che avrebbe portato Galvano Fiamma, o meglio, le sue fonti, a definire «quasi impossibile» raggiungere la Groenlandia. 

Ma l’Anomalia Calda Medievale fu un fenomeno locale e relativamente sporadico proprio dell’Atlantico settentrionale, a fronte di temperature che, altrove, erano in quel periodo sensibilmente più fredde rispetto a quelle che ritroviamo a partire dal XX secolo. In sostanza, il concludersi dell’Anomalia Calda Medievale riportò l’Atlantico settentrionale al medesimo livello di temperatura del resto del pianeta, rendendo sempre più difficile la sopravvivenza della civilizzazione nordica in Groenlandia e rappresentando una delle cause principali della sua fine nel corso del XIV secolo, insieme alla difficile coesistenza con una popolazione in grado di adattarsi al freddo estremo ancora più abilmente dei nostri coraggiosi «nordici»: gli Inuit.

Gli scandinavi torneranno in Groenlandia soltanto nel XVIII secolo, con la colonizzazione danese (al tempo più propriamente definita dano-norvegese), in un altro mondo, in un altro clima, con altri scopi, contribuendo a dare alla grande isola la struttura demografica, politica, economica e sociale attuale.

 

Estratto da “La Groenlandia non era tutta verde. Il cambiamento climatico e le decisioni da prendere” di Gianluca Lentini (EGEA)

La groenlandia non era tutta verde

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  • Gianluca Lentini

    Gianluca Lentini, geofisico specializzato in climatologia, lavora come ricercatore e project manager per Poliedra, centro di servizio e consulenza del Politecnico di Milano, dove si occupa di progetti internazionali dedicati alla sostenibilità ambientale e alle aree di montagna. Ha pubblicato “Gaia. Il pianeta Terra e il clima che cambia” (2013), “Storie del Clima. Dalla Mesopotamia agli Esopianeti” (2021) e, come curatore scientifico, “Arambì. Insieme per dare una mano alla Terra” (2019).

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