L’impianto chimico di Spinetta Marengo, a est di Alessandria, ha una storia secolare di inquinamento.
Alla lunga lista di inquinanti che hanno contaminato il territorio si sono aggiunti i PFAS: composti dalle proprietà uniche ma che non si degradano nell'ambiente. Per questo vengono chiamati "inquinanti eterni".
Oggi, una piccola parte della popolazione sta lottando per il proprio diritto alla salute e per ottenere una giustizia ambientale che manca da sempre.

PFAS, il caso del polo chimico di Spinetta Marengo. Parte 1: Le persone

Testi di Gianluca Liva
Fotografie di Elisabetta Zavoli
Nel sangue degli abitanti di Spinetta Marengo, in Piemonte, sono stati trovati livelli preoccupanti di PFAS. Le storie dei gruppi di cittadini che chiedono alle istituzioni di agire per la giustizia ambientale.

23 minuti | 15 Marzo 2023

PFAS, la mappa europea degli inquinanti eterni

Leggi la nostra serie sul caso del polo chimico di Spinetta Marengo, uno dei punti caldi della contaminazione da PFAS in Italia.

Per decenni le sostanze per- e polifluoroalchiliche (PFAS) ci hanno permesso di ottenere materiali dalle proprietà uniche. Utilizziamo i PFAS ovunque, dagli abiti agli involucri alimentari, dalle padelle antiaderenti ai cosmetici. Da anni, però, si sa che i PFAS persistono nell’ambiente in eterno e che possono avere gravi conseguenze per la salute. Spesso la contaminazione ha inizio dai luoghi in cui queste sostanze vengono prodotte e utilizzate, come avviene in Piemonte, presso lo stabilimento Solvay di Spinetta Marengo, un piccolo borgo alle porte di Alessandria.

Nell’aria, nelle acque e nei terreni prossimi all’impianto chimico, i PFAS non sono le uniche sostanze che determinano una situazione di grave inquinamento ambientale. I PFAS, infatti, si accompagnano a composti tossici come il cloroformio oppure il cromo esavalente, eredità di una contaminazione storica multiforme. L’inquinamento comporta effetti per la salute di chi abita in queste zone. Le poche indagini condotte finora hanno fornito risultati inquietanti. 

Le istituzioni stentano a dare risposte a causa di una cronica mancanza di strumenti e risorse. L’azienda si intreccia con le dinamiche del territorio. La popolazione convive con questo imponente polo chimico e lo osserva con distacco. A Spinetta Marengo poche persone lottano con tenacia per rivendicare il diritto alla salute dell’intera cittadinanza. 

Dal cromo ai PFAS, storia di un inquinamento secolare

Alessandria si trova al centro del triangolo industriale Torino-Milano-Genova. La città sorge su un’ampia pianura alluvionale, abbracciata da due fiumi, la Bormida e il Tanaro. Il primo confluisce nel secondo per poi sfociare nel Po. Spinetta Marengo è una frazione di Alessandria, uno dei sobborghi della Fraschetta, una vasta area a est della città. I paesaggi di pianura – orizzonti infiniti avvolti nella nebbia durante i mesi freddi – sono stati il teatro della battaglia di Marengo, combattuta il 14 giugno 1800 fra le truppe di Napoleone Bonaparte e l’esercito austriaco.

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La strada che collega Alessandria a Spinetta Marengo è l’unica via di collegamento tra la città e l’area ad est chiamata Fraschetta, fortemente colpita dall’inquinamento da PFAS e inquinamento pregresso. Alessandria, Italia, 19 gennaio 2023.

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La statua di Napoleone nel giardino del Museo di Marengo guarda l’impianto Solvay che si trova a meno di un chilometro di distanza in linea d’aria. Alessandria, Italia, 19 gennaio 2023.

Spinetta Marengo è la sede di un importante polo chimico, fondato nel 1905, che da allora ha guidato le sorti del borgo, dei suoi abitanti e dell’intera zona. Il polo chimico, al principio dedicato alla produzione di solfato di rame, ha cambiato diverse proprietà nel corso della sua storia secolare. Nel 1933 la Montecatini divenne proprietaria dell’azienda, si costruì il collegamento ferroviario che ancora oggi serve lo stabilimento. Nel 1966 Montecatini si fuse con Edison, diventando Montedison. Nel 1992 la società assunse il nome di Ausimont. 

Nel corso dei decenni a Spinetta Marengo si è prodotto di tutto. Per lungo tempo l’impianto si è occupato della chimica degli acidi forti, come l’acido solforico o l’acido fluoridrico. Fino ai primi anni ’70 si producevano cromati e bicromati, in quelli che sono stati definiti i “reparti della morte”. Vi lavoravano gli operai che facevano parte della “tribù dei nasi forati”, un’espressione stigmatizzante riferita a un particolare danno provocato dall’esposizione lavorativa ad alcune sostanze. Gli acidi consumavano i tessuti, intaccavano le cartilagini, scavavano cavità che univano naso e gola. In seguito l’attività cambiò e si rivolse alla chimica del cloro e dei fluoroderivati. Si cominciarono a produrre elastomeri fluorurati, per i quali c’era la necessità di utilizzare PFAS. La fabbrica, nonostante tutto, generava benessere.

 

Un posto sicuro

A Spinetta Marengo abita Paola [il nome è di fantasia]. Suo marito – per una vita operaio al CeRPi, il Centro Ricerca Pigmenti del polo chimico quando era di proprietà Montedison – è morto di tumore. «Sapeva che ero allergica alle bucce delle pesche. Per 50 anni me le sbucciava per far sì che potessi mangiarle senza avere prurito alle mani. Questo era lui. Non parlava mai della fabbrica. Ripenso alle sue tute da lavoro, che più le sbattevo e più continuava a uscire una polvere sottilissima. Ma la fabbrica era un posto sicuro e dava da mangiare, diceva».

Paola, seduta in cucina, è circondata dalle foto di suo marito e ricorda che «i medici mi dicevano che la malattia non poteva essere ereditaria. Anche tanti suoi colleghi si sono ammalati e sono morti. Con le loro famiglie ci siamo costituiti parte civile nel processo che c’è stato molti anni dopo. Io volevo capire la causa della malattia. Mi hanno accusata di farlo per i soldi. Ma a me non interessavano. Avrebbero potuto darmi tutti i soldi del mondo, lui non me lo avrebbero mai restituito. I miei parenti dicono che dovrei rimettere a posto la casa, ma io non voglio. La casa deve rimanere come quando c’era ancora lui, con i suoi vestiti nell’armadio e le sue magliette nel cassetto».

Dal 2002 l’impianto appartiene alla multinazionale belga Solvay e produce polimeri fluorurati. In questo contesto i PFAS sono necessari per realizzare le sostanze che vengono poi vendute a molte aziende manifatturiere, le quali le usano per la fabbricazione di innumerevoli prodotti. A Spinetta Marengo si utilizzano o si sono utilizzati PFAS come ADV 7800 e PFOA, quest’ultimo classificato come sospetto cancerogeno e sostituito dal cC6O4, molecola di cui Solvay detiene il brevetto. I PFAS si aggiungono così alla lunga lista di inquinanti che hanno contaminato il territorio. 

 

Acqua, zucchero e veleno

Il diffuso problema ambientale di Spinetta Marengo continuava a non essere affrontato. Molte – troppe – famiglie raccontavano dei propri parenti scomparsi per colpa del cancro. I fumi dei 72 camini della fabbrica erano oggetto di battute sagaci nei bar del paese. La gente si guardava bene dall’usare l’acqua di pozzo. In passato, le foglie delle piante si ingiallivano e cadevano a terra senza che ce ne fosse un motivo, ma più di recente i fenomeni di inquinamento sono diventati sempre meno vistosi. La popolazione ha cominciato a sentirsi più tranquilla. Ma la contaminazione continuava e si arricchiva con nuove sostanze, tra cui i PFAS. Negli anni pochissime persone avevano tentato, senza successo, di richiamare l’attenzione su un problema grave e noto. Chiunque sapeva. Nessuno agiva.

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L’impianto Solvay in Spinetta Marengo visto da un campo abbandonato lungo via Genova, la strada principale della cittadina. La gente dice che quando il tempo è freddo, i fumi dell’impianto Solvay si condensano e precipitano come fiocchi di neve depositandosi con la brina. Alessandria, Italia, 13 dicembre 2022.

Infine, tra il 2007 e il 2008, l’inquinamento venne riconosciuto ufficialmente grazie a un evento del tutto casuale. C’era stata la richiesta da parte di una nota catena di supermercati di acquistare il terreno dove sorgeva uno zuccherificio – poco lontano dalla fabbrica e dismesso da molti anni – per costruire nuovi edifici commerciali. Per avere le autorizzazioni necessarie si condussero le analisi della falda acquifera.

I risultati ottenuti fecero impallidire le autorità e la popolazione: nella falda superficiale e nei terreni giaceva l’eredità di decenni di incuria ambientale. Ebbe inizio un processo volto a stabilire di chi fosse la responsabilità dell’inquinamento storico e di quello in corso. Il processo si è concluso nel 2019 con la condanna dei dirigenti sia di Ausimont che di Solvay.

I risultati ottenuti fecero impallidire le autorità e la popolazione: nella falda superficiale e nei terreni giaceva l’eredità di decenni di incuria ambientale.

Negli ultimi quindici anni, dopo lo scoppio dello scandalo, qualcosa sembra essere cambiato. Una parte della popolazione ha cominciato ad avanzare legittime pretese di giustizia ambientale. È cambiata la sensibilità nei confronti di situazioni ormai ritenute inaccettabili. Alcune persone hanno deciso di muoversi: è così che è nato il comitato STOP Solvay.

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Gli edifici di una fabbrica di zucchero a Spinetta Marengo, abbandonati 30 anni fa, sono ricoperti da vegetazione spontanea. Il sito dello zuccherificio confina con la strada principale della città, da un lato e con l’impianto Solvay dall’altro lato. Il sito della fabbrica di zucchero è fortemente inquinato dall’amianto e da altre sostanze chimiche e non è mai stato bonificato. Alessandria, Italia, 14 dicembre 2022.

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Alcune gocce di pioggia sulle foglie cadute all’interno di uno degli edifici della fabbrica di zucchero abbandonata di Spinetta Marengo. Le gocce sono potenzialmente inquinate dai PFAS emessi dal confinante impianto Solvay. Il sito dello zuccherificio confina con la strada principale della città, da un lato e con l’impianto Solvay dall’altro lato. Alessandria, Italia, 14 dicembre 2022.

Un’indagine epidemiologica in tre fasi

«La mia famiglia è di Spinetta Marengo. Nella mia vita ho lavorato spostandomi molto. Quando sono tornato qua ho cominciato a informarmi e a impegnarmi, perché era chiaro ciò che stava succedendo», racconta Claudio Lombardi, ingegnere automobilistico in pensione, ex assessore all’ambiente ad Alessandria. Lombardi fa parte del Comitato STOP Solvay ed è una delle figure chiave che animano il dibattito. «Dal 2012, come assessore, volevo andare a fondo dei problemi che conoscevamo ma che non avevamo ancora dimostrato. Era importante poter entrare nell’amministrazione per poter disporre di documentazione. Andava fatta una indagine epidemiologica, coordinata in tre fasi», spiega. 

«La prima fase ha preso in considerazione la popolazione della Fraschetta, composta da circa 20.000 persone. La seconda fase ha confrontato la popolazione di Spinetta Marengo con quella di Alessandria, della sua Provincia e della Regione. La terza fase, che da anni chiediamo di avviare, dovrebbe portare a uno screening della popolazione per stabilire la presenza di un nesso tra inquinanti e patologie».

claudio lombardi

L’ingegner Claudio Lombardi, 80 anni, nella sua casa di Spinetta Marengo il 4 marzo 2023. Lombardi è stato eletto Assessore all’Ambiente del Comune di Alessandria nel 2012. Durante il suo mandato ha effettuato la prima indagine epidemiologica svelando la maggiore incidenza di diversi tipi di tumori nella popolazione di Spinetta Marengo rispetto a una coorte di controllo.

I risultati delle prime due fasi dell’indagine – benché siano stati contestati da Solvay – non lasciano alcun dubbio. A Spinetta Marengo le persone si ammalano di più. In entrambe le indagini, i risultati statisticamente significativi riguardano molte patologie, come vari tipi di tumore, malattie neurologiche, malattie endocrine e metaboliche. Questo percorso per conoscere il reale impatto dell’inquinamento dell’impianto chimico sulla salute delle persone si è interrotto durante il mandato della penultima giunta comunale, tra il 2017 e il 2022. Una questione di sensibilità diversa, dicono. Sta di fatto che laddove le istituzioni non riescono a dare risposte, è la cittadinanza stessa a prendere l’iniziativa.

 

PFAS, salute e l’assenza di un protocollo sanitario

Il Comitato STOP Solvay ha lavorato con un gruppo di giornalisti della televisione nazionale belga per realizzare un’indagine sulla quantità di PFAS presente nel sangue di una cinquantina di persone, abitanti sia a Spinetta Marengo che ad Alessandria. L’indagine, mirata a ricercare la presenza di sei particolari PFAS, ha purtroppo fornito i risultati attesi. Nel sangue di molti degli abitanti che si sono sottoposti al test i livelli di PFAS sono alti. A volte molto alti.

Riccardo Ferri

Riccardo Ferri, 56 anni, seduto sul tronco caduto di un albero centenario nel giardino del Museo di Marengo, dove i suoi genitori si incontrarono da giovani. Sullo sfondo, a meno di un chilometro di distanza, si trova lo stabilimento Solvay. Ferri si è unito a un gruppo di persone di Spinetta Marengo che hanno partecipato alla determinazione di vari PFAS nel sangue eseguita dall’Università di Liegi, in Belgio. Alessandria, Italia, 19 gennaio 2023.

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Riccardo Ferri, 56 anni, copre con la sua mano la concentrazione di PFAS trovati nel suo sangue. Ferri si è unito a un gruppo di persone di Spinetta Marengo che hanno partecipato alla determinazione di vari PFAS nel sangue eseguita dall’Università di Liegi, in Belgio. Alessandria, Italia, 18 gennaio 2023.

«Per anni ho pensato che l’inquinamento del polo chimico riguardasse soltanto gli operai. Mi sono sottoposto agli esami del sangue per curiosità, dopo che me lo avevano proposto alcuni amici di STOP Solvay», racconta Riccardo Ferri, residente a Spinetta Marengo, «i campioni sono stati inviati all’Ospedale Universitario di Liegi e dopo alcuni mesi mi è arrivata una lettera a casa con i risultati. Si evidenziava che avevo valori di PFAS molto elevati, specialmente di PFOA. È stato a quel punto che ho realizzato che era un problema. Mi sono rivolto al mio medico di base, ma lui non sapeva che cosa dire e tantomeno che cosa fare. Non esiste un protocollo sanitario per queste cose».

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Riccardo Ferri, 56 anni, si trova nella sua auto di fronte allo stabilimento Solvay di Spinetta Marengo. Alessandria, Italia, 19 gennaio 2023.

Nel 2022 un gruppo di cittadini di Alessandria e della Fraschetta ha avviato e concluso con successo una raccolta firme per consegnare all’amministrazione del capoluogo una proposta popolare di deliberazione. Si chiede, tra le tante cose, che le istituzioni provvedano quanto prima a stabilire un protocollo sanitario adeguato alla situazione. L’ideatrice e la promotrice di questa iniziativa, Mirella Benazzo, ha vissuto una storia dolorosa che l’ha portata a impegnarsi con tutta sé stessa per chiedere la giustizia sanitaria e ambientale che in quei luoghi manca da troppo tempo.

 

Mai più sole

La dedizione di Mirella Benazzo ha origine dagli eventi legati alla malattia che ha colpito suo padre, mancato nel maggio 2021. Annamaria Leva, madre di Mirella, racconta che «quando ci hanno comunicato che mio marito era malato di tumore al polmone ero incredula. Non fumava. Facevamo una vita tranquilla. Mi hanno detto che poteva essere di origine ambientale: non riuscivo a togliermelo dalla testa. Anche io, come tante altre persone, non sapevo niente della situazione di inquinamento di Spinetta Marengo e della Fraschetta».

mirella benazzo

Mirella Benazzo e sua madre Annamaria nella loro casa a Castelceriolo. Il padre di Mirella è morto di tumore al polmone. Castelceriolo è un piccolo borgo della Fraschetta vicino a Spinetta Marengo. Benazzo ha presentato una petizione civile al comune di Alessandria per chiedere un biomonitoraggio della popolazione di tutta la Fraschetta. Alessandria, Italia, 21 gennaio 2023.

L’odissea che hanno dovuto passare Mirella e Annamaria è molto simile a quella di tante altre persone che hanno visto i propri cari ammalarsi e morire: visite, secondi pareri, esami, speranze e disillusioni. La necessità di dare un senso a ciò che era accaduto può diventare una spinta molto potente.

«Sono entrata in contatto con Claudio Lombardi, sono andata a casa sua, mi ha raccontato tutta la storia della contaminazione dei luoghi in cui viviamo e delle indagini epidemiologiche. Ero scioccata», ricorda Mirella, «alcune persone mi hanno detto che mi impegno soltanto per una sorta di ostinazione nel volere capire le cause della morte di mio padre. Non è vero. Io lo faccio perché non voglio che altre persone vivano la situazione che abbiamo vissuto io e mia madre». 

Mirella e Annamaria partecipano ad alcune delle riunioni del Comitato STOP Solvay. Questi incontri avvengono online oppure al Laboratorio Sociale di Alessandria, una ex caserma dei Vigili del Fuoco bonificata, ripulita e autogestita da decine di ragazze e ragazzi del luogo. La realtà del Laboratorio Sociale non è composta da un unico collettivo, ma da tante voci. Le persone che ne fanno parte lottano contro le problematiche strutturali del sistema in cui viviamo e che riconoscono nel Comune di Alessandria, nelle istituzioni provinciali, regionali e nazionali.

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Anita Giudice, 20 anni, seduta su una panchina del Laboratorio Sociale parla con Rosi Gatti, un medico di famiglia in pensione che è anche attivista dell’organizzazione civile Stop Solvay. La caserma dei pompieri occupata è un sito potenzialmente inquinato dai PFAS a causa del loro uso nelle schiume per estinguere gli incendi. Alessandria, Italia, 14 dicembre 2022.

Capire i PFAS

«Quando pensavamo a quali sarebbero state le nostre battaglie, non abbiamo potuto escludere Solvay. L’impianto chimico è una delle prime cose che si vedono quando si arriva ad Alessandria. È uno degli elementi che più si ricordano di questa città», spiega Anita Giudice, parte di STOP Solvay e del Laboratorio Sociale, «ma ci rendevamo anche conto di non avere la minima preparazione per occuparcene. Tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020 abbiamo incontrato le Mamme No PFAS [il gruppo di genitori del Veneto che da lunghi anni si occupa della gravissima situazione di inquinamento da PFAS nelle province di Verona, Vicenza e Padova. n.d.a.]. Durante un’assemblea ci hanno spiegato la loro storia, l’entità del problema e che cosa significa parlare di PFAS. Abbiamo cominciato così».

anita giudice

Anita Giudice, 20 anni, è un’attivista ambientale che si è unita all’organizzazione civile Stop Solvay. Il gruppo si riunisce presso il Laboratorio Sociale, uno spazio occupato all’interno della vecchia caserma dei pompieri di Alessandria. Alessandria, Italia, 12 dicembre 2022.

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La stanza del Laboratorio Sociale dove l’organizzazione civile Stop Solvay tiene tutti i materiali per le marce di protesta. Alessandria, Italia, 14 dicembre 2022.

Occuparsi di PFAS non è facile. La conoscenza in materia è ancora in divenire e la scienza pubblica rincorre con affanno la ricerca svolta dalle aziende private. Per comprendere questa difficoltà basta pensare al fatto che ancora oggi non è ancora stato stabilito con certezza che cosa sia un PFAS e che cosa no. Le definizioni variano e con esse cambia il numero di sostanze che si possono considerare PFAS. Secondo le descrizioni più recenti, i PFAS potrebbero essere milioni. La scienza pubblica conosce le caratteristiche nel dettaglio soltanto di qualche decina di queste sostanze.

 

Il diritto di parlare

«Dotarci di mezzi per portare avanti le nostre rivendicazioni e non farsi abbattere è fondamentale. A volte però sembra che se non hai un’alta competenza tecnica tu non abbia nemmeno il diritto di parlare», afferma Viola Cereda, attivista di STOP Solvay che ci ha accompagnato per le strade di Spinetta Marengo a ridosso del perimetro della fabbrica. «A volte si percepisce quell’arroganza di chi conosce la materia e ti sminuisce. Non ti ascoltano soltanto perché hai meno strumenti. Ma il pensiero critico si può esercitare in diverse forme e noi sappiamo benissimo quali sono le colpe di Solvay. Sono fatti incontestabili».

Il 15 ottobre 2022 c’è stata la prima manifestazione pubblica del Comitato STOP Solvay, con un corteo giunto fino al Palazzo Comunale di Alessandria. La manifestazione è stata molto partecipata ed è stata anche l’occasione per far vedere alla città un gruppo di persone unito e determinato. Tuttavia – va ricordato – il Comitato STOP Solvay rappresenta una realtà ancora residuale all’interno della società di Alessandria. Una larga parte della popolazione vive lo stabilimento Solvay come qualcosa di ineluttabile. Altre persone, invece, lo considerano come una presenza positiva, capace di portare lavoro e benessere. Mettere in cattiva luce Solvay, sostengono questi ultimi, non farebbe altro che arrecare un danno alla collettività. 

Tuttavia i dati sulla presenza di inquinanti non cambiano. Anzi, si arricchiscono sempre di più. In questo contesto estremamente complesso le istituzioni stentano a dare una risposta alle persone. Le ragioni, come vedremo, sono molteplici.

PARTE 2 – Le istituzioni

viola cereda

Viola Cereda è un’attivista ambientale che ha co-fondato l’organizzazione Stop Solvay. Alessandria, Italia, 21 gennaio 2023.

Alla pubblicazione di questo articolo hanno contribuito Anna Violato, Alfonso Lucifredi, Marta Frigerio, Natalia Alana.

Questa inchiesta è parte di The Forever Pollution Project, un’indagine crossborder a cui hanno partecipato 18 redazioni da tutta Europa.
Un gruppo che oltre a RADAR Magazine include Le Monde (Francia), Süddeutsche Zeitung, NDR e WDR (Germania), The Investigative Desk e NRC (Paesi Bassi) e Le Scienze (Italia), e a cui si sono aggiunti Datadista (Spagna), Knack (Belgio), Deník Referendum (Repubblica Ceca), Politiken (Danimarca), Yle (Finlandia), Reporters United (Grecia), Latvijas Radio (Lettonia), SRF Schweizer Radio und Fernsehen (Svizzera), Watershed e The Guardian (Regno Unito).

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