Dal 2002 il polo chimico di Spinetta Marengo è di proprietà della multinazionale belga Solvay.
A Spinetta Marengo, Solvay dà lavoro a più di mille persone. L’azienda collabora con scuole e università. La sua Fondazione ha finanziato il centro vaccinale di Alessandria durante la pandemia.
Il rapporto dell’azienda con il territorio è poliedrico, tra investimenti, opere di bonifica, nuovi brevetti, processi conclusi, critiche e apprezzamenti.

PFAS, il caso del polo chimico di Spinetta Marengo. Parte 3: l’azienda

Testi di Gianluca Liva
Fotografie di Elisabetta Zavoli
Ad Alessandria, Solvay è stimata dalla maggior parte della popolazione. Ma una condanna per disastro ambientale e l'attuale ricerca sui PFAS sta incrinando questa reputazione.

18 minuti | 17 Marzo 2023

PFAS, la mappa europea degli inquinanti eterni

Leggi la nostra serie sul caso del polo chimico di Spinetta Marengo, uno dei punti caldi della contaminazione da PFAS in Italia.

Il Gruppo Solvay è presente in Italia da più di un secolo. Nel 2002 ha acquisito la società Ausimont e l’impianto di Spinetta Marengo, alle porte di Alessandria, da Montedison. Si tratta di uno dei più importanti luoghi di produzione chimica in Europa. In più di 20 anni, la multinazionale belga Solvay ha investito oltre 600 milioni di euro sul polo chimico di Alessandria, di cui 280 milioni per rinnovare le strutture di questo grande sito di produzione. 

La presenza di Solvay, in Italia, non si limita soltanto all’impianto di Alessandria, ma conta ben sei siti produttivi, tra cui il celebre impianto di Rosignano Solvay, in provincia di Livorno, e l’importante centro di ricerca di Bollate, vicino a Milano. La società deposita ogni anno circa ottanta nuovi brevetti. Uno dei brevetti esclusivi di Solvay è il cC6O4, un composto considerato un PFAS di nuova generazione, prodotto e usato a Spinetta Marengo come sostituto del PFOA, sostanza che Solvay ha usato per alcuni anni come coadiuvante ma che non ha mai direttamente prodotto. 

A Spinetta Marengo, Solvay produce materiali usati per realizzare un enorme numero di oggetti d’uso quotidiano in svariati settori, dall’elettronica agli strumenti sanitari. In Italia, Solvay investe nei propri siti oltre 100 milioni di euro ogni anno. Gli impianti Solvay del nostro Paese hanno realizzato, nel 2021, un fatturato di 1.676 milioni di euro. 

Ad Alessandria, Solvay è una presenza riconosciuta e, per la maggior parte della popolazione residente, degna di stima. L’azienda investe molto nella formazione dei giovani, sia durante il percorso universitario che, prima, negli anni delle scuole superiori. Pochi anni fa, per esempio, l’azienda ha contribuito alla realizzazione di un nuovo laboratorio di chimica organica all’Istituto “Alessandro Volta” di Alessandria. 

Ma la reputazione di Solvay ha rischiato di incrinarsi quando, nel 2019, la Corte di Cassazione ha reso definitive le condanne per disastro ambientale colposo di tre dirigenti di Solvay. Il processo si è concluso dopo un percorso lungo e complesso. L’azienda, tutt’oggi, è critica nei confronti della sentenza definitiva.

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Vapori e schiume escono dallo scarico delle acque reflue dentro al fiume Bormida a Spinetta Marengo. Alessandria, Italia, 13 dicembre 2022.

L’accusa di disastro ambientale 

Nel 2008, nelle acque di Spinetta Marengo venne scoperta la presenza di cromo esavalente oltre ogni limite di legge. Le indagini di ARPA Alessandria – allora diretta da Alberto Maffiotti –  diedero vita a una notizia di reato, trasmessa in Procura. Il Pubblico Ministero svolse le opportune indagini, che sfociarono in una imputazione a carico di dirigenti di Solvay ed ex dirigenti di Ausimont. 

In origine l’imputazione era per avvelenamento doloso delle acque, ma nel corso del processo, la qualificazione giuridica del fatto cambiò. La Corte d’Assise di Alessandria riconobbe la responsabilità penale di tre imputati per disastro innominato colposo. Dei tre imputati, uno aveva lavorato per Ausimont e poi per Solvay, gli altri due soltanto per Solvay. Nel caso specifico, il disastro ambientale si configurava come un aggravamento di una contaminazione storica.

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La ricercatrice Sara Valsecchi raccoglie le acque di scarico dell’impianto Solvay in Spinetta Marengo al fine di determinare la concentrazione di PFAS. Valsecchi non ha mai osservato una tale quantità di schiuma nelle acque reflue nei precedenti campionamenti che ha fatto rispetto a quello del 13 dicembre 2022. Alessandria, Italia, 13 dicembre 2022.

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La ricercatrice Sara Valsecchi raccoglie le acque di scarico dell’impianto Solvay in Spinetta Marengo al fine di determinare la concentrazione di PFAS. Alessandria, Italia, 13 dicembre 2022.

Sul terreno del polo chimico, infatti, erano (e sono) presenti rifiuti nocivi, frutto delle attività del passato e non di quelle di Solvay. Si scoprì che queste sostanze tossiche venivano sciolte e trasportate non solo dall’acqua piovana, ma anche dalle perdite dell’impianto idrico del polo chimico, costituito da circa 50 chilometri di tubazioni vetuste. Queste condutture perdevano sia acqua di raffreddamento che acqua di processo, e contribuivano a portare gli inquinanti in falda. Di conseguenza, le condutture del poco chimico aggravavano la contaminazione. È su questa ricostruzione che si basa la sentenza definitiva: una sentenza che l’azienda mette in discussione. 

 

Una sentenza criticata

Il Gruppo Solvay dichiara che «la sentenza ha accertato due fatti fondamentali. In primo luogo ha riconosciuto che l’acqua distribuita ai cittadini di Spinetta Marengo e ai lavoratori dello stabilimento ha sempre rispettato tutti i limiti di potabilità stabiliti dalla legge. In secondo luogo ha confermato che l’inquinamento risale almeno agli anni ’40 ed è stato causato da altri. Inoltre», afferma Solvay, «la sentenza ha escluso ogni tipo di responsabilità dolosa, limitandosi a quella di natura esclusivamente colposa. In ogni caso si tratta di una pronuncia contraria tanto ai consolidati principi di diritto enunciati dalla costante giurisprudenza della stessa Corte di Cassazione, quanto ai fondamentali principi comunitari posti a tutela dei diritti dell’uomo che Solvay ha impugnato avanti alla Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo presso la quale è pendente il ricorso».

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Documenti della prima causa di inquinamento ambientale che Solvay ha perso nel 2019. Alessandria, Italia, 17 gennaio 2023.

Sulle responsabilità della precedente gestione si è espresso anche il Tribunale Arbitrale della Camera di Commercio Internazionale (ICC), che ha ritenuto Edison responsabile per la violazione delle dichiarazioni e delle garanzie in materia ambientale contenute nel contratto con cui Solvay acquistò Ausimont. Nel corso del processo Solvay si è difesa con forza sia sotto il profilo tecnico che sotto quello giuridico. L’azienda afferma che «durante le trattative per l’acquisizione, Edison ha fornito a Solvay un quadro falsificato dello stato della contaminazione ambientale dei siti di Spinetta e di Bussi, ingannando la Società in merito alla reale estensione e consistenza della contaminazione dei due siti».

Secondo Solvay la situazione di Spinetta Marengo era causa di un inquinamento pregresso, mentre l’attività dell’azienda era stata diretta a risolvere un problema del passato.

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Vittorio Spallasso, nel suo studio, legge alcuni documenti della prima causa di inquinamento ambientale che Solvay ha perso nel 2019. Alessandria, Italia, 17 gennaio, 2023.

Questione di tubazioni 

«È una tesi che però i giudici non hanno condiviso, essenzialmente per la presenza di queste perdite dalle tubazioni. Quindi da un lato hanno acclarato la contaminazione storica, l’ammasso delle sostanze generate quando Solvay non c’era. Dall’altro hanno individuato la condotta attuale di omessa manutenzione che ha permesso il perpetrarsi della contaminazione», ha spiegato Vittorio Spallasso, avvocato difensore di parte civile durante il processo. «Mi ricordo che il procuratore generale ha usato il paradosso che, se questo protrarsi dell’inquinamento fosse lecito, allora su un sito inquinato tutti saremmo legittimati a continuare a inquinare. Di sicuro la difesa di Solvay è stata efficace ma, infine, c’era una realtà che li ha sconfessati, ovvero l’attualità di questo aggravarsi di una contaminazione storica».

Anche in questo caso, però, Solvay afferma una realtà diversa. «Le tubazioni interrate dello stabilimento sono state realizzate seguendo lo sviluppo storico dei diversi impianti e si estendono per qualche decina di chilometri. Solvay, da quando è subentrata nella gestione del sito ha avviato una capillare attività di verifica, manutenzione e sostituzione delle tubature ereditate dalla precedente gestione. L’intera rete dello stabilimento è oggetto di una costante attività di prevenzione, verifica e miglioramento». 

 

Scarichi, emissioni e barriere idrauliche

Nel 2008, all’indomani della scoperta del grave e diffuso inquinamento, Solvay ha dovuto costruire una barriera idraulica per contenere e trattare l’acqua contaminata nella falda. Di recente, l’azienda ha sviluppato un sistema di monitoraggio dei livelli di falda che permettono di adattare in modo rapido le portate della barriera idraulica al mutare delle condizioni. Da poco Solvay ha investito 40 milioni di euro per potenziare ulteriormente i sistemi di trattamento delle acque, per eliminare in via definitiva le emissioni di fluorotensioattivi. 

L’acqua potabile di Spinetta Marengo – come confermato da ARPA, dai ricercatori, dalle autorità e da Solvay – non ha mai avuto contaminazione da PFAS. Il problema, oggi, non riguarderebbe più l’acqua, bensì l’aria. Sara Valsecchi – ricercatrice dell’IRSA, l’Istituto di Ricerca sulle Acque del CNR – svolge attività di ricerca anche sul territorio di Spinetta Marengo. Lei e il suo collega, Stefano Polesello, sono due delle figure chiave nella scoperta del gravissimo inquinamento da PFAS provocato dall’azienda chimica Miteni, in Veneto.

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Sara Valsecchi, ricercatrice di IRSA-CNR, è la scienziata che, insieme al collega Stefano Polesello, ha svelato l’inquinamento da PFAS delle acque di falda a Trissino (VI) causato dall’impianto Miteni. Valsecchi studia la concentrazione di PFAS nelle acque reflue a Spinetta Marengo. Alessandria, Italia, 13 dicembre 2022.

«L’interesse si è spostato verso le emissioni in aria», spiega Valsecchi. «Abbiamo cominciato a fare alcune analisi e si è già notato come l’impianto emetta sostanze in atmosfera in quantità non trascurabili. Ci sono campioni di acqua di pioggia che hanno concentrazioni pari a quelle degli scarichi industriali. Quell’aerosol in qualche maniera viene respirato, sicuramente si deposita intorno a tutta l’area della fabbrica».

Nell’ambiente e nell’aria di Spinetta Marengo si trovano PFAS: è un dato di fatto. Le analisi hanno evidenziato la presenza di PFOA, ADV e cC6O4. Quest’ultimo si trova in concentrazioni significative.

LEGGI ANCHE: Cosa sono i PFAS e quali rischi comportano

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Un uomo pesca nel canale che porta le acque reflue nel fiume Bormida a Spinetta Marengo. Dice che trova più pesci nel canale a causa della temperatura più calda. Alessandria, Italia, 13 dicembre 2022.

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Il vapore sulla superficie del fiume Bormida a Spinetta Marengo è dovuto alle acque reflue. Il fiume Bormida entra nel fiume Tanaro pochi chilometri a valle dello scarico. Il Tanaro successivamente scorre nel fiume Po. Alessandria, Italia, 13 dicembre 2022.

cC6O4, un PFAS esclusivo

Già nel 2006, quando ancora non esisteva una normativa specifica, Solvay ha aderito spontaneamente al programma internazionale EPA-PFOA Stewardship Program, che prevedeva l’eliminazione totale dell’uso di PFOA entro il 2015. Nel corso del 2013 – con due anni di anticipo rispetto ai termini previsti dal programma – ha eliminato completamente l’uso del PFOA. Lo ha sostituito con il cC6O4, per la cui produzione è stata richiesta e approvata una Autorizzazione Integrata Ambientale che la Provincia di Alessandria ha rilasciato il 24 giugno 2010. 

«Nell’ambito di queste procedure di registrazione del nuovo prodotto» spiega l’azienda, «il cC6O4 è stato oggetto di una trentina di studi scientifici presso laboratori accreditati in Italia, Germania e Svizzera, i cui risultati sono a disposizione della comunità scientifica. I risultati degli studi hanno accertato che il cC6O4 non ha le stesse caratteristiche del PFOA ed è una sostanza chimica completamente diversa, possiede un profilo tossicologico migliore, non è biopersistente e non è bioaccumulabile, non è mutageno, non è tossico per la riproduzione e non è cancerogeno per l’uomo. Inoltre, secondo studi ancora più recenti, viene rapidamente eliminato dall’organismo umano».

Spinetta Marengo

Spinetta Marengo si sviluppa attorno ad una strada centrale tagliata da due attraversamenti ferroviari che servono lo stabilimento Solvay. La gente afferma di trascorrere molto tempo ogni giorno ad aspettare ai passaggi a livello ferroviari a causa dei numerosi treni merci che arrivano e partono dall’impianto. Alessandria, Italia, 15 dicembre 2022.

Come già evidenziato nel secondo capitolo di questa inchiesta, il modo con cui una nuova sostanza viene registrata e con cui ne viene consentito l’utilizzo è oggetto di una accesa discussione. Il caso del cC6O4 non fa distinzione. Inoltre, il fatto che sia un composto prodotto esclusivamente da Solvay lo rende un tracciante, un elemento che in genere si rivela utile nelle indagini ambientali.

A seguito di un esposto, nel 2020 la Procura di Alessandria ha avviato nuove indagini, in collaborazione con ARPA e con il Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri (NOE) nell’ipotesi di una imputazione per un disastro ambientale che continua. Le indagini preliminari si sono concluse il 2 dicembre 2022 e si è in attesa di capire se ne seguirà un nuovo processo. 

 

Oltre i PFAS

Solvay ha dichiarato che entro il 2026 eliminerà l’uso dei fluorotensioattivi dai propri processi produttivi. Verrà dismesso anche il cC6O4, dopo che – in tempi recenti – era stata richiesta e ottenuta una nuova autorizzazione per avviare parziali modifiche alla linea produttiva già esistente. La richiesta – che secondo l’azienda comporta un intervento molto limitato – è stata accolta con scetticismo da parte della cittadinanza, ormai stufa dopo decenni di controversie legate al polo chimico.

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La confluenza del fiume Bormida nel fiume Tanaro, che è un affluente del fiume Po. Questo è il punto in cui le acque inquinate di PFAS, che provengono dall’impianto attraverso il fiume Bormida, corrono verso il fiume più lungo d’Italia.  Alessandria, Italia, 21 gennaio 2023.

La vicenda di Spinetta Marengo evidenzia – sia nel bene che nel male – le dinamiche nei rapporti tra pubblico, privato e uso del territorio. «Un’industria produce ricchezza sul territorio. Però questo territorio non è suo e non ha diritto di trattarlo come se fosse parte di un impianto», puntualizza Sara Valsecchi, «la falda, per esempio, è una proprietà comune, come lo è un fiume, come lo sono le rive del mare. E quindi la falda sotto una fabbrica non dev’essere inquinata. Non può essere gestita come se fosse una piscina, una proprietà sottostante. Per l’aria si può affermare la stessa cosa».

L’impianto chimico di Alessandria è pronto a superare le epoche. Come dichiarato dall’azienda, «il sito Solvay di Spinetta Marengo non ha una data di scadenza». La storia di questo luogo è ricca di vicende che, in alcuni casi, hanno sfiorato il limite dell’assurdo e che è stato impossibile includere in questa inchiesta. Proprio come i PFAS, la fabbrica sembra destinata a esistere per un tempo per noi paragonabile all’eternità.

Tra disastri ambientali, interpretazioni diverse della realtà, vecchi e nuovi problemi di salute pubblica, opinioni discordanti, sentenze, contraddizioni, lotte, dibattiti e omissioni, il racconto del polo chimico di Spinetta Marengo è un caso esemplare delle dinamiche imperfette della nostra società capitalista, in cui le autorità pubbliche faticano a tenere il passo delle aziende. Ma come ogni giorno, a Spinetta Marengo la sirena della fabbrica scandisce la fine del turno, la nebbia accarezza i paesaggi e gli operai tornano a casa.

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Viola Cereda fa visita a suo padre Gianfranco Cereda nella casa dove è nata e cresciuta a Spinetta Marengo. Alessandria, Italia, 20 gennaio 2023.

Leggi tutti gli articoli dell’inchiesta di RADAR sull’inquinamento da PFAS

Alla pubblicazione di questo articolo hanno contribuito Anna Violato, Alfonso Lucifredi, Marta Frigerio, Francesco Martinelli, Davide Michielin, Natalia Alana.

Questa inchiesta è parte di The Forever Pollution Project, un’indagine crossborder a cui hanno partecipato 18 redazioni da tutta Europa.
Un gruppo che oltre a RADAR Magazine include Le Monde (Francia), Süddeutsche Zeitung, NDR e WDR (Germania), The Investigative Desk e NRC (Paesi Bassi) e Le Scienze (Italia), e a cui si sono aggiunti Datadista (Spagna), Knack (Belgio), Deník Referendum (Repubblica Ceca), Politiken (Danimarca), Yle (Finlandia), Reporters United (Grecia), Latvijas Radio (Lettonia), SRF Schweizer Radio und Fernsehen (Svizzera), Watershed e The Guardian (Regno Unito).

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